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martedì 4 dicembre 2018

TONY CHICHIARELLI - Il Principe dei Falsari.

toni chicchiarelli

Tony Chichiarelli




1984 La morte

1984 sono le 3 di notte, in via Martini, quartiere Talenti, a due passi da viale Jonio, Chicchiarelli rincasa a bordo della sua Mercedes 190, insieme alla compagna ventunenne Cristina ed al figlioletto di appena un mese  sul sedile posteriore dell'auto.

Ha appena abbandonato una cena, ai commensali dice che il cappellano di Regina Coeli lo deve far entrare di nascosto per parlare con qualcuno.

Arrivato a casa un anonimo assassino attende che la compagna di Chichiarelli scenda dall'auto per aprire il portone di casa e le spara a bruciapelo un colpo con una pistola munita di silenziatore.

La pallottola trapassa un occhio della vittima ed esce dalla parte posteriore del cranio.

La donna viene raggiunta all'occhio sinistro, braccio ed avambraccio destro dai colpi d'una pistola calibro sei e trentacinque e s'accascia priva di conoscenza accanto allo sportello aperto della Mercedes 190.

Chichiarelli allora scende di corsa dall'auto all'inseguimento dell'assassino, ma questi ad un certo punto si volta e gli scarica addosso l'intero caricatore della pistola: prima lo colpisce due volte al torace, Chichiarelli fugge ma il killer lo raggiunge nell'attigua via Landini e lo finisce con due colpi alla testa.

Al rumore degli spari, due metronotte, si precipitano fuori e si danno all'inseguimento dello sparatore, un giovane"di piccola statura, poco più d' un metro e sessanta, con indosso calzoni jeans ed un giubbetto forse di colore verde".

La ragazza si salva, ma Chichiarelli muore, a trentasei anni, alle sette del mattino, senza avere ripreso conoscenza.

Muore dopo alcune ore all'ospedale, nella prima mattina del 28 settembre; lo sparatore che lo ha centrato con sette colpi su dieci, un vero professionista ingaggiato da ignoti era l'esecutore di un tipico "regolamento di conti".

Il primo mistero di quest'omicidio riguarda l'identità del vero bersaglio dell'agguato. Sembra probabile che non fosse Chichiarelli il vero obiettivo, ma la sua compagna.

Un'intimidazione che ebbe un esito non previsto: l'assassino spara a Chichiarelli solo dopo che questi aveva iniziato ad inseguirlo.

La tipologia dell'agguato, inoltre, sembrerebbe esser riconducibile sia ad un regolamento di conti tra malavitosi, che ad un'intimidazione tipica della guerra di spie.

A parte la dinamica dell'omicidio, anche la mancata autopsia sul cadavere non permise di appurare dati assai importanti concernenti il calibro dei proiettili.

Ma i misteri più fitti emersero in seguito alla morte del falsario.

A casa di Tony vengono reperite due rivoltelle calibro 38 special con matricola abrasa e, dentro un contenitore di pellicole fotografiche, un cartoccetto di polvere bianca.

All'interno della cassaforte giacciono 37 milioni in contanti, gioielli e oggetti di grande valore ed una videocassetta.

Vi era registrato lo "Speciale Tg1" sulla rapina alla Brink' s Securmark di soli sei mesi prima.

Vennero pure trovate delle fotografie "Polaroid". In esse era ritratto Aldo Moro vivo nella "Prigione del Popolo" brigatista.

La vita

Danilo Abbruciati
Antonio Giuseppe Chichiarelli, soprannominato Tony, nasce il 16 gennaio 1948 a Rosciolo, frazione di Magliano dei Marsi (AQ), un paese dell'Abruzzo arroccato sugli Appennini.

Nel 1951 rimane orfano di madre, dopo le medie, nel 1962 lascia la scuola dove l'unica passione è per il dipinto.

Nel 1968/1969 espletò il servizio di leva nel corpo degli Alpini. Una volta congedatosi, partì per Roma.

Nel 1970 fu arrestato dalle Forze dell'Ordine per possesso di pistole e mitra, ma venne rilasciato quasi immediatamente.

I primi anni nella capitale furono anni difficili furti, scippi, truffe e ricettazione gli consentirono di avere auto, moto e donne, ma anche i primi guai con la legge, venendo arrestato due volte.

Inoltre, nel 1976, simpatizzando per l'estrema sinistra gravitò nell'ambito dell'Autonomia capitolina.

Nel corso della seconda carcerazione, a Regina Coeli, divenne molto amico di uno dei futuri capi della Banda della Magliana, Danilo Abbruciati, implicato nello spaccio di droga e nel giro delle rapine, e con contatti con l'estremismo di destra e con la Mafia.


La banda della Magliana

Tramite Abbruciati, Tony fece la conoscenza con il rappresentante di Cosa Nostra nella capitale, Pippo Calò, e col Clan dei marsigliesi, che – a quel tempo – si dividevano il mercato della droga nella capitale.

Anche Flavio Carboni ed agenti dei servizi segreti erano in contatto con Abbruciati e per suo tramite con Chichiarelli.

Pippo Calò
Nel corso del 1977 incontrò Chiara Zossolo, che possedeva una galleria d'arte a Trastevere e che lo introdusse nel mercato dell'arte, in cui cominciò a realizzare e vendere Falsi d'autore.

In quell'anno aprì un negozio di mobili ed attrezzature per l'ufficio: proprio dal suo negozio uscì la macchina da scrivere con cui fu redatto il falso comunicato n. 7 delle Brigate Rosse durante il rapimento di Aldo Moro.

Nel gennaio del 1978, Tony prese in affitto, per una cifra allora assai elevata (950.000 lire mensili) una lussuosa villa in Viale Sudafrica, nell'esclusivo quartiere dell'EUR, dove andò a vivere con Chiara, che di lì a poco divenne sua moglie.

Nonostante le sue simpatie politiche per la sinistra extraparlamentare, Tony, in qualità di componente della Banda della Magliana (legata a filo doppio con i NAR), non esitò a frequentare terroristi di stampo neofascista quali Francesca Mambro e suo marito Giuseppe Valerio Fioravanti, Alessandro Alibrandi, Massimo Sparti, Massimo Carminati ed altri esponenti di spicco dell'eversione di destra. Tramite la moglie, Tony fece pure la conoscenza di un trafficante di materiale tecnologico con la Libia, nonché informatore dei Carabinieri, tal Luciano Dal Bello.

Dal Bello, divenuto amico di Tony, stilò un rapporto su di lui, mettendolo nel contempo in contatto con elementi del tentato Golpe Borghese, soprattutto con un informatore della Polizia, tal Giacomo Comacchio.

1978 il caso Moro

I cinque processi del Caso Moro hanno accertato che fu lui a confezionare il falso comunicato numero sette delle Brigate Rosse ("Il comunicato del Lago della Duchessa", fingendo che fosse stato composto dalle Brigate Rosse) durante i 55 giorni del sequestro, ma non venne mai accertato chi fu a commissionarglielo.

Tony fu certamente a conoscenza dei tentativi di giungere a una conclusione positiva del rapimento di Moro: lo Stato incaricò i Servizi Segreti nella persona di Enzo Casillo di trattare con Raffaele Cutolo quale intermediario per giungere alla prigione di Moro grazie all'aiuto della Banda della Magliana e, forse, fu a conoscenza dell'informazione data ad un altro esponente dei Servizi Segreti, Antonio La Bruna, circa l'esatta localizzazione del covo brigatista di Via Gradoli.

Aldo Moro
Martedì 18 aprile 1978 alle ore 09.25 a.m., alla redazione de Il Messaggero, una telefonata anonima annuncia che in un cestino di rifiuti di piazza Gioacchino Belli a Roma è nascosta una copia del comunicato n. 7 delle Brigate Rosse.

È una fotocopia di un comunicato numero 7 che annuncia l'avvenuta esecuzione di Moro, il cui corpo si troverebbe nel lago della Duchessa. I Brigatisti generalmente lasciano dei ciclostilati.

Il messaggio si presenta subito con caratteristiche completamente diverse dai precedenti: è molto breve, ironico e ha al suo interno diversi errori di ortografia.

Non ci sono gli immancabili slogan conclusivi, l'intestazione "Brigate rosse" è scritta a mano. Nonostante ciò la relazione degli esperti garantisce l'autenticità del comunicato.

L'Italia conosce il dramma della avvenuta esecuzione, e apprende che "il corpo del Presidente è nei fondali del Lago della Duchessa", in Abruzzo.

L'autore di quel falso è Tony Chichiarelli, che ne parla agli amici nel suo piccolo laboratorio dove continua a riprodurre qualunque cosa, soprattutto i suoi quadri.

Chi gli ha commissionato il falso comunicato aveva certamente uno scopo che appare ancor oggi ignoto e neppure è dato conoscere quale fosse il messaggio trasversale che tale comunicato volesse lanciare.

Chichiarelli era stato pure l'artefice di altri documenti e materiali di provenienza apparentemente brigatista, ma in realtà apocrifi, fatti ritrovare a Roma in quattro occasioni diverse, tutte successive alla conclusione della vicenda Moro: la prima delle quali il 20 maggio 1978, altre due nel 1979, e l'ultima il 17 novembre 1980. 

Falso comunicato N° 7:


«Oggi 18 aprile 1978, si conclude il periodo "dittatoriale" della DC che per ben trent'anni ha tristemente dominato con la logica del sopruso. In concomitanza con questa data comunichiamo l'avvenuta esecuzione del presidente della DC Aldo Moro, mediante "suicidio".

