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venerdì 12 dicembre 2014

SALVATORE RIINA "TOTò U' CURTU"






Carta d'identità del 1958
Salvatore Riina, nasce a Corleone il16 novembre 1930; nel 1943 perse il padre Giovanni e il fratello Francesco (di 7 anni) mentre, insieme a lui e al fratello Gaetano, stavano cercando di estrarre la polvere da sparo da una bomba americana inesplosa, rinvenuta tra le terre che curavano, per rivenderla insieme al metallo. Gaetano rimase ferito e Totò rimase illeso. In questi anni conobbe il mafioso Luciano Liggio, con il quale intraprese il furto di covoni di grano e bestiame e lo affiliò nella locale cosca mafiosa, di cui faceva parte anche lo zio paterno di Riina, Giacomo.
A 19 anni fu condannato ad una pena di 12 anni, scontata parzialmente nel carcere dell' Ucciardone, per aver ucciso in una rissa un suo coetaneo, venendo però scarcerato nel 1956. Insieme a Liggio e alla sua banda, Riina iniziò ad occuparsi di macellazione clandestina di bestiame rubato nei terreni della società armentizia di contrada Piano di Scala. Nel 1958 Liggio eliminò il suo capo Michele Navarra e nei mesi successivi, insieme alla sua banda di cui faceva parte Riina, scatenò un conflitto contro gli ex-uomini di Navarra, che furono in gran parte assassinati fino al 1963.
Riina venne però arrestato nel dicembre del 1963 a Corleone: una notte fu fermato, nella parte alta del paese, da una pattuglia di agenti di Polizia di cui faceva parte anche il commissario Angelo Mangano il quale nel 1964 parteciperà, sotto la direzione del tenente colonnello dei Carabinieri Ignazio Milillo, alla cattura di Luciano Liggio. Riina, che aveva una carta d'identità rubata (dalla quale risultava essere "Giovanni Grande" da Caltanissetta) ed una pistola non regolarmente dichiarata, tentò di scappare ma venne braccato e facilmente catturato dalle forze dell'ordine. Fu riconosciuto dall'agente Biagio Melita.
Tuttavia, dopo aver scontato alcuni anni di prigione al carcere dell'Ucciardone (dove conobbe Gaspare Mutolo), fu assolto per insufficienza di prove nel processo svoltosi a Bari nel 1969. Dopo l'assoluzione, Riina si trasferì con Liggio a Bitonto, in provincia di Bari, ma il Tribunale di Palermo emise un'ordinanza di custodia precauzionale nei loro confronti. Riina tornò da solo a Corleone, dove venne arrestato e gli venne applicata la misura del soggiorno obbligato; scarcerato e munito di foglio di via obbligatorio, Riina non raggiunse mai il soggiorno obbligato e si rese irreperibile, dando inizio alla sua lunga latitanza.

L'ascesa ai vertici di Cosa Nostra
Il 10 dicembre 1969 Riina fu tra gli esecutori della cosiddetta «strage di Viale Lazio», che doveva punire il boss Michele Cavataio. Nel periodo successivo Riina sostituì spesso Liggio nel "triumvirato" provvisorio di cui faceva parte con i boss Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti, che aveva il compito di dirimere le dispute tra le varie cosche della provincia di Palermo. Riina e Liggio divennero i principali capi-elettori del loro compaesano Vito Ciancimino, il quale venne eletto sindaco di Palermo; nel 1971 Riina fu esecutore materiale dell'omicidio del procuratore Pietro Scaglione e, nello stesso anno, partecipò ai sequestri a scopo di estorsione ordinati da Liggio a Palermo: furono rapiti Antonino Caruso, figlio dell'industriale Giacomo, ed anche il figlio del costruttore Francesco Vassallo mentre nel 1972 Riina stesso ordinò il sequestro del costruttore Luciano Cassina, nel quale vennero implicati uomini della cosca di Giuseppe Calò: l'obiettivo principale di Riina non era solo quello di incassare il denaro del riscatto ma anche quello di colpire Badalamenti e Bontate, che erano legati al padre dell'ostaggio, il conte Arturo Cassina, che aveva il monopolio della manutenzione della rete stradale, dell'illuminazione pubblica e della rete fognaria a Palermo.


