Visualizzazione post con etichetta Morello. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Morello. Mostra tutti i post

mercoledì 19 febbraio 2014

JOE PETROSINO


Giuseppe Petrosino nacque a Padula, in provincia di Salerno, il 30 agosto 1860, di famiglia modesta: con il suo lavoro di sarto, il padre era riuscito a far studiare i suoi quattro figli maschi; emigrò con la famiglia a New York nel 1873 e crebbe nel sobborgo di Little Italy. Il piccolo Giuseppe per vivere si era messo a vendere giornali, a lucidar scarpe e a studiare la lingua inglese. Nel 1877, Joe prese la cittadinanza statunitense, facendosi assumere l'anno dopo come netturbino dall'amministrazione newyorkese. Era caposquadra quando, una dopo l'altra, avevano incominciato ad arrivare in America le fitte schiere degli emigranti italiani.
Questo fenomeno aveva posto le autorità americane di fronte a gravissimi problemi, primo quello dell'ordine pubblico. I poliziotti, quasi tutti ebrei o irlandesi, non riuscivano a capire gli immigrati né a farsi capire da loro: questo generava un clima a favore delle organizzazioni criminali che giunsero in breve a controllare tutta la Little Italy, ghetto malsano, fetido, superaffollato, dove una povera umanità sradicata (e che s'era portata appresso la propria sfiducia nell'autorità costituita) doveva lottare ogni giorno per la vita. Little Italy era il terreno ideale per la pianta del crimine. Con gli emigrati ansiosi di lavoro erano sbarcati negli Stati Uniti avventurieri, evasi e latitanti.

Arruolamento in polizia
Dipendente dal Dipartimento di polizia come spazzino, Petrosino era stato poi impiegato come informatore; nel 1883era stato ammesso alla polizia. Faceva un certo effetto vedere quell'uomo basso e atticciato (non superava il metro e sessanta), tra i giganteschi poliziotti irlandesi. In compenso Petrosino aveva spalle larghe, bicipiti possenti e, ciò che più contò per il suo arruolamento, grinta ed intelligenza, tutto ciò che gli aveva permesso di superare le difficoltà di essere l'unico poliziotto italiano, dileggiato dai connazionali e guardato con un certo sospetto dai colleghi.
Determinante ai fini della sua carriera, oltre al suo impegno, era stata la stima riposta in lui da Theodore Roosevelt, assessore alla polizia (e poi presidente degli Stati Uniti): grazie al suo appoggio nel 1895 Petrosino era stato promosso sergente, liberato dal servizio d'ordine pubblico, e quindi dalla divisa, e destinato alla conduzione d'indagini. I criminali di Little Italy si erano trovati improvvisamente di fronte ad un nemico che parlava la loro stessa lingua, che conosceva i loro metodi, che poteva entrare nei loro ambienti. Joe Petrosino nutriva una sorta di cupo, rovente rancore verso quei delinquenti che stavano dissipando il patrimonio di stima che gli immigrati italiani avevano costruito.
Ciò non significava che egli non comprendesse le cause di quella situazione; gli era ben chiaro che oltre alle misure di ordine pubblico occorreva agire sulle cause delle delinquenza: l'ignoranza e la miseria. Risolti brillantemente numerosi casi (il più celebre fu il "delitto del barile" nel 1903), abile nel travestirsi, rapido nell'azione, inflessibile e quasi feroce verso i criminali, divenuto quasi un simbolo della lotta a favore della giustizia e della legge, Joe Petrosino (un po' snob: abito scuro, cappello duro, camicia bianca, scarpe dal tacco alto) era stato via via assegnato ad incarichi di sempre maggiore responsabilità.
Nel frattempo Petrosino sposò la vedova Adelina Saulino (1869-1957), dalla quale ebbe una figlia chiamata anche lei Adelina (1908-2004).