Consentiamo il recupero della salma, fornendo l'esatto luogo ove egli giace.

La salma di Aldo Moro è immersa nei fondali limacciosi (ecco perché si dichiarava impantanato) del lago Duchessa, alt. mt. 1800 circa località Cartore (RI) zona confinante tra Abruzzo e Lazio.

È soltanto l'inizio di una lunga serie di "suicidi": il "suicidio non deve essere soltanto una "prerogativa" del gruppo Baader Meinhof.


Inizino a tremare per le loro malefatte i vari Cossiga, Andreotti, Taviani e tutti coloro i quali sostengono il regime. P.S. - Rammentiamo ai vari Sossi, Barbaro, Corsi, ecc. che sono sempre sottoposti a libertà "vigilata". 18/4/1978 Per il Comunismo Brigate Rosse'.»

Pecorelli

Carmine Pecorelli fu il direttore di un'agenzia di stampa specializzata nella divulgazione degli scandali politici durante gli anni settanta, Osservatorio Politico (OP).

La sera del 20 marzo 1979 fu ucciso all'interno della sua automobile, nel quartiere Prati di Roma, in via Tacito, poco lontano dalla redazione del suo giornale, con quattro colpi di una pistola calibro 7,65.
I proiettili trovati nel suo corpo sono molto particolari, della marca Gevelot, assai rari sul mercato, anche clandestino, ma dello stesso tipo di quelli che sarebbero poi stati trovati nell'arsenale della Banda della Magliana nascosto nei sotterranei del Ministero della sanità, arsenale a cui attingevano pure i terroristi neofascisti dei NAR.

Omicidio Pecorelli
Chichiarelli fu l'uomo che qualche tempo dopo il delitto Pecorelli confezionò e fece trovare in un taxi romano una serie di false "schede brigatiste" a carico di personaggi pubblici, insieme a oggetti che riportavano ai misteri del sequestro Moro (come una testina rotante IBM da macchina per scrivere, simile a quella usata per stilare i comunicati dei terroristi).

Circa un anno dopo l’uccisione di Aldo Moro, il 14 aprile del 1979, tre ragazzi americani trovano, sul sedile posteriore di un taxi, un borsello da uomo e lo consegnano al comandante del reparto operativo dei Carabinieri di Roma, colonnello Antonio Cornacchia.

Il borsello, contiene una pistola con la matricola abrasa, undici munizioni calibro 7,65 e una di grosso calibro (Moro era stato assassinato con dodici colpi di arma da fuoco, di cui undici di piccolo ed uno di grosso calibro), una testina rotante per macchina da scrivere marca IBM, la stessa usata dalle BR nei vari comunicati diramati durante il sequestro, un mazzo contenete nove chiavi, nove come il numero dei membri del commando che rapì Moro e uccise la sua scorta, due flash marca Silvana, come quelli usati nelle uniche due foto polaroid scattate durante il sequestro, un pacchetto di fazzoletti marca Paloma, come quelli usati per tamponare le ferite di Moro e ritrovati sul suo cadavere, una carta stradale con indicato il Lago della Duchessa, una bustina contenente delle pillole come quelle che i medici avevano prescritto a Moro, delle pagine dell’elenco del telefono relative ad alcuni ministeri, con su scritte le cifre di un codice numerico, analogo a quello usato nel comunicato in codice numero uno, e quattro schede di cui la prima contenente un piano per l’eliminazione delle guardie del corpo del presidente della Camera Pietro Ingrao, un’altra riguardante il piano per l’eliminazione del procuratore della Repubblica di Roma Achille Gallucci, incluso il numero di telefono di casa della vittima risalente agli anni sessanta, la terza indicante il piano per il rapimento del presidente dell’ordine degli avvocati di Roma Giuseppe Prisco di Milano, ed in ultimo un piano per l’eliminazione del giornalista Mino Pecorelli, ucciso il 20 marzo 1979, 25 giorni prima del ritrovamento del borsello.

Nella scheda relativa a Pecorelli oltre alla scritta “da eliminare”era annotato l’indirizzo della sua abitazione, il tipo ed il colore della sua auto, inclusa la targa.

Nella scheda veniva anche specificato di agire entro e non oltre il 24 marzo, aggiungendo che l’avergli concesso ulteriore tempo avrebbe creato altri problemi.
Si specificava inoltre di non rivendicare assolutamente l’omicidio, ma al contrario veniva sottolineata l’esigenza di depistare.

In fondo alla scheda compariva la scritta: “Martedì 20 ore 21:40 giunta notizia operazione conclusa positivamente: recuperato materiale non completo, sprovvisto dei paragrafi 162, 168, 174, 177”.

Probabilmente i paragrafi a cui si fa riferimento sono quelli del memoriale scritto da Aldo Moro durante i 55 giorni di prigionia, in possesso delle BR, di cui risulta ne avessero fatto anche una fotocopia.
Come sappiamo il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, su indicazione di Giulio Andreotti, aveva fatto in modo attraverso un suo uomo di fare sparire il memoriale dal covo di via Montalcini a Roma prima dell’arrivo dei magistrati.

Secondo la testimonianza dei pentiti della Banda della Magliana, Chichiarelli aveva affermato di esser deluso per la magra ricompensa ai suoi servizi resi durante la prigionia di Moro.

Chiara Zossolo riferì alla Corte perugina un suo ricordo del 1981: al Senato era in corso la polemica sulla famosa cena al ristorante "la Famjia piemonteisa", nel corso del quale il senatore Claudio Vitalone e altri personaggi dell'entourage andreottiano avevano offerto soldi a Pecorelli perché cessasse di attaccare Andreotti sul suo giornale, "OP".

Commentando quel fatto, Chichiarelli spiegò di conoscere il vero motivo della morte del giornalista: "Pecorelli - disse l'uomo alla moglie - è stato ucciso perché aveva appurato delle cose sul sequestro Moro: era un brav'uomo e non meritava purtroppo di morire".

A rendere ancora più pesante questo riscontro è una seconda deposizione, resa dalla testimone Franca Mangiavacca, segretaria e ultima compagna di Pecorelli.

La signora Mangiavacca ha infatti riconosciuto, in mezzo a decine di fotografie, quella di Chichiarelli.

È lui l'uomo che ha pedinato lei e Pecorelli nei giorni precedenti all'omicidio del giornalista.

Riassumendo, i giudici hanno stabilito con sufficiente certezza che Chichiarelli, poi a sua volta assassinato, partecipò alla fase di preparazione del delitto Pecorelli.

Chichiarelli dice alla moglie di conoscere il motivo per cui il giornalista è stato ucciso, e questo motivo è lo stesso indicato molti anni dopo da Buscetta.

Da qualche altra menzione, infine, sembra accertato che Chichiarelli fosse a conoscenza della fine di Mauro De Mauro, da mettersi in relazione col fallito Golpe Borghese e dal fatto che, ad organizzare quel tentativo di putsch, fossero stati i servizi segreti, come - peraltro - indica anche il colonnello Amos Spiazzi.

L'indagine aperta all'indomani del delitto Pecorelli coinvolse nomi come Massimo Carminati (esponente dei Nuclei Armati Rivoluzionari e della Banda della Magliana), Licio Gelli, Antonio Viezzer, Cristiano e Valerio Fioravanti, tutti poi prosciolti il 15 novembre 1991.

Secondo le rivelazioni di Buscetta, dal "caso Pecorelli" si passa al caso del cosiddetto memoriale Moro nelle due versioni: quella "censurata", trovata nel 1978, e quella integrale rinvenuta soltanto nel 1990.

È probabile, secondo i magistrati, che il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa abbia avuto tra le mani, fin dal 1978, la versione integrale.

Ed è altrettanto probabile che Dalla Chiesa e Pecorelli si siano incontrati almeno due volte dopo il rinvenimento del primo memoriale.

Dalla Chiesa
Terza cosa - certa - è che Pecorelli sapeva bene che il memoriale pubblicato dai giornali è monco:
"La lettura del testo del memoriale Moro - scrive su "OP" Pecorelli il 24 ottobre 1978, due settimane dopo il ritrovamento da parte degli uomini di dalla Chiesa - ha già sollevato dubbi sulla sua integrità. Esiste infine un altro memoriale in cui Moro sveli importanti segreti di Stato?".


Articoli sgraditi anche perché nei successivi numeri di "OP" Pecorelli comincia a pubblicare notizie e documenti esclusivi proprio su quegli argomenti - scandalo Italcasse, caso Sindona, riferimenti velati all'operazione Gladio - che sono contenuti nel memoriale integrale, quello che diventerà pubblico solo nel 1990. Ancora poco chiaro è il nome di colui che passò a Pecorelli queste notizie.

Come ignoto è il nominativo di colui che passò a Pecorelli la notizia, in anteprima, che il messaggio del Lago della Duchessa fosse un falso creato ad arte.

1984 La rapina del secolo

La sede romana della Brink's Securmark, società di trasporto valori, si trova al chilometro 9.600 della statale Aurelia. Negli anni settanta, uno degli azionisti della società era il bancarottiere Michele Sindona.

A posteriori, in tribunale, la moglie Chiara Zossolo indicherà che fu Tony a progettare una delle più grandi rapine avvenute in Italia, quella dei 35 miliardi di lire sottratti nel caveau della Brink's Securmark.