Attraverso Liggio, Riina divenne "compare di anello" di Mico Tripodo, boss della 'Ndrangheta, e si legò ai fratelli Nuvoletta, camorristi napoletani affiliati a Cosa Nostra, con cui avviò un contrabbando di sigarette estere. Nel 1974 Riina divenne il reggente della cosca di Corleone dopo l'arresto di Liggio e l'anno successivo fece sequestrare ed uccidere Luigi Corleo, suocero di Nino Salvo, ricco e famoso esattore affiliato alla cosca di Salemi; il sequestro venne attuato per dare un duro colpo al prestigio di Badalamenti e di Bontate, i quali erano legati a Salvo e non riusciranno ad ottenere né la liberazione dell'ostaggio, né la restituzione del corpo, anche se Riina negò con forza ogni coinvolgimento nel sequestro.
Nel 1978 Riina mise Badalamenti in minoranza nella "Commissione" con una scusa e lo fece espellere, facendo passare l'incarico di dirigere la "Commissione" a Michele Greco, con cui era strettamente legato. Per queste ragioni, Giuseppe Di Cristina, capo della cosca di Riesi legato a Bontate e Badalamenti, tentò di mettersi in contatto con i Carabinieri, accusando Riina e il suo luogotenente Bernardo Provenzano di essere responsabili di numerosi omicidi per conto di Liggio, all'epoca detenuto; alcuni giorni dopo le sue confessioni, Di Cristina venne ucciso a Palermo mentre qualche tempo dopo anche il suo associato Giuseppe Calderone, capo della Famiglia di Catania, finì assassinato dal suo luogotenente Nitto Santapaola, che si era accordato con Riina.
Nel 1981 Riina fece eliminare Giuseppe Panno, capo della cosca di Casteldaccia strettamente legato a Bontate, il quale reagì organizzando un complotto per uccidere Riina, che però venne rivelato da Michele Greco; Riina allora fece assassinare Bontate e il suo associato Salvatore Inzerillo: i due omicidi diedero inizio alla cosiddetta «seconda guerra di mafia» e nei mesi successivi nella provincia di Palermo lo schieramento dei boss che facevano capo a Riina uccisero oltre 200 mafiosi della fazione Bontate-Inzerillo-Badalamenti mentre molti altri rimasero vittime della cosiddetta «lupara bianca». Il massacro continuò fino al 1982, quando si insediò una nuova "Commissione", composta soltanto da capimandamento fedeli a Riina e guidata dallo stesso Riina.


Legami con la politica
Il principale referente politico di Riina inizialmente fu Vito Ciancimino, il quale nel 1976 instaurò un rapporto di collaborazione con la corrente dell'onorevole Giulio Andreotti, in particolare con Salvo Lima, che sfociò poi in un formale inserimento in tale gruppo politico e nell'appoggio dato dai delegati vicini a Ciancimino alla corrente andreottiana in occasione dei congressi nazionali della Democrazia Cristiana svoltisi nel 1980 e nel 1983. Per proteggere gli interessi di Ciancimino, Riina propose alla "Commissione" gli omicidi dei suoi avversari politici: il 9 marzo 1979 fu ucciso Michele Reina, segretario provinciale della Democrazia Cristiana che era entrato in contrasto con costruttori legati a Ciancimino; il 6 gennaio 1980 venne eliminato Piersanti Mattarella, presidente della Regione che contrastava Ciancimino per un suo rientro nel partito con incarichi direttivi; il 30 aprile 1982 venne trucidato Pio La Torre, segretario regionale del PCI che aveva più volte indicato pubblicamente Ciancimino come personaggio legato a Cosa Nostra.
Dopo l'inizio della «seconda guerra di mafia», i cugini Ignazio e Nino Salvo, ricchi e famosi esattori affiliati alla cosca di Salemi, passarono dalla parte dello schieramento dei Corleonesi, che faceva capo proprio a Riina, e furono incaricati di curare le relazioni con l'onorevole Salvo Lima, che divenne il nuovo referente politico di Riina, soprattutto per cercare di ottenere una favorevole soluzione di vicende processuali; infatti, sempre secondo i collaboratori di giustizia, l'onorevole Lima si sarebbe attivato per modificare in Cassazione la sentenza del Maxiprocesso di Palermo che condannava Riina e molti altri boss all'ergastolo. In particolare, il collaboratore Baldassare Di Maggio riferì che nel 1987 accompagnò Riina nella casa di Ignazio Salvo a Palermo, dove avrebbe incontrato Lima e il suo capocorrente Giulio Andreotti per sollecitare il loro intervento sulla sentenza; la testimonianza dell'incontro venne però considerata inattendibile nella sentenza del processo contro Andreotti.
Tuttavia però il 30 gennaio 1992 la Cassazione confermò gli ergastoli del Maxiprocesso e sancì la validità delle dichiarazioni del pentito Tommaso Buscetta. Sempre secondo le testimonianze dei collaboratori di giustizia, Riina decise allora di lanciare un avvertimento ad Andreotti, che si era disinteressato alla sentenza ed anzi aveva firmato un decreto-legge che aveva fatto tornare in carcere gli imputati del Maxiprocesso scarcerati per decorrenza dei termini e quelli agli arresti domiciliari: per queste ragioni il 12 marzo 1992 Lima venne ucciso alla vigilia delle elezioni politiche ed, alcuni mesi dopo, la stessa sorte toccò ad Ignazio Salvo.


