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martedì 4 dicembre 2018

TONY CHICHIARELLI - Il Principe dei Falsari.

toni chicchiarelli

Tony Chichiarelli




1984 La morte

1984 sono le 3 di notte, in via Martini, quartiere Talenti, a due passi da viale Jonio, Chicchiarelli rincasa a bordo della sua Mercedes 190, insieme alla compagna ventunenne Cristina ed al figlioletto di appena un mese  sul sedile posteriore dell'auto.

Ha appena abbandonato una cena, ai commensali dice che il cappellano di Regina Coeli lo deve far entrare di nascosto per parlare con qualcuno.

Arrivato a casa un anonimo assassino attende che la compagna di Chichiarelli scenda dall'auto per aprire il portone di casa e le spara a bruciapelo un colpo con una pistola munita di silenziatore.

La pallottola trapassa un occhio della vittima ed esce dalla parte posteriore del cranio.

La donna viene raggiunta all'occhio sinistro, braccio ed avambraccio destro dai colpi d'una pistola calibro sei e trentacinque e s'accascia priva di conoscenza accanto allo sportello aperto della Mercedes 190.

Chichiarelli allora scende di corsa dall'auto all'inseguimento dell'assassino, ma questi ad un certo punto si volta e gli scarica addosso l'intero caricatore della pistola: prima lo colpisce due volte al torace, Chichiarelli fugge ma il killer lo raggiunge nell'attigua via Landini e lo finisce con due colpi alla testa.

Al rumore degli spari, due metronotte, si precipitano fuori e si danno all'inseguimento dello sparatore, un giovane"di piccola statura, poco più d' un metro e sessanta, con indosso calzoni jeans ed un giubbetto forse di colore verde".

La ragazza si salva, ma Chichiarelli muore, a trentasei anni, alle sette del mattino, senza avere ripreso conoscenza.

Muore dopo alcune ore all'ospedale, nella prima mattina del 28 settembre; lo sparatore che lo ha centrato con sette colpi su dieci, un vero professionista ingaggiato da ignoti era l'esecutore di un tipico "regolamento di conti".

Il primo mistero di quest'omicidio riguarda l'identità del vero bersaglio dell'agguato. Sembra probabile che non fosse Chichiarelli il vero obiettivo, ma la sua compagna.

Un'intimidazione che ebbe un esito non previsto: l'assassino spara a Chichiarelli solo dopo che questi aveva iniziato ad inseguirlo.

La tipologia dell'agguato, inoltre, sembrerebbe esser riconducibile sia ad un regolamento di conti tra malavitosi, che ad un'intimidazione tipica della guerra di spie.

A parte la dinamica dell'omicidio, anche la mancata autopsia sul cadavere non permise di appurare dati assai importanti concernenti il calibro dei proiettili.

Ma i misteri più fitti emersero in seguito alla morte del falsario.

A casa di Tony vengono reperite due rivoltelle calibro 38 special con matricola abrasa e, dentro un contenitore di pellicole fotografiche, un cartoccetto di polvere bianca.

All'interno della cassaforte giacciono 37 milioni in contanti, gioielli e oggetti di grande valore ed una videocassetta.

Vi era registrato lo "Speciale Tg1" sulla rapina alla Brink' s Securmark di soli sei mesi prima.

Vennero pure trovate delle fotografie "Polaroid". In esse era ritratto Aldo Moro vivo nella "Prigione del Popolo" brigatista.

La vita

Danilo Abbruciati
Antonio Giuseppe Chichiarelli, soprannominato Tony, nasce il 16 gennaio 1948 a Rosciolo, frazione di Magliano dei Marsi (AQ), un paese dell'Abruzzo arroccato sugli Appennini.

Nel 1951 rimane orfano di madre, dopo le medie, nel 1962 lascia la scuola dove l'unica passione è per il dipinto.

Nel 1968/1969 espletò il servizio di leva nel corpo degli Alpini. Una volta congedatosi, partì per Roma.

Nel 1970 fu arrestato dalle Forze dell'Ordine per possesso di pistole e mitra, ma venne rilasciato quasi immediatamente.

I primi anni nella capitale furono anni difficili furti, scippi, truffe e ricettazione gli consentirono di avere auto, moto e donne, ma anche i primi guai con la legge, venendo arrestato due volte.

Inoltre, nel 1976, simpatizzando per l'estrema sinistra gravitò nell'ambito dell'Autonomia capitolina.

Nel corso della seconda carcerazione, a Regina Coeli, divenne molto amico di uno dei futuri capi della Banda della Magliana, Danilo Abbruciati, implicato nello spaccio di droga e nel giro delle rapine, e con contatti con l'estremismo di destra e con la Mafia.


La banda della Magliana

Tramite Abbruciati, Tony fece la conoscenza con il rappresentante di Cosa Nostra nella capitale, Pippo Calò, e col Clan dei marsigliesi, che – a quel tempo – si dividevano il mercato della droga nella capitale.

Anche Flavio Carboni ed agenti dei servizi segreti erano in contatto con Abbruciati e per suo tramite con Chichiarelli.

Pippo Calò
Nel corso del 1977 incontrò Chiara Zossolo, che possedeva una galleria d'arte a Trastevere e che lo introdusse nel mercato dell'arte, in cui cominciò a realizzare e vendere Falsi d'autore.

In quell'anno aprì un negozio di mobili ed attrezzature per l'ufficio: proprio dal suo negozio uscì la macchina da scrivere con cui fu redatto il falso comunicato n. 7 delle Brigate Rosse durante il rapimento di Aldo Moro.