Un colpo magistrale, addirittura fin troppo facile, a detta degli inquirenti. Non è certo che Tony avesse cooperato con gli altri colleghi della Banda della Magliana.


identikit rapinatori  della briks a destra Chichiarelli


Pare che gli altri appartenenti alla banda non parlassero con un accento romano (tipico dei membri della Banda della Magliana), bensì piemontese.

Appare certo che esistessero almeno un paio di basisti appartenenti all'istituto vittima del furto, un dipendente ed un ex-dipendente.

Michel Sindona
Inoltre, le indagini hanno appurato che Chichiarelli avesse compiuto un sopralluogo qualche settimana prima del fatto addirittura entro il perimetro della banca, dopo l'orario di chiusura.

Circa la banca, Chichiarelli conosceva la planimetria in modo dettagliato, così come i turni di sorveglianza ed i nominativi delle guardie.

Per la riuscita del colpo, inoltre, aveva utilizzato un furgone in tutto simile a quello di proprietà della banca, di cui conosceva accuratamente e specificamente ogni movimento.

La Brink's Securmark non era propriamente una banca, bensì si trattava di un deposito che faceva capo a una catena bancaria di Michele Sindona.

La sera del 23 marzo 1984, un sabato, quattro uomini con il volto coperto da maschere, prelevano, verso l'ora di chiusura, una delle guardie giurate, Franco Parsi, al momento di rincasare.

Il custode avrebbe dovuto iniziare il nuovo turno soltanto la mattina di lunedì 25 marzo, due giorni dopo.

Lo condussero a casa, dicendo a lui ed ai famigliari di essere un commando delle Brigate Rosse.

Lo tennero in ostaggio fino all'alba della mattina successiva insieme alla moglie, alla suocera ed ai figli.

Poi uno dei rapinatori rimase nell'abitazione per tenere a bada i familiari, virtualmente degli ostaggi veri e propri, mentre gli altri tre condussero la guardia giurata, che aveva le chiavi, al caveau della banca, dove disarmarono altri due agenti e senza sparare un colpo portarono via denaro liquido, traveller's cheque, oro e preziosi per una cifra astronomica, che fu stimata intorno a 35-37 miliardi (stima fatta dalla banca stessa, che stanziò due miliardi di ricompensa a chi avesse fornito informazioni utili al recupero della refurtiva).

Chichiarelli, invece, parlò alla compagna di almeno 50-55 miliardi, di cui due dati ai basisti ed altri venti ceduti ai complici con cui aveva condotto in porto l'impresa.

In pratica, almeno 30 miliardi erano tutti per il solo Chichiarelli.

Non fu una rapina qualsiasi: sul bancone gli ignoti lasciarono una serie di oggetti che stavano simbolicamente a rappresentare il vero significato dell'impresa.

Una granata Energa, sette proiettili calibro 7,62, sette piccole catene e sette chiavi. La bomba Energa era dello stesso tipo usata durante l'agguato al colonnello Varisco (il tenente colonnello Antonio Varisco, comandante del nucleo dei carabinieri del Tribunale di Roma, venne ucciso dalle Brigate Rosse il 13 luglio 1979) e proveniva dall'armeria di via List.

Le sette chiavi e le sette catene furono lette come un chiaro riferimento al falso comunicato delle Brigate Rosse sul lago della Duchessa, mentre i sette proiettili calibro 7,62 riportano all'omicidio di Mino Pecorelli, e c'erano anche le cinque schede, identiche a quelle ritrovate dentro il borsello abbandonato nel taxi da Tony Chichiarelli all'epoca dell'omicidio del giornalista: gli oggetti lasciati intenzionalmente sul luogo della rapina facevano così affiorare lo stretto collegamento tra la fine del direttore di OP e il rapimento e la morte di Aldo Moro.

Furono lasciati anche falsi volantini di rivendicazione brigatista della rapina e le immancabili foto Polaroid scattate ai guardiani legati con, sullo sfondo, il drappo raffigurante la stella, emblema del gruppo terroristico.

A differenza di quanto avvenne per il falso comunicato del Lago della Duchessa, in questa occasione gli specialisti riconobbero immediatamente come falsi sia i volantini di rivendicazione, che le fotografie.

Dopo la rapina miliardaria alla Brink's Securmark del 1984, nella quale pare fosse il capo del commando, Chichiarelli iniziò ad investire il frutto della rapina nel mercato immobiliare ed in quello degli stupefacenti.

Egli venne ucciso sei mesi più tardi, a fine settembre di quell'anno, in circostanze mai chiarite.




Le varie ipotesi sul suo omicidio


  • Una vendetta della malavita per il florido commercio di stupefacenti nel frattempo avviato dal falsario.
  • Un regolamento di conti all'interno della malavita (la banca rapinata era collegata all'impero di Michele Sindona).
  • Una "eliminazione preventiva" ad opera dei servizi segreti, essendo il Chichiarelli un personaggio poco discreto, come accertato in aula giudiziaria dalle testimonianza della moglie, della compagna e dei conoscenti.
  • Uno sgarro ai suoi compagni della Banda della Magliana nel caso la rapina fosse stata compiuta da esponenti non appartenenti alla banda stessa, oppure, qualora i proventi della rapina non fossero stati divisi con gli appartenenti alla banda medesima, in base al patto di sangue che legava i componenti dell'associazione criminale.
  • Una eliminazione volta allo scopo di recuperare i documenti compromettenti stipati nel caveau della Brink's Securmark, tra i quali le famose polaroid che ritraevano Aldo Moro vivo nel carcere brigatista: al processo infatti fu avanzata l'ipotesi che il falsario rapinatore non avesse rispettato i patti coi servizi segreti, intenti a recuperare quello scottante materiale, alla base, fu detto, del vero movente della rapina stessa.
Sull'ultimo punto da sottolineare come i complici di Chichiarelli dichiareranno che sembrava più interessato ai documenti che ai soldi.




Luigi Cipriani, Intervento in Commissione stragi sull'affare Moro 15 aprile 1992. 
Allegato alla relazione finale del gruppo sui ritrovamenti di via Montenevoso.


"Signor presidente, concordo con la relazione presentata dal gruppo di lavoro sul caso Moro.

Vorrei però che fossero allegate alcune integrazioni su elementi accennati nella relazione, ma che sono a mio avviso molto importanti, per cui andrebbero ulteriormente ampliati.

Uno di questi riguarda la vicenda Toni Chichiarelli. Toni Chichiarelli è un personaggio romano legato alla banda della Magliana, con tutto ciò che ne consegue: conosciamo infatti i collegamenti della banda della Magliana con la mafia, con la destra eversiva, con i servizi segreti. Toni Chichiarelli era in contatto con un informatore, un agente del Sisde, tale Dal Bello, un personaggio di crocevia tra la malavita romana in collegamento con i servizi segreti e la banda della Magliana.

Toni Chichiarelli interviene nella vicenda Moro dimostrando di essere un personaggio assai addentro alla vicenda stessa (questo è quanto scrive il giudice Monastero che ha condotto l'istruttoria sull'assassinio di Toni Chichiarelli), come dimostrano due episodi.

Il primo, che è stato chiarito, è il seguente: Toni Chichiarelli è l'autore del comunicato n.7, il falso comunicato del Lago della Duchessa; ed è anche l'autore del comunicato n.1 in codice, firmato Brigate rosse-cellula Roma sud.

Toni Chichiarelli fece trovare un borsello sul taxi; all'interno di questo borsello erano contenuti alcuni oggetti che facevano capire che lui conosceva dal di dentro la vicenda Moro.

Fece trovare infatti nove proiettili calibro 7,65 Nato, una pistola Beretta calibro 9 (e si sa che Moro è stato ucciso da undici colpi, dieci di calibro 7,65 e uno di calibro nove); fece trovare dei fazzolettini di carta marca Paloma, gli stessi che furono trovati sul cadavere di Moro per tamponare le ferite; fece trovare quindi una serie di messaggi in codice, e una serie di indirizzi romani sottolineati; fece trovare dei medicinali e anche un pacchetto di sigarette, quelle che normalmente fumava l'onorevole Moro; inoltre un messaggio con le copie di schede di cui farà ritrovare poi l'originale in un secondo episodio.

Vi è un secondo aspetto.

Dopo la rapina della Securmark, ad opera della banda della Magliana con Toni Chichiarelli come mente direttiva, quest'ultimo fa trovare -lo scrive il giudice Monastero- una busta contenente un altro messaggio con gli originali di quattro schede riguardanti Ingrao ed altri personaggi.

Questa volta, come dicevo, ci sono gli originali: si tratta di schede relative ad azioni che erano state programmate e previste; fa trovare però anche un volantino falso di rivendicazione delle Brigate rosse.

Il giudice poi scrive: "Si rinveniva una foto Polaroid dell'onorevole Moro apparentemente scattata durante il sequestro".

Viene eseguita una perizia di questa foto, e si rileva che non si tratta di un fotomontaggio.

Come sappiamo, delle Polaroid non si fanno i negativi; è quindi una foto originale di Moro in prigione che Chichiarelli, dopo l'episodio del borsello, fa ritrovare in questo secondo messaggio, con le schede originali che riguardano Pietro Ingrao, Gallucci, il giornalista Mino Pecorelli, che sarà in seguito ucciso, e l'avvocato Prisco. 