Le ritorsioni verso i collaboratori di giustizia
Le deposizioni dei collaboratori di giustizia (su tutti Tommaso Buscetta) scatenarono la ritorsione di Cosa Nostra su precisa indicazione di Totò Riina, il quale autorizzò i capofamiglia ad eliminare i familiari dei pentiti "sino al 20º grado di parentela", compresi i bambini e le donne.

Il Papello e la trattativa con lo stato
L'allora vicecomandante dei Ros, Mario Mori, incontrò tra giugno e ottobre 1992 Vito Ciancimino, proponendo una trattativa con Cosa Nostra per mettere fine alla lunga scia di stragi che insanguinavano Palermo. La proposta era in realtà, secondo la versione fornita da Mori, una trappola per cercare di stanare qualche latitante, ma Riina rispose alla richiesta con il famoso Papello, un documento di richieste per ammorbidire le condizioni dei detenuti, degli indagati, delle loro famiglie, la cancellazione della legge sui pentiti e la revisione del maxiprocesso.
L'esistenza della trattativa tra stato e Cosa Nostra è stata successivamente smentita dallo stesso Mori. Il 12 marzo 2012, però, nella motivazione della sentenza del processo a Francesco Tagliavia per le stragi del 1992 - 1993, i giudici scrivono che la trattativa tra Stato e Cosa nostra "ci fu e venne quantomeno inizialmente impostata su un do ut des [...] L'iniziativa fu assunta da rappresentanti dello Stato e non dagli uomini di mafia".

L'arresto

Il 15 gennaio del 1993 fu catturato dal Crimor (squadra speciale dei ROS guidata dal Capitano Ultimo). Riina, latitante dal 1969, venne arrestato al primo incrocio davanti alla sua villa in via Bernini n. 54, insieme al suo autista Salvatore Biondino, a Palermo. Nella villa aveva trascorso alcuni anni della sua latitanza insieme alla moglie Antonietta Bagarella e ai suoi figli. L'arresto fu favorito dalle dichiarazioni rese nei giorni precedenti dall'ex autista di Riina, Baldassare (Balduccio) Di Maggio al generale dei carabinieri Francesco Delfino, che decise di collaborare per ritorsione verso Cosa Nostra che lo aveva condannato a morte.








Il carcere
A partire dal dicembre 1995, Riina è stato rinchiuso nel supercarcere dell'Asinara, in Sardegna. In seguito è stato trasferito al carcere di Marino del Tronto ad Ascoli Piceno dov
e, per circa tre anni, è stato sottoposto al carcere duro previsto per chi commette reati di mafia, il 41 bis, ma il 12 marzo del 2001 gli venne revocato l'isolamento, consentendogli di fatto la possibilità di vedere altri detenuti nell'ora di libertà.
Proprio mentre era sottoposto a regime di 41 bis, il 24 maggio 1994 durante una pausa del processo di primo grado a Reggio Calabria per l'uccisione del giudice Antonino Scopelliti fu raggiunto dal capo-redattore della Gazzetta del Sud Paolo Pollichieni, al quale rilasciò dichiarazioni minacciose contro il procuratore Giancarlo Caselli ed altri rappresentanti delle istituzioni, lamentandosi delle severe condizioni imposte dal carcere duro. L'intervento di Riina causò l'apertura di un provvedimento disciplinare da parte del Consiglio Superiore della Magistratura contro il pubblico ministero Salvatore Boemi, accusato di non aver vigilato sul detenuto. Dopo pochi mesi dalle dichiarazioni del boss corleonese il regime di 41 bis (allora valido per soli tre anni, decorsi i quali decadeva la sua applicabilità) è stato rafforzato mediante vari interventi legislativi volti a renderlo prorogabile di anno in anno.
Nella primavera del 2003 subisce un intervento chirurgico per problemi cardiaci, e nel maggio dello stesso anno viene ricoverato nell'ospedale di Ascoli Piceno per un infarto. Sempre nel 2003, a settembre, viene nuovamente ricoverato per problemi cardiaci. Il 22 maggio 2004, nell'udienza del processo di Firenze per la strage di via dei Georgofili, accusa il coinvolgimento dei servizi segreti nelle stragi di Capaci e via d'Amelio, e riferisce dei contatti fra l'allora colonnello Mario Mori e Vito Ciancimino, attraverso il figlio di lui Massimo al tempo non convocato in dibattimento.Trasferito nel carcere milanese di Opera, viene nuovamente ricoverato nel 2006 all'ospedale San Paolo di Milano, sempre per problemi cardiaci.Nel novembre 2013 trapela la notizia di minacce da parte del Riina nei confronti del magistrato Antonino Di Matteo, il pm che aveva retto l'accusa in numerosi procedimenti penali a suo carico. Il 4 marzo 2014 viene nuovamente ricoverato.
Muore nel carcere di Parma nel novembre 2017.