Nel 1905, divenendo poi tenente, gli era stata affidata l'organizzazione d'una squadra di poliziotti italiani, l'Italian Branch (composta di cinque membri, tra cui il successore di Petrosino, Michael Fiaschetti), e ciò aveva reso più proficua ed efficace la sua lotta senza quartiere contro la Mano Nera, una tenebrosa organizzazione a carattere mafioso, con ramificazioni in Sicilia, attraverso la quale si esprimeva il racket.
Un'occasione che vide Petrosino e l'"Italian Squad" contro la Mano Nera riguardò Enrico Caruso che, in tournée a New York, fu ricattato dai gangster sotto minaccia di morte. Petrosino convinse Caruso ad aiutarlo nel catturare i criminali.
In precedenza Petrosino si era infiltrato nell'organizzazione anarchica responsabile della morte del re d'Italia Umberto I, scoprendo l'intenzione di assassinare il presidente americano William McKinley durante una sua visita all'Esposizione Pan-Americana di Buffalo. McKinley, informato attraverso i servizi segreti, ignorò l'avvertimento e fu effettivamente ucciso il 6 settembre 1901 da Leon Czolgosz.




La morte
Proprio seguendo una pista che avrebbe dovuto portarlo ad infliggere, forse, un decisivo colpo alla Mano Nera, Petrosino era giunto in Italia.
La missione era top secret, ma a causa di una fuga di notizie tutti i dettagli furono pubblicati sul New York Herald. Petrosino partì comunque nell'erronea convinzione che in Sicilia la Mafia, come a New York, non si azzardasse a uccidere un poliziotto.
Alle 20.45 di venerdì 12 marzo 1909, tre colpi di pistola in rapida successione e un quarto sparato subito dopo, suscitano il panico nella piccola folla che attende il tram al capolinea di piazza Marina a Palermo. C'è un generale fuggi fuggi: solo il giovane marinaio anconetano Alberto Cardella (Regia Nave Calabria della Marina Militare) si lancia coraggiosamente verso il giardino Garibaldi, nel centro della piazza, da dove sono giunti gli spari: in tempo per vedere un uomo cadere lentamente a terra, ed altri due fuggire scomparendo nell'ombra. Non c'è soccorso possibile, l'uomo è stato raggiunto da quattro pallottole: una al collo, due alle spalle, e un quarto mortale alla testa. Poco dopo si scopre che si tratta del detective Giuseppe Petrosino, il nemico irriducibile della malavita italiana trapiantata negli Stati Uniti, celebre in America come in Italia quale protagonista della lotta al racket.
Il console americano a Palermo telegrafa al suo governo: Petrosino ucciso a revolverate nel centro della città questa sera. Gli assassini sconosciuti. Muore un martire. Il governo mise subito a disposizione la somma di 10.000 lire, corrispondenti a quasi 40.000 euro attuali, per chi avesse fornito elementi utili a scoprire i suoi assassini. La paura della mafia però è più forte dell'attrazione esercitata da quell'elevata offerta di soldi: le bocche rimangono chiuse. Circa 250.000 persone parteciparono al suo funerale a New York, un numero fino ad allora mai raggiunto da alcun funerale in America.
Visualizza immagine di origineVisualizza immagine di origineVisualizza immagine di origine
Si ritiene che il responsabile della sua fine sia il boss Vito Cascio Ferro di Bisacquino, tenuto d'occhio da Petrosino sin da quando questi era a New York, ed il cui nome era in cima ad una "lista di criminali" redatta dal poliziotto italoamericano e trovata nella sua stanza d'albergo il giorno della morte. Probabilmente (e questo fu un sospetto anche della polizia palermitana dell'epoca) vi è un collegamento tra la morte di Petrosino e alcuni personaggi malavitosi appartenenti alla cosca newyorkese di Giuseppe "Piddu" Morello noti per il loro presunto legame al caso del "corpo nel barile" (un famoso omicidio avvenuto a New York nel 1903). Infatti due uomini di questa cosca erano ritornati in Sicilia nello stesso periodo del viaggio di Petrosino rimanendo in contatto con il boss newyorkese.
L'ipotesi più verosimile è che Morello e Giuseppe Fontana (emigrato in America dopo l'assoluzione per l'omicidio Emanuele Notarbartolo e aggregatosi alla banda di Giuseppe Morello) si siano rivolti a Vito Cascio Ferro affinché organizzasse l'omicidio del poliziotto per loro conto. Quando Cascio Ferro venne arrestato gli fu trovata addosso una fotografia di Petrosino. Il malavitoso aveva però un alibi per conto di un deputato suo amico. Quando il pugno di ferro fascista, anni più tardi, arrestò don Vito e lo condannò all'ergastolo per un omicidio imputatogli, il boss fu intervistato in prigione; dichiarò di aver ucciso un solo uomo in tutta la sua vita e disse di averlo fatto in modo disinteressato. La tesi però non è mai stata del tutto confermata.