Sulla scheda riguardante l'avvocato Prisco si parlava di questo famoso gruppo Mauro. Anche nel documento della registrazione che il Sisde ha fatto avere ai magistrati, si parla del gruppo Mauro che operava nella zona di Fiumicino e avrebbe dovuto avere in sequestro l'onorevole Moro.

In sostanza emerge il famoso elemento di cui si è sempre parlato, ossia come la gestione del rapimento Moro abbia avuto due fasi; e la seconda fase è confluita nel ruolo giocato dalla banda della Magliana, all'interno della quale conosciamo la parte che hanno sempre svolto i servizi segreti e la mafia.

La vicenda Chichiarelli è quindi centrale all'interno del sequestro Moro, ma i magistrati non l'hanno mai approfondita, sia perché nel Moro-quater si è prestato fede a tutto quello che ha detto Morucci e non si è quindi voluti entrare nel merito di altri aspetti, sia perché il giudice Monastero ha dovuto archiviare ed ha lasciato in sospeso tutte queste parti, perché non erano di sua competenza.

Tuttavia, egli ha fatto delle affermazioni molto precise sul ruolo svolto da Toni Chichiarelli all'interno della vicenda Moro. Vorrei perciò che quanto ho detto fosse allegato alla relazione, perché ritengo che sviluppando questa tematica si capirà molto meglio cosa è accaduto nel rapimento Moro.




lunedì 9 dicembre 2013

VITO GUARRASI "Don Vito"





Vito Guarrasi nasce ad Alcamo il 22 aprile 1914; figlio di una agiata famiglia di possidenti introdotta negli ambienti nobiliari dell'isola, è stato un controverso avvocato e manager . Era un lontano cugino di Enrico Cuccia (una zia di Guarrasi era sposata con uno zio di Cuccia).
Nel 1943, con il grado di sottotenente di complemento del servizio automobilistico fu presente alla firma dell'Armistizio di Cassibile assieme al generale Giuseppe Castellano, in qualità di suo aiutante di campo. In un rapporto del 27 novembre 1944 indirizzato al Segretario di Stato USA, il console generale americano a Palermo Alfred Nester affermò che Vito Guarrasi, assieme ad altre personalità dell'isola, fu presente ad una riunione con alti ufficiali americani in cui si discusse se la Sicilia dovesse separarsi dall'Italia e dichiarare l'indipendenza. Il rapporto del console è significativamente intitolato: Formation of group favoring autonomy of Sicily under direction of Mafia. (formazione di un gruppo che favorisca l'autonomia della Sicilia sotto la direzione della Mafia).

firma dell'armistizio di cassibile vito guarrasi
Firma dell'armistizio a Cassibile, all'estrema destra l' avv. Guarrasi 
Dal 2 ottobre 1947 Guarrasi è socio fondatore della società cooperativa La voce della Sicilia, di ispirazione socialista. Dal 7 luglio 1948 al 19 ottobre 1964 è consigliere di amministrazione della società mineraria Val Salso, dedita all'estrazione e alla commercializzazione dello zolfo e dei suoi derivati.
Nel 1948 Guarrasi si candidò nelle liste del Fronte Popolare. Negli anni Cinquanta entrò nel consiglio di amministrazione del giornale comunista L'Ora di Palermo. Avvocato civilista, risulta iscritto all'albo presso il foro di Palermo il 2 maggio 1949.
Dal 20 marzo 1949 al 30 marzo 1952 fu presidente della Cassa Agricola e Professionale Don Rizzo di Alcamo, una piccola banca orientata verso il credito agricolo e privato. Guarrasi, nel corso della gestione della cassa dovette fronteggiare un iniziale flessione dei depositi e un aumento della richiesta di prestiti dovuta al periodo di crisi in cui versava l'economia Italiana nel 1950 e anche una serie sempre più accesa di rivendicazioni sindacali da parte dei dipendenti della cassa. Nel 1953 si candidò al Senato per il PLI nel collegio Alcamo-Castelvetrano, ma non fu eletto.
graziano verzotto vito guarrasi
Graziano Verzotto
Guarrasi ideò e promosse un'iniziativa, poi divenuta la legge regionale n 4 del 13 marzo 1959 che istituì presso il Banco di Sicilia un fondo di rotazione delle miniere di zolfo che trasferì alla regione 12 miliardi di debiti contratti da diversi proprietari delle miniere con il Banco di Sicilia stesso. Fu uno dei promotori insieme a Graziano Verzotto e Domenico La Cavera della nascita della So.Fi.S (Società per il Finanziamento dello Sviluppo in Sicilia), società finanziaria della Regione Siciliana, che fu il primo esempio di società pubblica regionale. Nei primi mesi del 1960 Guarrasi divenne anche consigliere di Enrico Mattei, in particolare in merito alla costruzione di un metanodotto sottomarino che collegasse l'Africa alla Sicilia. La collaborazione fu di breve durata e l'incarico di Guarrasi era terminato già all'epoca della morte di Mattei (27 ottobre 1962). Negli anni Vito Guarrasi è stato azionista, presidente o consigliere di amministrazione di più di 25 differenti società (spesso pubbliche) i cui ambiti spaziano dallo sport (presidente del Palermo Calcio dal 1952 al 1960) all'immobiliaristica, al settore minerario e dell'estrazione di idrocarburi, al turismo e alla commercializzazione di medicinali.


Procedimenti giudiziari
Il pentito Gioacchino Pennino ha affermato nel 2007 che Guarrasi svolse un ruolo nella morte del giornalista dell'Ora Mauro De Mauro, scomparso il 16 settembre 1970 e il cui corpo non è mai più stato ritrovato. All'epoca il giornalista stava raccogliendo informazioni sulla morte di Mattei e sul fallito golpe del principe Junio Valerio Borghese. Pennino ritiene che Guarrasi abbia riferito indirettamente le informazioni in possesso di De Mauro ad alcuni capimafia, che avrebbero così deciso di eliminarlo.
Si dice che il giornalista palermitano, poco prima di scomparire avrebbe incontrato tutta una serie di personalità e, tra queste, anche Guarrasi. L' avvocato replica: I fatti parlano da soli. Io nell' inchiesta De Mauro non ho ricevuto neanche una comunicazione giudiziaria. 
Il 10 luglio 1971 Guarrasi è stato condannato a quattro anni di reclusione per bancarotta fraudolenta dalla 1ª Sezione Penale del Tribunale di Roma; verrà in seguito prosciolto.
vito guarrasi morteNel rapporto del 1976 del senatore Luigi Carraro, relatore della commissione parlamentare antimafia si legge che: L'attività pubblica di Guarrasi è stata caratterizzata da rapidi successi e dalla ricerca costante di posizioni di potere... Non c'è stato settore di qualche importanza della vita economica siciliana che non ha visto impegnato in prima persona l'avvocato Guarrasi... Non sempre però queste iniziative andarono a buon fine.
Nel 1986 Guarrasi è risultato anche iscritto alla loggia della "Massoneria universale di rito scozzese antico e accettato. Supremo Consiglio d'Italia" di via Roma a Palermo, insieme all'esattore di Salemi Nino Salvo e al boss mafioso Salvatore Greco.
Guarrasi è stato interrogato nel 1998 come testimone al processo per mafia a carico di Giulio Andreotti.
Morì un'anno dopo a Mondello.


l'avvocato dei misteri vito guarrasi


LA VITA DI DON VITO GUARRASI
 (IL VERO BOSS DEI BOSS)
DIMENTICATE I RIINA E I PROVENZANO, BIECA MANOVALANZA DEL CRIMINE, LA MAFIA SI INCARNA IN DON VITO - PIÙ POTENTE DI CUCCIA, PIÙ INFLUENTE DI AGNELLI, PIÙ RICCO DI BERLUSCONI, PIÙ ASTUTO DI ANDREOTTI, PIÙ SEGRETO DI FATIMA 
Piero Melati per "il Venerdì di Repubblica"
Di sicuro c'è solo che è morto. L'ultimo giorno di luglio del 1999. Liquidato in tre righe sul Corriere della Sera. Di sicuro c'è solo che il suo nome non si poteva nemmeno pronunciare. Era inteso Mister X. Si diceva nei bar: «Se il Palermo vince, in schedina scrivi uno. Se perde scrivi due. Se pareggia scrivi Guarrasi». Vito Guarrasi. Di lui si sussurrava che era più potente di Cuccia, più influente di Agnelli, più ricco di Berlusconi, più astuto di Andreotti, più segreto di Fatima.
Tra le sue mani di «consulente dei potenti» sono passati i misteri d'Italia: i retroscena dello sbarco degli americani in Sicilia, la morte di Mattei, la scomparsa di De Mauro, il golpe Borghese, l'ascesa di Cefis, l'affare Sindona, la morte di Calvi, gli omicidi politici, i rapporti tra Andreotti e la mafia.
In mezzo, nel crocevia del diavolo, sempre lui. Sempre Guarrasi. Eppure mai un processo, un concorso esterno, un favoreggiamento, un 41 bis. Mai nessuna visibilità, nessuna «esposizione». Sempre nell'ombra. Ha mandato all'opposizione in Sicilia la Dc di don Sturzo e Fanfani, boss di Cosa Nostra del calibro di Calogero Vizzini e Genco Russo diventavano umili al cospetto, i capi della Cia in visita a Palermo andavano a trovarlo nello studio in via Segesta o nella villa di Mondello. Era amico di Nino e Ignazio Salvo, i potenti esattori legati alla mafia, ma per cinque mesi fu anche consigliere di amministrazione dell'Ora, il quotidiano antimafia di Palermo.
Un enigma. Che ora viene risistemato da una biografia (L'avvocato dei misteri, Castelvecchi, pp. 190, euro 16,50) di Marianna Bartoccelli e Francesco D'Ayala, che contiene ampi stralci dal diario privato di Guarrasi. Un libro critico verso l'Antimafia. Ma non per questo meno ricco di dettagli. Anche privati. Guarrasi sposa la bellissima Simonetta Biuso Greco, appena diciottenne, e sarà lei a fornirgli le chiavi di accesso allo studio del padre, l'avvocato più importante del Banco di Sicilia.
Sua moglie fu poi per sedici anni l'amante del suo migliore amico, Domenico La Cavera, detto Mimì, presidente degli industriali siciliani, conosciuto tra i banchi del Gonzaga, un'avventura politica condivisa (anche con il Pci di Emanuele Macaluso), quella del milazzismo. Poi Mimì sposò a sua volta la diva del cinema degli anni Sessanta Eleonora Rossi Drago, che aveva appena troncato una storia d'amore con Alfonso di Borbone, fratello del re di Spagna.