Il processo per la trattativa Stato-Mafia
Dal carcere di Opera, il 19 luglio 2009, nel ricorrerne l'anniversario, Riina espresse di nuovo la sua posizione secondo cui la strage di via d'Amelio sarebbe da imputare ad altri soggetti e non a lui, nello stesso periodo in cui Massimo Ciancimino annunciò che avrebbe consegnato ai magistrati il “papello”, una sola pagina a firma di Riina che conterrebbe le condizioni poste dalla mafia allo Stato. Tuttavia i legali di Riina smentirono che il loro assistito abbia partecipato a una trattativa fra Stato e mafia:
« Abbiamo parlato della trattativa. Riina sostiene che è stato oggetto e non soggetto di quella trattativa di cui tanto si è discusso in questi anni. Lui sostiene che la trattativa è passata sopra di lui, che l'ha fatta Vito Ciancimino per conto suo e per i suoi affari e insieme ai carabinieri: e che lui, Totò Riina, era al di fuori. Non a caso io, come suo difensore, proprio al processo per le stragi di Firenze già quattro anni fa ho chiesto che venisse ascoltato Massimo Ciancimino in aula proprio sulla trattativa. Riina voleva che Ciancimino deponesse, purtroppo la Corte ha respinto la mia istanza»
Il 24 luglio 2012 la Procura di Palermo, sotto Antonio Ingroia e in riferimento all'indagine sulla Trattativa Stato-Mafia, ha chiesto il rinvio a giudizio di Riina e altri 11 indagati accusati di "concorso esterno in associazione mafiosa" e "violenza o minaccia a corpo politico dello Stato". Gli altri imputati sono i politici Calogero Mannino, Marcello Dell'Utri, gli ufficiali Mario Mori e Giuseppe De Donno, i boss Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella, Antonino Cinà e Bernardo Provenzano, il collaboratore di giustizia Massimo Ciancimino (anche "calunnia") e l'ex ministro Nicola Mancino ("falsa testimonianza").

giovedì 13 febbraio 2014

CESARE MANZELLA


cesare manzanella

Cesare Manzella nacque a Cinisi, 18 dicembre 1897; dopo un periodo di permanenza negli Stati Uniti, dove trascorse diversi anni nell'organizzare una catena di case da gioco a Chicago, Manzella fece il suo ritorno a Cinisi dopo essere stato espulso dalle autorità statunitensi nel 1947. A Cinisi era proprietario di una vasta piantagione di cedri. Manzella viene descritto come un violento e un prepotente, dai locali Carabinieri. È un individuo astuto che ha ottime capacità organizzative che gli permettono di godere di un certo potere sulle fazioni criminali e mafiose locali. Non solo a Cinisi, ma anche nelle vicine comunità locali di Carini, Torretta, Terrasini, Partinico, Borgetto e Camporeale.
Fu membro della prima Commissione mafiosa siciliana formatasi nel 1958. Manzella amava mostrarsi come un benefattore. Per questo motivo si faceva vedere per le strette stradine di Cinisi con il suo ampio cappello americano, regalando caramelle agli orfani e ai mendicanti di strada. Dedicò parte dei suoi profitti illeciti per la costruzione di un orfanotrofio. 
Fu protagonista della prima guerra di mafia scoppiata a causa del sabotaggio di un grosso carico di eroina finanziato da Manzella, da Salvatore Greco da Ciaculli e da Angelo La Barbera della cosca di Palermo. Il sospetto cadde su Calcedonio Di Pisa, il quale aveva procurato il carico di eroina per Manzella dal suo trafficante corso Pascal Molinelli, ed aveva poi organizzato le operazioni di trasporto verso i partner di Manzella a New York. Il caso venne portato dinanzi alla Commissione mafiosa in seno alla quale sorsero disaccordi su come gestirlo, portando così ad uno scontro sanguinoso conosciuto appunto come prima guerra di mafia fra la cosca dei Greco, guidata da Salvatore Greco, e il clan La Barbera.
Il primo episodio della guerra fu l'uccisione di Di Pisa assassinato il 26 dicembre 1962. Manzella scelse di affiancare i Greco e divenne l'obiettivo principale della cosca rivale. Venne ucciso il 26 aprile 1963, quando un'autobomba in mezzo alla strada esplose con lui al suo interno mentre cercava di spostarla. A lui succedette il suo vicecapo Gaetano Badalamenti come nuovo boss della Famiglia di Cinisi. Manzella era imparentato con Giuseppe Impastato, l'attivista Antimafia assassinato nel 1978. L'attività di Peppino Impastato contro la mafia sembra essere stata ispirata dal brutale omicidio di Manzella, quando il giovane Peppino aveva solo 15 anni d'età. Peppino venne fortemente traumatizzato da quella esecuzione all'interno della sua famiglia. "E questa è la mafia? Se questa è la mafia allora io la combatterò per il resto della mia vita."