venerdì 22 febbraio 2013

SALVATORE MARANZANO






Salvatore Maranzano

nacque a Castellammare del Golfo, in provincia di Trapani, il 31 luglio 1886. Da giovane studiò in seminario ma si ritirò presto, venendo affiliato nella cosca mafiosa locale e sposando Elisabetta Minore, figlia di un boss mafioso trapanese.
Nel 1927 Maranzano fuggì in Nordamerica a causa delle persecuzioni contro i mafiosi in Sicilia attuate dal «prefetto di ferro» Cesare Mori; giunto a New York, si stabilì nella comunità di immigrati siciliani che abitavano a Brooklyn, dove era attiva una cosca di compaesani castellammaresi guidata dal mafioso Nicola Schiro, alla quale Maranzano si unì. Durante il Proibizionismo, Maranzano installò una grande distilleria illegale di alcol nella contea di Dutchess, che divenne una delle più grandi dello Stato di New York.
Nel 1930 Joe Masseria, boss della Famiglia Morello, ricattò Nicola Schiro a fine di estorsione, imponendo un'alta tangente da pagare perché la cosca castellammarese stava diventando troppo potente e si era alleata con il suo acerrimo nemico Salvatore D'Aquila, boss di un'altra cosca a Brooklyn ucciso nel 1928; Schiro pagò la tangente e poi sparì, lasciando Maranzano a capo della sua cosca.
Maranzano allora iniziò ad invadere il territorio di Joe Masseria, dirottando i camion carichi di alcolici e distruggendo le birrerie illegali di sua proprietà. Invece Masseria rispose facendo assassinare il suo alleato Gaetano Reina, che credeva lo stesse tradendo con Maranzano, ed altri mafiosi alleati alla cosca castellammarese, scatenando la cosiddetta «Guerra castellammarese», che terminò il 15 aprile 1931, quando Joe Masseria venne assassinato su ordine del suo alleato Lucky Luciano, che lo tradì con Maranzano.


Uscito vittorioso dal conflitto, Maranzano convocò un incontro a Chicago ospitato da Al Capone, in cui celebrò la vittoria e si fece eleggere «capo dei capi»; furono invitati i boss di tutte le Famiglie degli Stati Uniti per rendere omaggio al loro nuovo leader. Maranzano però considerava pericolosi Lucky Luciano insieme ai suoi alleati non-siciliani Vito Genovese, Joe Adonis, Frank Costello, Al Capone e Dutch Schultz, decidendo in segreto di farli assassinare; infatti assunse il killer Vincent "Mad Dog" Coll per eliminare Luciano e Genovese per primi. Il 10 settembre 1931 Maranzano convocò Luciano e Genovese nel suo ufficio immobiliare a Park Avenue ma, al loro posto, si presentarono quattro killer ebrei travestiti da agenti del Fisco, i quali pugnalarono Maranzano e lo finirono a colpi di pistola; in realtà i killer ebrei erano stati assoldati dal gangster Meyer Lansky, socio di Luciano, e trovarono nell'ufficio anche il mafioso siciliano Gaetano Lucchese, che si era accordato con Luciano per condurre i killer ebrei a Maranzano.



In seguito alla morte di Maranzano, la cosca castellammarese venne rilevata dal boss Joseph Bonanno e divenne nota come Famiglia Bonanno.
Salvatore Maranzano è seppellito al Saint John's Cemetery nel Queens di New York, curiosamente vicino alle tombe di Luciano e Genovese