AVVOCATO DEI MISTERI
DI BARTOCCELLI E DAYALA
Una soap opera alla Dynasty. Dal padre Raffaele (sposato con Luigia Dagnino) Guarrasi eredita l'azienda vinicola Rapitalà. È amico per la pelle di Galvano Lanza Branciforti di Trabia, per conto del quale amministra il feudo di Villa Trabia. Dirà La Cavera: «Le Terre rosse di Villa Trabia erano un mito».
Il futuro Mister X, da semplice ufficiale di complemento del servizio automobilistico dell'esercito, non ancora trentenne, viene spedito dal generale Giuseppe Castellano, insieme all'amico Lanza di Trabia, in missione segreta ad Algeri. Incontreranno il generale Dwight «Ike» Eisenhower, futuro presidente degli Stati Uniti, comandante dell'esercito alleato. Lo scopo, trattare la resa dell'Italia, che verrà firmata il 3 settembre a Cassibile e resa nota il fatidico 8 settembre.
Guarrasi smentirà la sua presenza alla firma dell'armistizio. Lui aveva trattato con Ike, ma quel giorno era nella villetta del barone Vincenzo Valenti, in via Dante, a Palermo, a rassicurare i nobili siciliani che lo sbarco alleato in Sicilia non avrebbe comportato derive comuniste. «Quella stessa casa che per eredità è poi pervenuta al sindaco Leoluca Orlando...».
C'erano mafiosi alla riunione? Guarrasi nega: «Figurarsi se mi sarei riunito con la manovalanza. Noblesse oblige». Fatto sta che quella fu la madre di tutte le trattative: appoggio logistico delle «famiglie» allo sbarco, in cambio di impunità e posti di comando. Rapporti spericolati. Ma Guarrasi era solito camminare con le mani basse dietro la schiena, come Enrico Cuccia, il patron di Mediobanca di cui era parente. «Per evitare che qualcuno me lo metta in quel posto».
Con quello stesso spirito affronta l'avventura di Silvio Milazzo: dal ‘58 al ‘60 l'ex deputato dc di Caltagirone mette insieme comunisti e fascisti e taglia fuori lo scudocrociato di Fanfani dal governo. Guarrasi è responsabile del piano di sviluppo.
I Salvo appoggiano Milazzo, don Paolino Bontate (padre di Stefano, il «principe di Villagrazia» ucciso dai corleonesi nella successiva guerra di mafia) schiaffeggia personalmente i deputati monarchici dubbiosi. Padri e figli. Ma non solo quelli delle dinastie mafiose. A diverso titolo, giocheranno un ruolo Bernardo Mattarella (padre di Piersanti, il presidente della Regione Sicilia ucciso dalla mafia nell'81), Salvatore Orlando Cascio (padre del quattro volte sindaco di Palermo Leoluca), Giuseppe La Loggia (padre del leader del Pdl Enrico), Francesco Pignatone (padre del capo della Procura di Roma Giuseppe).
E ancora, Gerlando Miccichè, fratello del defunto Luigi, che fu segretario particolare di Mimì La Cavera, e padre dell'ex sottosegretario berlusconiano Gianfranco, del banchiere Gaetano, del manager del Palermo calcio Guglielmo. O Aldo Profumo, padre dell'ex presidente di Unicredit Alessandro, direttore, ai tempi in cui La Cavera era in auge, della Elettronica Sicula, collegata alle grandi imprese Usa, azienda che inventò i tubi catodici per le tv a colori. La Sicilia vola. Enrico Mattei, presidente dell'Eni, vuole industrializzare l'Isola. Usa i partiti come taxi, sfida le sette sorelle del petrolio. Ma muore in un incidente aereo a Bescapè (27 ottobre ‘62).
Un attentato? Gli succede Eugenio Cefis. Guarrasi è consulente di Mattei, lo resta anche di Cefis nei decenni successivi. Ma intanto, caduto Milazzo, fa approvare una legge che scarica sulla Regione i debiti mostruosi delle industrie minerarie. «Io non faccio le leggi. Le scrivo» dirà. Si cominciano a mangiare la Sicilia. Otto anni dopo scompare il cronista dell'Ora De Mauro, al tempo di Salò legato alla X Mas del principe nero Junio Valerio Borghese. De Mauro lavorava come consultente al film del regista Francesco Rosi sul giallo di Mattei. Il capo della squadra Mobile Boris Giuliano (ucciso dalla mafia nel ‘79) batte la pista che porta a 
Palermo scommette: stanno per futtiri Mister X. Lo definisce così, sull'Espresso, il questore dell'epoca, Angelo Mangano, lo sbirro che arrestò Luciano Liggio. Ma la palude inghiotte tutto. Qualche lume verrà 27 anni dopo. Un giudice a Pavia, Vincenzo Calia, riapre l'inchiesta. E ascolta il pm Ugo Saitto, che rivela: Boris Giuliano gli confidò di un summit nella panormita Villa Boscogrande, presieduto dal capo dei servizi, il piduista Vito Miceli. Qui, tra zagare, gelsomini e fette di cassata, si era deciso di insabbiare tutto. Poi ci si mette Graziano Verzotto, ex partigiano e braccio destro di Mattei, latitante per 16 anni, ad accusare Guarrasi.
Dice al giudice Calia che le mani di Mister X sono lorde del sangue di Mattei e De Mauro. Ne esce un intrigo che finisce nei soldi riciclati dalle banche di Sindona. Ma dell'inchiesta non si parlerà (fino a Rizza e Lo Bianco, Profondo nero, Chiarelettere, 2009). Il fantasma di Michele Sindona lo tira fuori al processo Andreotti il pentito Angelo Siino, che fu l'autista di papa Giovanni Paolo II in Sicilia. Siino sostiene di aver accompagnato Sindona da Guarrasi. L'accusa cita un rapporto della Finanza del ‘93, che parla di «occulta regia» dell'anziano Guarrasi nei mutamenti in corso dentro Cosa Nostra.
La prima Repubblica era crollata un anno prima. E Guarrasi morirà un anno dopo quel processo. Oggi tre inchieste (Il caso De Mauro, Giuseppe Pipitone, Editori Riuniti, pp. 191, euro 16; L'eretico, Nino Amadore, Rubbettino, pp. 115, euro 12; Alfio Caruso, I siciliani, Neri Pozza, pp. 671, euro 18) scavano sul personaggio. E sui misteri mai chiariti nelle quattro interviste rilasciate da Guarrasi in vita (nella prima, a Giuseppe Sottile sull'Espresso, sostenne che De Mauro era stato eliminato per complicità nel golpe Borghese).
Nell'ultima, a Claudio Fava, figlio del giornalista ucciso dalla mafia, plaudì Berlusconi. Lo paragonò a Milazzo. Disse che, più che una rivoluzione, la fine della prima Repubblica era stata una «mareggiata». «Perché?» chiese Fava. «Mancava una cosa: la ghigliottina».