mercoledì 22 gennaio 2014

ENRICO MATTEI


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« Se in questo paese sappiamo fare le automobili, dobbiamo saper fare anche la benzina »
(Enrico Mattei a Vittorio Valletta)



Enrico Mattei nacque ad Acqualagna, piccolo paese della provincia di Pesaro-Urbino, il 29 aprile 1906 in una famiglia modestavisto che nell'età giovanile non sembrava ottenere risultati positivi, né dimostrare costanza negli studi, fu avviato all'attività lavorativa dal padre, che lo fece assumere quale apprendista in una fabbrica di letti metallici in provincia di Macerata, dove la famiglia si era trasferita nel 1919; qui avvenne il suo primo contatto con i prodotti chimici, in particolare vernici e solventi. Nel 2007 è stata ritrovata la tessera di adesione al partito fascista (1922). In merito alla supposta sua condivisione del fascismo, Indro Montanelli (che ne fu critico severo) affermò che «l'ambizione di questo self-made man lo portava senza scampo a compromissioni con il regime al potere». Iniziò a soli vent'anni la carriera dirigenziale in una piccola azienda in cui era entrato quale operaio, si trasferì successivamente a Milano dove inizialmente svolse l'attività di agente di commercio, sempre nel settore chimico e delle vernici (lavorando come venditore alla Max Meyer). A trent'anni, avviò una propria attività nel settore chimico, con la quale riscosse un certo successo sino a divenire fornitore delle Forze Armate. Nel 1936 sposò la ballerina austriaca Margherita Paulas. 

Mattei partigiano
Durante la seconda guerra mondiale partecipò alla Resistenza come partigiano, tra i cosiddetti "bianchi" (area politica cattolica), dimostrandosi subito un valido condottiero e un buon diplomatico; a latere resta il giudizio di Luigi Longo, del quale divenne amico personale: «Sa utilizzare benissimo le sue relazioni con industriali e preti», essendo l'uomo di riferimento della Democrazia Cristiana nel CLN; in tale attività consolidò le sue amicizie con altri partigiani che rimasero per lui persone di riferimento nell'ambito della politica; in seguito, proprio fra i suoi compagni di Resistenza avrebbe cercato, da presidente dell'Eni, gli uomini fidati cui affidare la sua sicurezza personale.Andati vani alcuni tentativi di approccio, alla fine del 1942, con le organizzazioni clandestine antifasciste (per le quali la passata simpatia per il fascismo costituiva un'ovvia ragione di diffidenza), entrò nella Resistenza nel 1943 con una lettera di presentazione di Boldrini che lo fece ricevere a Roma da Giuseppe Spataro, che stava provando a riorganizzare il Partito Popolare dopo la stesura del cosiddetto «Codice di Camaldoli». Spataro lo accreditò presso i popolari milanesi e dopo l'armistizio di Cassibile (reso pubblico l'8 settembre 1943), Mattei cominciò a operare nelle Marche per il CLN. Alla formazione conferì inizialmente un apporto di natura logistica e organizzativa, procurando armi, vettovaglie e viveri, medicine, e altri generi utili; riuscì inoltre a intessere una rete informativa, nella quale coinvolse anche diversi parroci, grazie alla quale si procacciava informazioni "fresche" sugli spostamenti del nemico. Non appena la sua attività cominciò a destare attenzione, assunse il nome di battaglia di "Marconi" e quando le SS cominciarono a interessarsi più da vicino alla sua persona, perquisendogli la casa di Matelica, Mattei tornò a Milano dove - dopo un periodo di quiete - si mise a capo di una formazione operante nell'Oltrepò Pavese.Arruolò un numero rilevante di volontari (più di quarantamila al 25 aprile del 1945) e condusse diverse azioni militari, di tanto in tanto rientrando a Milano, dove Boldrini nel frattempo era preso dalla costruzione della nascente Democrazia Cristiana insieme a Giuseppe Dossetti, Amintore Fanfani, Ezio Vanoni, Augusto De Gasperi (fratello di Alcide), Orio Giacchi, Enrico Falck (della omonima famiglia di industriali) e altri futuri esponenti della DC.Nel 1944 Mattei fu chiamato a rappresentare le formazioni partigiane cattoliche nella Segreteria per l'Altitalia della nascente DC di De Gasperi e Gronchi; raccontò Giacchi che Mattei gli si sarebbe presentato autocandidandosi o forse imponendosi come candidato («Sono italiano, ma anche cattolico, vorrei menar le mani in uno schieramento cattolico»). Divenne così un dirigente del partito.Nel frattempo ottenne il diploma di ragioneria e si iscrisse insieme al fratello a Scienze politiche all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Poco dopo divenne, su investitura di Giacchi, il rappresentante della DC presso il ramo militare del CLNAI. Divenne anche il capo militare delle bande partigiane cattoliche e come tale si fece mediatore, ponendo in contatto le formazioni partigiane anche non cattoliche e il clero. Con Falck si diede alla raccolta di fondi e i due ebbero un discreto successo nell'attività, tanto che Mattei fu incaricato anche di amministrarli e Longo lo definì «il tesoriere del Corpo volontari della libertà, onesto, scrupoloso, imparziale». Fu poi vice capo di Stato maggiore addetto all'intendenza.Il 26 ottobre del 1944 fu arrestato nella sede milanese della costituenda DC, insieme ad altri esponenti politici, dalla polizia politica della Repubblica Sociale Italiana. Recluso in un carcere di Como, ne evase il 3 dicembre con la complicità di una guardia.Il suo ruolo al vertice delle organizzazioni partigiane crebbe ancora e Mattei si trovò in pratica a divenire l'interlocutore di Ferruccio Parri e di Luigi Longo, il quale svelò che era stato fra coloro che avevano chiesto che Mussolini e altri eventuali arrestati fossero «passati per le armi sul posto della cattura» anziché consegnati agli Alleati.Alla liberazione, Mattei fu uno dei sei esponenti del CLN alla testa della manifestazione di Milano.

L' ENI
Tre giorni dopo la liberazione, il 28 aprile 1945, fu nominato da Cesare Merzagora commissario liquidatore dell'Agip, ente statale per la produzione (estrazione), lavorazione e distribuzione dei petroli. L'incarico avrebbe dovuto limitarsi alla liquidazione e alla chiusura dell'azienda pubblica, ma appena si fu insediato, ebbe modo di valutare le potenzialità di sviluppo dell'ente, convincendosi che avrebbe potuto essere una risorsa di grande utilità per il Paese. Mattei si insediò il 12 maggio 1945, la sua nomina fu poi ratificata il 16 giugno da Charles Poletti, capo dell'amministrazione militare alleata. Il fratello Umberto veniva intanto nominato presidente del Comitato Oli e Grassi, mentre il fidato Vincenzo Cazzaniga, un dirigente della Standard NJ conosciuto, come Eugenio Cefis e Alberto Marcora, durante la clandestinità partigiana, divenne presidente del Comitato Oli Minerali Carburanti e Succedanei. Invece di seguire le istruzioni del Governo, riorganizzò l'azienda fondando nel 1953 l' ENI, di cui l' Agip divenne la struttura portante. Mattei diede un nuovo impulso alle perforazioni petrolifere nella Pianura Padana, avviò la costruzione di una rete di gasdotti per lo sfruttamento del metano, e aprì all'energia nucleare. Sotto la sua presidenza l' ENI negoziò rilevanti concessioni petrolifere in Medio Oriente e un importante accordo commerciale con l'Unione Sovietica (grazie all'intermediazione di Luigi Longo, suo amico durante la guerra partigiana e più tardi segretario del Partito Comunista Italiano); iniziative che contribuirono a rompere l'oligopolio delle 'Sette sorelle', che allora dominavano l'industria petrolifera mondiale. Mattei introdusse inoltre il principio per il quale i Paesi proprietari delle riserve dovevano ricevere il 75% dei profitti derivanti dallo sfruttamento dei giacimenti. Pur non essendo attivamente impegnato in politica, era vicino alla sinistra democristiana e fu parlamentare dal 1948 al 1953. Per la sua attività Mattei nel 1961 fu insignito della laurea in ingegneria ad honorem dalla Facoltà di Ingegneria (ora Politecnico) dell'Università degli Studi di Bari. Fu insignito anche di altre lauree honoris causa, della croce di cavaliere del lavoro e della Bronze Star Medal dell'Esercito statunitense (5 maggio 1945), nonché della Cittadinanza onoraria del comune di Cortemaggiore e post mortem, l'11 aprile 2013 la Cittadinanza onoraria del comune di Ferrandina (MT), dove nel 1958 l'Agip Mineraria fece alcuni studi e trovò il metano nella Valle del Basento.