DOCUMENTI


giovedì 21 novembre 2013

ROSARIO SPATOLA





Rosario Spatola 


(Palermo, 1940-1910 agosto 2008) E UN costruttore sospettato di rapporti con Cosa nostra ,  fu accusato da Gaetano Costa e Giovanni Falcone di Traffico di droga e Condannato a Dieci anni di reclusione. Il Suo Nome è collegato alla Simulazione del sequestro di Michele Sindona  (il finanziere era Stato ospitato da Spatola in Una villa di Torretta dove era si Fatto Sparare ad una gamba dal medico Joseph Miceli Crimi per il coraggio forza alla tesi del sequestro) e all'uccisione di Gaetano Costa: sebbene non SIA mai Stato dimostrato ONU Collegamento Diretto fra le dovute vicende, Magistrato fu ucciso subito DOPO Aver Firmato ONU Ordine di cattura nia Suoi Confronti.
DOPO Aver Iniziato venire venditore ambulante di latte, Spatola costrui ONU impero nel Mondo delle Costruzioni Che Arrivo una sfida lavoro a 400 operai. DOPO l'omicidio Costa, le accusare nia Suoi Confronti vennero affidate da Antonino Caponnetto a Giovanni Falcone, il Che proprio una Partire da tal quale Processo Applico Quello che successivamente sarebbe Stato Definito il "metodo Falcone", cioè la Ricostruzione degli affari Criminali Attraverso la Documentazione bancaria . Spatola fu Condannato a vicenda ea tre 10 anni per Quella Per una tangente Versata a Vito Ciancimino ea ONU Funzionario per la Concessione di ONU appalto per la Realizzazione di Case Popolari, ma Nel 1985 Fuggi NEGLI STATI UNITI D'dell'America da Suo cugino, il capo di Cosa nostra americana John Gambino . Rimase oltreoceano Fino al 1989, when, DOPO Essere Stato coinvolto nell'operazione Iron Tower, fu arrestato ed estradato in Italia. Tornato NEGLI STATI UNITI DOPO Essere Stato scarcerato Nel 1992 per la Scadenza dei termini di custodia cautelare, Nel 1999 fu riestradato in Italia. Due anni dopo fu scarcerato e Torno Ancora una volta NEGLI STATI UNITI.
Era Stato citato venire teste d'accusa Nel Processo per l'uccisione di Mauro Rostagno. Ma Oggi il Pm Francesco Del Bene, in Apertura d'udienza, ha comunicato il Che il pentito Rosaria Spatola è morto, senza specificare when. Solo Nel tardo pomeriggio Si e accertato Che la morte del collaboratore di Giustizia, classe 1949, allontanatosi dal Servizio di Protezione, Condannato e quasi dimenticato, in Risale Realtà a tre anni e mezzo fa, il 10 agosto 2008. Ma nessuno ne SAPEVA niente. Un «Difetto di Comunicazione», venire si Sono affrettati a puntualizzare Dalla Procura.

martedì 19 novembre 2013

ENRICO CUCCIA



Enrico Cuccia

nacque a Roma (Roma, 24 novembre 1907) da genitori siciliani, la famiglia paterna era originaria arbëreshë di Mezzojuso. La SUA famiglia ha origini greco-albanesi, MA e Perfettamente Integrata Nella buona borghesia di Palermo. Un amico di famiglia "Guido Jung, classe 1876, gocce di sangue ebraicotriestino ... suggerisce Un Papà Beniamino Cuccia ... di Trasferirsi in Roma ... agevolandolo nell'assunzione al Ministero delle Finanze. DOPO Aver conseguito la laurea in Giurisprudenza, Cuccia fu assunto dall'IRI Nella sede distaccata di Londra.
Nell'ottobre del 1932 diviene "impiegato del servizio operazioni Finanziarie e Cambi con l'estero" Presso la Banca d'Italia.
Nel giugno del 1934, Guido Jung trasferisce Cuccia all'IRI, gestito da Alberto Beneduce. "Se Jung proviene Dalle schiere liberali Beneduce ha Alle spalle delle Nazioni Unite Passato socialriformista, corroborano da alte Cariche Nella massoneria ... Il napoletano Beneduce e Il massimo, e sempre ascoltato, consigliere economico del duce Che lo riceve quotidianamente. Ministro delle Finanze ( Jung ndr) e presidente dell'IRI (Beneduce ndr) Viaggiano comunque in perfetta sintonia (...).
E Sicuramente velleitario il Tentativo dell'Italia dei Primi anni Trenta di stabilire ONU rapporto privilegiato con Gli STATI UNITI D'America del ... A farsene Carico non e Il Governo, bensi quell'establishement economico Che ha Messo le querelare Competenze al servizio del fascismo , pur non condividendone l 'ideologia antiliberale. Se Jung ha da rassicurare i circoli finanziari colomba forte e L'influenza ebraica, ONU Beneduce toccano i Massoni ". 
Galli ha scritto: "[Cuccia] Crede in Dio, e osservante, ma la SUA Fede e Laica, calvinista, lontana anni luce da OGNI forma di clericalismo e d'ingerenza della Chiesa nda Pubblici affari: Nessun prete-trafficante varcherà mai la Soglia di via Filodrammatici ".

Esperienza amministrativa regime Nel fascista

Nel 1936, fu Inviato dal sottosegretariato per Gli scambi e per le valute in Africa orientale italiana (AOI) con l'Incarico di Creazione e le Delegazioni del sottosegretariato e con Quello informale di stroncare Traffico ONU clandestino di valute.
Alberto Beneduce
Enrico Cuccia lavorò in Africa orientale italiana Insieme al Suo collega Giuseppe Ferlesch sotto le direttive di Alberto D'Agostino, capo della Direzione Generale delle valute del sottosegretariato, al vertice del quale C'era Felice Guarneri. Il Suo lavoro Venne accolto favorevolmente in Italia: il 1 luglio 1937, Ritornato in Italia per Qualche giorno, Enrico Cuccia fu Ricevuto Insieme a Guarneri da Benito Mussolini. Il giorno dopo l'incontro con il Duce, il Corriere della Sera Pubblico ONU articolo Nel Quale si leggeva Che:. "Il Duce ha elogiato il dottor Cuccia per il lavoro compiuto in circostanze particolarmente Difficili ..." Si trattava di segnale di un, sottinteso ma chiaro, destinato a Coloro Che premeditavano di attentare all'incolumità di Cuccia e in Particolare fu ONU Avvertimento Diretto al viceré d'Etiopia Rodolfo Graziani e al Suo entourage Che non avevano gradito le intromissioni del Giovane Funzionario in Una Gestione amministrativa Che Cuccia sospettava Fosse caratterizzato da graui all'irregolarità Finanziarie e da Una interessata tolleranza Nei Confronti dei Trafficanti di Valuta. Nonostante la Situazione disagiata e pericolosa Nella Quale visse Durante il Periodo di permanenza in Africa Orientale, nonostante le Difficoltà e Gli ostacoli, Cuccia operò con grande serietà e severità, stilando Relazioni Tecniche precise ed esaustive Che puntualmente inviava ONU D'Agostino, ricevendone predette predette Indicazioni e Continui incoraggiamenti.
Nel 1938, con le leggi Razziali, Le cose si mettono male per Jung, Che essendo ebreo Vienne emarginato. Beneduce invece Che E soltanto ... Massone Resta in sella e DEVE intervenire rendendo ufficiale il fidanzamento Tra Enrico Cuccia e SUA figlia, Che si chiama Libera Idea Socialista. Egli Invita l'amico Raffaele Mattioli, Amministratore Delegato della Comit, ad Assumere il futuro genero Enrico Cuccia, col rango di dirigente, a Milano, nell'ufficio di piazza Scala colomba gravitano Ugo La Malfa, Giovanni Malagodi, Cesare Merzagora, Adolfo Tino, "Vale a dire Una buona fetta della futura classe dirigente" liberal "che ritiene il fascismo Una dolorosa parentesi della storia".
Carlo Bombieri, collaboratore di Cuccia alla Comit, dadi Che Cuccia AVEVA "confini un'ambizione senza, spietata, incontenibile Qualche volta, quattr'occhi un, non esitava a manifestarla:. L'Aspirazione al Potere da Realizzare con il maneggio del Denaro, in Quanto Nei Confronti della Politica nutriva ONU assoluto Disprezzo Intellettuale, generalmente non si sbilanciava,.. (...) Detestava il fascismo ma Teneva in RISPETTO il Concetto di Autorità AVEVA Una Concezione castale della Società, retta da Onu "uomo forte" Con un'eccezione: il Papato di Roma non andava a genio Gli ".

Antifascismo Durante la Seconda guerra Mondiale

Durante la Seconda guerra Mondiale si Reco Spesso in Svizzera allo Scopo di sostenere la Resistenza, per la quale anche operò da staffetta con la COPERTURA fornitagli dal Fatto di Essere ONU Funzionario di banca di alto Livello; Un viaggio in Una Lisbona Nel 1942 si FECE latore di ONU Messaggio segreto degli oppositori filobritannici Adolfo Tino e Ugo La Malfa al conte Sforza, in esilio NEGLI STATI UNITI: se ne FECE TRAMITE il diplomatico statunitense George Kennan.

Nascita di Mediobanca

Mattioli
Fino dal 1944, Enrico Cuccia Seguì la vicenda di Mediobanca, quando Mattioli propongono ONU "ente Specializzato per i cosiddetti Finanziamenti a medio Termine" (in Sostanza, ONU modo per Superare la legge bancaria del 1936). In Un convegno tenutosi Nel 1986 Enrico Cuccia descrisse con precisione le Difficoltà incontrate Nella Realizzazione del Progetto, il Che AVEVA Richiesto Oltre 18 mesi di laboriose trattative, SIA per trovare dei partner di di Che accettassero di Entrare Nel Capitale del nuovo istituto Sia per Superare le obiezioni di chi, arrivato il governatore della Banca d'Italia Luigi Einaudi, temeva il Che Dietro questo Progetto vi Fosse di Fatto il ritorno della Comit alla Struttura della banca mista: Perché Ecco Cuccia organizzò il lavoro dell'Istituto Che Gli Venne Affidato da ONU lato senza Tariffa una azioniste Meno delle Bin, ma dall'altro lato tenendo le medesime largamente all'oscuro delle Decisioni Che la banca Stava per prendere, apprendendole generalmente ONU Cose Fatte.


La Gestione di Mediobanca

Il 3 novembre 1944 FECE altera parte della Delegazione italiana, COMPOSTA Tra Gli Altri da Egidio Ortona e Raffaele Mattioli, il Che si reco a Washington con l'Obiettivo di richiedere al Governo statunitense Aiuti per la ricostruzione post-bellica italiana.
Nell'aprile 1946, Cuccia divenne il Direttore generale della nuova Società Mediobanca, posseduta da Credito Italiano, Comit e Banco di Roma. Nel 1949 diviene Amministratore Delegato anche.
Cuccia rassicurava l'Intero arco costituzionale: Gli americani, data il Suo Passato resistenzial-azionista, i comunisti Che lo ritengono Una longa manus di Mattioli, la DC e De Gasperi, Dati la SUA amicizia col cardinale Spellman.
"L'unico a non piaceva era cui Mario Scelba , (...) "Ossessionato" dalle ombre massoniche aleggianti nel Mondo Finanziario e in particolar modo su Coloro Che avevano gravitato Nel Partito d'Azione.
DOPO AVER Cercato di opporsi alla riconferma di Mattioli alla Comit, Scelba s'esercitò anche Nel boicottare Cuccia-Mediobanca; ma subi altro ONU smacco, Anche per l'Intervento di ... don Luigi Sturzo, il Che AVEVA Trovato ONU alleato Nel Giovane finanziere Nella lotta Che s'andava profilando con Enrico Mattei ... aedo dello statalismo economico.
La "guerra perduta" di Mario Scelba ... non impedi Che Attorno alla Comit e ancor Più Una Mediobanca continuasse ad aleggiare ... l'alone massonico " 
Mediobanca divenne in breve tempo il centro del mondo Finanziario e politico italiano. Il caso Più Importanti, Tra le numerose Grandi transazioni economico-Finanziarie gestite da Cuccia e da Mediobanca, fu Sicuramente la scalata alla Montedison di Giorgio Valerio da altera parte dell'ENI di Eugenio Cefis .
L'istituto costitui il perno di Sistema delle Nazioni Unite di Alleanze, Che Attraverso Partecipazioni incrociate e patti parasociali garantiva Stabilità degli Assetti proprietari dei maggiori Gruppi industriali. Mediobanca accrebbe Anche la gamma delle Sue Partecipazioni azionarie, Che diventarono veri certi fi cati di Garanzia per le Imprese Partecipa.
Un altro Aspetto Importanti dell'Azione di Cuccia fu l'Apertura Internazionale Che avvenne Nel 1955, DOPO contatti intensi con André Meyer della Lazard di New York. Nel Suo Viaggio statunitense del 1965 Antonio Maccanico Ebbe modo di apprezzare la considerazione che sì Avessé Una Wall Street per Enrico Cuccia, il cui Nome era all'epoca in Italia quasi del tutto sconosciuto al di fuori della ristretta cerchia degli addetti Ai Di Lavori.
Nel 1982 Cuccia Lascio la carica di Direttore generale, restando però Nel CDA Fino al 1988 divenne presidente onorario QUANDO, ma resto comunque Uno degli Uomini Più influenti, inavvicinabile Dai Giornalisti.
A Partire Dalla "morte" di Enrico Mattei (1962) SEMBRA Che in Italia regni un'assenza di strategie alternative economico-Finanziarie a Mediobanca. Chi ci ha provato (Sindona, Calvi) e Stato ... "sconfitto" ...

Cuccia e la Massoneria

Se si prescinde Dalla possibile influenza del suocero Alberto Beneduce, Che Massone lo era Certamente, testimonianze serie sull'appartenenza di Cuccia alla massoneria ci vengono da Michele Sindona e Dalla Vedova di Roberto Calvi , la signora Clara. 
Galli Scrive: "In incontro ONU all'Hotel Pierre di New York, nell'estate del 1976, Sindona km Disse:" Mattioli ha Creato Mediobanca per togliersi Dai Piedi Cuccia Che e Persona pericolosa ... Lavora per Portare la finanza italiana sotto il Dominio della Grande Loggia "innanzi alla commissione Parlamentare d'inchiesta Sulla loggia massonica. P2 , Clara Calvi ha dichiarato: «Gli QUANDO (al marito Roberto nda) domandavo perchè Cuccia e Sindona, pur essendo Massoni, non andavano d'Accordo, mi rispondeva : "Appartengono a causa logge diverse» ". 
Maurizio Mattioli, il figlio di don Raffaele, ha detto al Galli: "Quando le Discussioni Politiche si facevano Più aspre ... l'ho sentito esclamare con rabbia:" Ci vorrebbe Clemenceau UN "... Un Riferimento al Clemenceau ... radicale, Massone legato al Grande Oriente di Francia, il Che AVEVA Chiesto Ai Fratelli La "discesa nell'arena" per affermare, Nella Società e Nella politica, i "Valori" delle logge? ".


Il caso Sindona

Sino alla Metà degli anni Cinquanta, Cuccia e Sindona si erano ignorati «sino a far nascere l'impressione di un'assurda gelosia fra siciliani ... L'incontro del disgelo avviene in Mediobanca ... poi ricambiato in via Turati ... Un Sindona Vienne offerto di "collaborare"; e lui Risolve magistralmente ONU Problema fiscale della Fidia ... E solista Una breve parentesi di pace: la rissa riesplode quando Marinotti Propone di cooptare Sindona Nel consiglio di Amministrazione della SNIA Viscosa DOPO Aver ottenuto il beneplacito di Tino (...).
Ma il guaio grosso scoppia quando Sindona Tenta di "bidonare" la Sofina, truccando i Bilanci. Però alla Sofina si TROVA provengono Direttore generale Paul Boel. Per TOGLIERE il figlio Dai guai il padre corre da Andrè Meyer, Suo amico fraterno, Che lo passa a Cuccia. "Vienne predisposta Una transazione, ma Sindona s'intestardisce.
La SUA provocazione mirata Appare: Dimostrare Che il banchiere di via Filodrammatici contava in patria Vienne scartina Una Una briscola. Messo alle strette Dalla Corte arbitrale di Ginevra, Sindona Sarà costretto a "conciliare" versando mezzo miliardo di penale. Poco per il Portafoglio, moltissimo per l'immagine. Non ammaestrato Dallo smacco, ci riprova. C'è in ballo l'Acquisizione dell'Americana McNeil & Libby ... Sindona, ignorando le sollecitazioni di Cuccia, anzichè rivolgersi a Meyer Che pretende di controllare la piazza di New York, opta per Un Altro filone della Finanza Ebraica, La Lehman Brothers.
Meyer, indignato, DOPO Aver sottoposto Sindona Una sorta di Processo Una Presso la Lazard di Parigi, sentenzia Che Debba Essere Messo al bando ... lo snodo Cruciale è qui: "scomunica" Nella comminata da Andrè Meyer e ratificata, a New York, in ONU vertice della Confraternita degli Gnomi, dove si decide Che Nella "provincia Italia" vi SIA spazio Unicamente per Mediobanca ".
Tuttavia si dissociano Sia i Lehman SIA Gli Hambro, ndr Anche ALCUNI Esponenti della Continental Illinois. Tra i consulenti legali di questa cordata anti-Meyer vi e Richard Nixon.
"Si Tratta di avvenimenti Importanti, Che dimostrano l'inesistenza, almeno in questa fase, di qualunque demarcazione tra" finanza laica "(Mediobanca) e" finanza cattolica "(Sindona). C'è Piuttosto Uno scontro di Tra Meyer-Lazard e il "resto degli Gnomi", Che però è Estremamente disarticolato (...).
Per Quasi un decennio nè la Banca d'Italia nè Gli industriali nè i "moralisti" Cesare Merzagora e Raffaele Mattioli prenderanno Apertamente Posizione Tra Cuccia e Sindona. Non Che rifiutino di cogliere le reali Dimensioni del contrasto (la conquista del monopolio della Gestione degli affari finanziari), il peccato lo vedono troppo bene, ma giudicano Che La soluzione Migliore ... sia il divide et impera.
D'altra parte ... Michele Sindona ... affascinava ... spadroneggiava Nei salotti milanesi ... Dicendo peste e corna di Cuccia, MA anche Facendo sfoggio di cultura; da Nietzsche allo Spengler del Tramonto dell'Occidente ... Cuccia Appare in difficolta. Lui Che non frequenta i salotti, quando Gli riferiscono dell'esibizionismo del rivale, si Limita a ribattere ... in inglese: inaffidabile, inaffidabile. Per chi CONOSCE la fraseologia degli Gnomi, nessuna accusa Finanziere PUÒ Suonare altrettanto nefasta. Ma perché si cominci a prenderne Atto occorre Che Sindona scivoli Silla SUA STESSA arroganza ".
Sindona, Una Partire dal 1967 cerca di espugnare le roccaforti causa del Potere economico italiano: l'Italcementi del cattolico ultraconservatore Carlo Pesenti, e la Bastogi. Ma Gli va male: Pesenti, oberato di debiti contratti Contratti, TROVA Solidarietà Inaspettatamente in Cuccia Allora sino Suo avversario, e grazie ONU TROVA Mediobanca i miliardi necessari per riacquistare le Azioni di Italcementi, senza doverle svendere, Venire pretendeva Sindona. Il Galli commenta: "Fosse davvero esistita Una" finanza cattolica "... Sindona sarebbe Stato Sicuramente sanzionato [per Aver aggredito il cattolicissimo Pesenti], ma questo non Accadde, e Pesenti MIGRO nell'Area cucciana".
Un tale punto INIZIA la partita Attorno alla Bastogi, l'offerta di Pubblico Acquisto (Opa) sindoniana scatta il 13 settembre 1971. "Per quattro giorni e Una pioggia di adesioni e delle Nazioni Unite coro di approvazioni. Ma al quinto giorno le adesioni si bloccano, per il boicottaggio dei Grandi azionisti. Cuccia ha Fatto intervenire Andrè Meyer. Sindona Corre in Roma-Capitale, ma PUÒ solista registrare Che persino Emilio Colombo, ... sul quale Faceva pieno affidamento, s'è schierato con Cuccia-La Malfa (...).
Sostenere che ... Sindona Fosse l'Espressione della "finanza bianca" E dunque, Almeno fino a Nightlife Bon Voyage questo punto, ... Una Distorsione della Realtà (...) "Sindona, ma DOPO lui Anche Roberto Calvi, rovinarono Una causa di erronee, spericolate operazioni sul Mercato dei Cambi ", ha Confermato Guido Carli (...).
La rottura definitiva Tra Cuccia e Sindona si consuma in Un salottino riservato del "Club 44" ... Qui pranza, solitamente il venerdì, la compagnia ... Sindona ..., Cuccia ..., Cefis. Finchè ONU venerdì Sindona si ritrova ... solo ... Pochi Minuti prima, in Mediobanca, Cuccia ha detto ONU Cefis Che Si e Stancato di sedersi col diavolo ".
Sindona Capisce Che Lo scontro è arrivato ad Un Punto di non ritorno, puo Contare oramai solista su Giulio Andreotti , su Anna Bonomi e su Gaetano Stammati (iscritto alla P2).
"Sconfitto, e pur costretto a riparare in America, Sindona non s'arrende ... Le prime Volte Iniziativa a coinvolgere Personalmente ... Cuccia risalgono alla primavera del 1977, Passano Attraverso la Minaccia di gran lunga rapire il figlio di Cuccia (. ..). Sindona conside Il presidente di Mediobanca Venire Uno dei peggiori Nemici (...). Le cronache dell'affare Sindona (a Partire Dagli Inizi degli anni Settanta sino alla morte, causata da Una tazzina di caffè avvelenato, Nel supercarcere di Voghera Nel marzo 1986) restano ... tuttora avvolte in Una pesante coltre di nebbia. Esattamente Venire era accaduto per "l'incidente" aereo di Enrico Mattei, e Venire accadrà per l'impiccagione di Roberto Calvi ... Resta la considerazione Che il destino ha sempre Assegnato Ai "grandi Nemici" di Enrico Cuccia Una tragica Uscita Dalla scena di questo mondo ".
Cuccia fu accusato da Michele Sindona di Essere il mandante di ONU complotto nda Suoi Confronti e di controllare segretamente il tribunale di Milano al Quale lui AVEVA Portato Documenti Una tesi Dimostrazione della SUA. Fu denunciato con l'accusa di falso in Bilancio e in Seguito prosciolto. Subi anche ONU attentato Che vide esplodere Sulla porta di casa del banchiere, in via Maggiolini, ONU ordigno probabilmente Lanciato lì da ONU emissario mafioso dello Stesso Sindona.
Testimonio Contro Michele Sindona Nel Processo sull'omicidio di Giorgio Ambrosoli , affermando Che l'imputato Gli Avessé confidato il Suo Progetto omicida. L'informazione fu Ricevuta nell'aprile del 1979 a New York, in Un incontro Diretto con Michele Sindona, MENTRE L'omicidio avvenne l'11 luglio dello Stesso anno: eppure Cuccia non avvertì le Autorità italiane né lo Stesso Ambrosoli. Alle Domande dei Magistrati rispose di Aver Mantenuto il silenzio per sfiducia nda Confronti dello Stato. Secondo il Suo legale Alberto Crespi, Cuccia Diede immediatamente Mandato a lui di Parlare con i Giudici Riguardo alle minacce di Sindona (le Quali Furono sottovalutate Dalla Procura) evitando di esporsi in prima persona temendo per l'incolumità dei Suoi figli. Questo Ricostruzione Vienne però smentita Dalla procura.