enrico mattei sorridente

Morì nel 1962, in un misterioso incidente aereo le cui cause rimasero oscure per moltissimi anni. In seguito a nuove evidenze, nel 2005 fu stabilita la natura dolosa dell'incidente; vennero infatti ritrovati segni di esposizione a esplosione su parti del relitto, sull'anello e sull'orologio di Mattei.

aereo in caduta mattei

Le sette sorelle al tempo di Mattei:
  1. Standard Oil of New Jersey, successivamente trasformatasi in Esso (poi Exxon negli USA) e in seguito fusa con la Mobil per diventare ExxonMobil; Stati Uniti
  2. Royal Dutch Shell, Anglo-Olandese; Regno Unito Paesi Bassi
  3. Anglo-Persian Oil Company, successivamente trasformatasi in British Petroleum (BP); Regno Unito
  4. Standard Oil of New York, successivamente trasformatasi in Mobil e in seguito fusa con la Exxon per diventare ExxonMobil; Stati Uniti
  5. Texaco, successivamente fusa con la Chevron per diventare ChevronTexaco; Stati Uniti
  6. Standard Oil of California (Socal), successivamente trasformatasi in Chevron, ora ChevronTexaco; Stati Uniti
  7. Gulf Oil, in buona parte confluita nella Chevron. Stati UnitiImage result for matteiBUSCETTA: COSA NOSTRA UCCISE ENRICO MATTEI
Nella prima Commissione provinciale di Cosa Nostra a Palermo non si parlava né di delitti "eccellenti" né di appalti né di politica, fatta eccezione per quando ci si trovava a ridosso delle elezioni. A dire il vero, in quegli anni un delitto eccellente, anzi eccellentissimo, Cosa Nostra, lo eseguì. Mi riferisco alla scomparsa di Enrico Mattei, il presidente dell' Eni, avvenuta nel famoso incidente aereo dell' ottobre 1962. Mi rendo conto che sto rivelando un segreto e sono consapevole delle conseguenze che ne deriveranno. Ma devo mantenere fede all' impegno che ho preso dopo la strage di Capaci. Ho intenzione di raccontare tutto quello che ho omesso di riferire nel corso delle deposizioni davanti a Giovanni Falcone, tra cui ciò che so a proposito del caso Mattei e del caso De Mauro. Fu Cosa Nostra siciliana, in una seduta della sua prima Commissione, a decretare la morte di Enrico Mattei. Ciò mi consta personalmente in quanto avevo molti amici che sedevano nella Commissione e che mi riferivano il contenuto delle discussioni. Il piano per eliminare Mattei mi fu illustrato da Salvatore Greco ' Cicchiteddu' e da Salvatore La Barbera, che faceva parte della Commissione ed era il capo del mio mandamento. Mattei fu ucciso su richiesta di Cosa Nostra americana perché con la sua politica aveva danneggiato importanti interessi americani in Medio Oriente. A muovere le fila erano molto probabilmente le compagnie petrolifere, ma ciò non risultò a noialtri direttamente, in quanto arrivò Angelo Bruno, della famiglia di Filadelfia, e ci chiese questo favore a nome della Commissione degli Stati Uniti. ' Niente armi nè azioni spettacolari' La questione venne trattata in Commissione e non ci furono opposizioni di rilievo. Non emersero posizioni di "neutralità" rispetto a una richiesta così impegnativa. Tutti volevamo contribuire a rinsaldare i legami con gli americani. Le uniche discussioni riguardarono le modalità dell' attentato e gli uomini d' onore che si sarebbero assunti il compito di attuarlo. Si pensò di non usare armi da fuoco né di ricorrere ad azioni spettacolari che avrebbero potuto rivelare la matrice "mafiosa" del fatto. Se avessimo ucciso Mattei mentre si trovava al ristorante o durante una manifestazione pubblica, tutti avrebbero pensato alla mafia. Occorreva pertanto studiare un metodo per eliminarlo del tutto inusuale per noi e tale da fare in modo che l' episodio rimanesse avvolto nel mistero più fitto. Salvatore Greco ' Cicchiteddu' si assunse il compito di organizzare materialmente l' attentato. Egli, a sua volta, si consultò con Stefano Bontade. Ma per eseguire un progetto così impegnativo c' era bisogno di coinvolgere diversi personaggi di spicco. Allora ' Cicchiteddu' chiese la collaborazione di Antonio Minore, Bernardo Diana e Giuseppe Di Cristina, il quale, provenendo da Riesi, nei pressi di Catania, poteva fornire gli appoggi necessari. Ricordo che Stefano Bontade mi chiese di accompagnarlo un paio di volte a Catania. In quelle occasioni lo vidi contattare alcuni elementi locali di Cosa Nostra, tra cui Salvatore Ferrera, detto ' Cavaduzzo' .
Durante le nostre prime visite soggiornammo in albergo. Successivamente, come mi raccontò Bontade, questi fece altre visite in forma clandestina. Il contatto con Mattei fu stabilito da Graziano Verzotto, un uomo di potere che rappresentava l' Agip in Sicilia e militava nella Democrazia cristiana. Verzotto non era informato, ovviamente, del progetto di Cosa Nostra, ma era molto legato a Di Cristina. Che i due fossero strettamente collegati mi risulta direttamente perché verso il 1973-74 sono stato in carcere assieme a Di Cristina e lui mi parlò della sua amicizia con Verzotto. Anzi, Di Cristina mi confidò che nutriva qualche riserva su di lui, in quanto lo riteneva un personaggio ambiguo, amico sia di Cosa Nostra sia della polizia. Penso che fu proprio Verzotto, o lo stesso Di Cristina a presentare a Mattei un gruppo di giovanotti della mafia (quelli che ho nominato prima più Stefano Bontade) che lo portarono a caccia - sapevamo che Mattei aveva una passione per questo sport - nei dintorni di Catania il giorno prima della sua morte. Di Cristina procurò l' accesso a una riserva privata dove accompagnare Mattei. L' aereo di quest' ultimo fu manomesso durante questa battuta di caccia. Esisteva, ovviamente, una vigilanza che doveva essere elusa. Ma la vigilanza di quei tempi non era quella di oggi: consisteva in un paio di guardie che passeggiavano su e giù nei pressi dell' aereo. La battuta di caccia con i ' picciotti' La battuta di caccia aveva lo scopo di rassicurare Mattei a proposito delle intenzioni della mafia nei suoi confronti. E' uno degli espedienti classici di Cosa Nostra: quando si deve compiere un' esecuzione, la vittima deve essere avvicinata da un amico che dissipa i suoi sospetti, la tranquillizza, la rende più accessibile e ne facilita così l' eliminazione. Mattei sapeva benissimo con chi si incontrava e con chi andava a caccia. Era un uomo spregiudicato e audace, a cui piacevano le cose rischiose e fuori della norma. Si riuscì a illuderlo di godere della protezione della mafia e a non preoccuparsi, di conseguenza, di rafforzare la vigilanza intorno a sé e al suo aereo.