La morte

Nel 2000, Cuccia inizio a soffrire di Problemi cardio-respiratori e di insufficienza renale, il Che lo costrinsero a lunghe terapie e ricoveri, prima pressoterapia l'Ospedale Luigi Sacco di Milano, poi alla clinica fondazione Monzino di Meina. Trascorse i Suoi Ultimi Mesi Tra QUESTI nosocomi e le Sue Caso, una e Milano sul Lago Maggiore.
Morì nella notte del 23 giugno 2000. Per EVITARE UN eccessivo clamore mediatico, la famiglia decise di mantenere Uno stretto riserbo Sulle circostanze della morte SUA (Non è mai chiarito se il decesso Stato sopravvenne Nella SUA dimora di Meina o alla Fondazione Monzino) e decise di organizzare il funerale Già per l'indomani. Le esequie Furono officiare all'istituto delle Suore Poverelle di Meina, con la Partecipazione di pochissimi invitati, notabilmente l'Allora governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio, il Segretario in carica del Partito Repubblicano Italiano Giorgio La Malfa, l'Allora presidente di Mediobanca Francesco Cingano e L'amministratore delegato Vincenzo Maranghi, l'Allora presidente della Banca di Roma Cesare Geronzi, il costruttore Salvatore Ligresti e Cesare e Maurizio Romiti. La salma del banchiere fu poi tumulata Nel locale cimitero, pressoterapia la cappella di famiglia, ove Già riposava la moglie Idea, morta Nel 1996.
Poco DOPO la SUA morte il civico di via Filodrammatici dove ha sede Mediobanca fu ribattezzato dal comune di Milano "piazzetta Enrico Cuccia".

Il trafugamento della bara

Tra la sera del 14 e la prima mattina del 15 marzo 2001, una causa autotrasportatori piemontesi, Giampaolo Pesce e Franco Bruno Rapelli detto Crodino, Entrambi incensurati, approfittando di Un varco Lasciato aperto nel muro di cinta del camposanto di Meina, si introdussero al Suo interno e trafugarono la bara di Enrico Cuccia. Il Fatto Venne Scoperto Già l'indomani Dalla ex custode della locale villa della famiglia del banchiere, Ida Bentivegna, accortasi Che la lapide della Tomba Spaccata epoca in causa; la notizia Venne invece resa nota da solista il 18 marzo.
Le Indagini seguirono causa filoni: da UN lato il satanismo (la zona di epoca Meina Già Stata soggetta ad atti di profanazione di tombe perpetrati da sette sataniche) e dall'altro una richiesta di riscatto. Il 20 marzo fu spedita alla sede ANSA di Milano Una lettera di reclamo, in cui il mittente si autoaccusava del furto, affermando di Aver subìto graui Perdite Finanziarie per colpa di Investimenti su Titoli quotati a Piazza Affari e bollando Enrico Cuccia Come una delle cause della SUA Rovina. Vieni Condizione per la restituzione del feretro VENIVA domandato Che l'indice MIB30 risalisse a quota 50.000. Tale Messaggio non fu però ritenuto attendibile.
L'ipotesi del Tentativo di estorsione Prese Definitivamente piede allorchè, il 22 marzo, L'amministratore delegato dell'ACEA di Roma Paolo Cuccia (ritenuto erroneamente figlio del banchiere) ricevette Una lettera, spedita Dalla zona di Torino e malamente indirizzata Una via Momentana ( un Luogo di Nomentana), in cui per il riottenimento della bara si richiedeva il versamento di sei Milioni di franchi Svizzeri (circa 7 miliardi di lire) su ONU conto corrente cifrato aperto Presso la Banca Rotschild di Lugano. Allegate alla Lettera vi erano alcune foto Polaroid ritraenti la bara e la tomba aperta.
Dalla Lettera spedita una ea Paolo Cuccia e da Una successiva serie di Telefonate ARRIVATE all'ACEA Mediobanca per trattare il pagamento del riscatto (e partite da Una cabina telefonica STESSA, Tra i Comuni di Giaveno e Avigliana), verso fine marzo Gli inquirenti riuscirono a risalire ONU Giampaolo Pesce, Che Fu arrestato proprio MENTRE terminava un'ennesima Chiamata a Mediobanca. Tradotto in questura, Pesce FECE subito il Nome del Suo complice Rapelli, ndr Indico Il Luogo ove il feretro era nascosto: un fienile di Condove, in Val di Susa, non Lontano da casa SUA. Una volta recuperata, il 31 marzo, la salma fu riportata a Meina e ritumulata nia giorni dopo.
Rapelli, il Che si trovava in Inghilterra, fu poi arrestato il 1º aprile, al Suo ritorno a casa. I due sequestratori affermarono di Trovarsi in Condizioni di indigenza e di Aver DECISO di rubare la salma di Cuccia per caso, DOPO Aver letto il Suo Nome su ALCUNE riviste Economiche, avendo intuito Che la SUA famiglia Fosse Molto benestante. Il furto era Stato compiuto in Seguito riprese: la sera del 14 marzo i dovuti avevano abbattuto il muretto Che chiudeva la tomba, per poi Tornare a notte fonda a trafugare la bara (rompendo frattanto la lastra di marmo Che la copriva). Indi avevano Caricato la cassa su ONU pick-up, ma si erano accorti Che ESSA era troppo lunga, sicché la coprirono con Una Coperta e viaggiarono Fino al fienile Scelto Venire nascondiglio con il vano di Carico aperto.
Alla singolare vicenda e ispirato Anche il film L'ultimo Crodino Che per l'appunto riprende il soprannome del Rapelli.