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Non conosco i dettagli dell' attentato e non credo che altri li conoscano, fatta eccezione ovviamente per gli esecutori. Non sono in grado di affermare se è stata usata una bomba o qualche altro sistema. Quel gruppo di giovanotti, una volta ricevuto l' incarico hanno agito in completa autonomia, secondo lo stile di Cosa Nostra, senza esser cioè tenuti a render conto ad alcuno dei mezzi impiegati per portare a termine il progetto. Ho rivelato uno dei segreti meglio conservati di Cosa Nostra: devo solo aggiungere che anche il rapimento di Mauro De Mauro, il giornalista dell' "Ora" di Palermo scomparso nel 1970, è stato effettuato da Cosa Nostra. De Mauro stava indagando sulla morte di Mattei e aveva ottime fonti all' interno di Cosa Nostra. Stefano Bontade venne a sapere che De Mauro stava avvicinandosi troppo alla verità - e di conseguenza al ruolo che egli stesso aveva giocato nell' attentato - e organizzò il "prelevamento" del giornalista in via delle Magnolie. De Mauro fu rapito per ordine di Stefano Bontade che incaricò dell' operazione il suo vice Girolamo Teresi. La scomparsa di De Mauro non suscitò alcun commento all' interno di Cosa Nostra. Era stato "spento" un nostro nemico e si dette per scontato che il triumvirato che reggeva allora l' associazione in luogo della Commissione provinciale, formato da Stefano Bontade, Gaetano Badalamenti e Luciano Liggio, avesse autorizzato l' azione.

Pasolini il libro:Petrolio e le accuse a Cefis





gian maria volonte


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