Nel gennaio del 1978, Tony prese in affitto, per una cifra allora assai elevata (950.000 lire mensili) una lussuosa villa in Viale Sudafrica, nell'esclusivo quartiere dell'EUR, dove andò a vivere con Chiara, che di lì a poco divenne sua moglie.

Nonostante le sue simpatie politiche per la sinistra extraparlamentare, Tony, in qualità di componente della Banda della Magliana (legata a filo doppio con i NAR), non esitò a frequentare terroristi di stampo neofascista quali Francesca Mambro e suo marito Giuseppe Valerio Fioravanti, Alessandro Alibrandi, Massimo Sparti, Massimo Carminati ed altri esponenti di spicco dell'eversione di destra. Tramite la moglie, Tony fece pure la conoscenza di un trafficante di materiale tecnologico con la Libia, nonché informatore dei Carabinieri, tal Luciano Dal Bello.

Dal Bello, divenuto amico di Tony, stilò un rapporto su di lui, mettendolo nel contempo in contatto con elementi del tentato Golpe Borghese, soprattutto con un informatore della Polizia, tal Giacomo Comacchio.

1978 il caso Moro

I cinque processi del Caso Moro hanno accertato che fu lui a confezionare il falso comunicato numero sette delle Brigate Rosse ("Il comunicato del Lago della Duchessa", fingendo che fosse stato composto dalle Brigate Rosse) durante i 55 giorni del sequestro, ma non venne mai accertato chi fu a commissionarglielo.

Tony fu certamente a conoscenza dei tentativi di giungere a una conclusione positiva del rapimento di Moro: lo Stato incaricò i Servizi Segreti nella persona di Enzo Casillo di trattare con Raffaele Cutolo quale intermediario per giungere alla prigione di Moro grazie all'aiuto della Banda della Magliana e, forse, fu a conoscenza dell'informazione data ad un altro esponente dei Servizi Segreti, Antonio La Bruna, circa l'esatta localizzazione del covo brigatista di Via Gradoli.

Aldo Moro
Martedì 18 aprile 1978 alle ore 09.25 a.m., alla redazione de Il Messaggero, una telefonata anonima annuncia che in un cestino di rifiuti di piazza Gioacchino Belli a Roma è nascosta una copia del comunicato n. 7 delle Brigate Rosse.

È una fotocopia di un comunicato numero 7 che annuncia l'avvenuta esecuzione di Moro, il cui corpo si troverebbe nel lago della Duchessa. I Brigatisti generalmente lasciano dei ciclostilati.

Il messaggio si presenta subito con caratteristiche completamente diverse dai precedenti: è molto breve, ironico e ha al suo interno diversi errori di ortografia.

Non ci sono gli immancabili slogan conclusivi, l'intestazione "Brigate rosse" è scritta a mano. Nonostante ciò la relazione degli esperti garantisce l'autenticità del comunicato.

L'Italia conosce il dramma della avvenuta esecuzione, e apprende che "il corpo del Presidente è nei fondali del Lago della Duchessa", in Abruzzo.

L'autore di quel falso è Tony Chichiarelli, che ne parla agli amici nel suo piccolo laboratorio dove continua a riprodurre qualunque cosa, soprattutto i suoi quadri.

Chi gli ha commissionato il falso comunicato aveva certamente uno scopo che appare ancor oggi ignoto e neppure è dato conoscere quale fosse il messaggio trasversale che tale comunicato volesse lanciare.

Chichiarelli era stato pure l'artefice di altri documenti e materiali di provenienza apparentemente brigatista, ma in realtà apocrifi, fatti ritrovare a Roma in quattro occasioni diverse, tutte successive alla conclusione della vicenda Moro: la prima delle quali il 20 maggio 1978, altre due nel 1979, e l'ultima il 17 novembre 1980. 

Falso comunicato N° 7:


«Oggi 18 aprile 1978, si conclude il periodo "dittatoriale" della DC che per ben trent'anni ha tristemente dominato con la logica del sopruso. In concomitanza con questa data comunichiamo l'avvenuta esecuzione del presidente della DC Aldo Moro, mediante "suicidio".

Consentiamo il recupero della salma, fornendo l'esatto luogo ove egli giace.

La salma di Aldo Moro è immersa nei fondali limacciosi (ecco perché si dichiarava impantanato) del lago Duchessa, alt. mt. 1800 circa località Cartore (RI) zona confinante tra Abruzzo e Lazio.

È soltanto l'inizio di una lunga serie di "suicidi": il "suicidio non deve essere soltanto una "prerogativa" del gruppo Baader Meinhof.


Inizino a tremare per le loro malefatte i vari Cossiga, Andreotti, Taviani e tutti coloro i quali sostengono il regime. P.S. - Rammentiamo ai vari Sossi, Barbaro, Corsi, ecc. che sono sempre sottoposti a libertà "vigilata". 18/4/1978 Per il Comunismo Brigate Rosse'.»

Pecorelli

Carmine Pecorelli fu il direttore di un'agenzia di stampa specializzata nella divulgazione degli scandali politici durante gli anni settanta, Osservatorio Politico (OP).

La sera del 20 marzo 1979 fu ucciso all'interno della sua automobile, nel quartiere Prati di Roma, in via Tacito, poco lontano dalla redazione del suo giornale, con quattro colpi di una pistola calibro 7,65.
I proiettili trovati nel suo corpo sono molto particolari, della marca Gevelot, assai rari sul mercato, anche clandestino, ma dello stesso tipo di quelli che sarebbero poi stati trovati nell'arsenale della Banda della Magliana nascosto nei sotterranei del Ministero della sanità, arsenale a cui attingevano pure i terroristi neofascisti dei NAR.

Omicidio Pecorelli
Chichiarelli fu l'uomo che qualche tempo dopo il delitto Pecorelli confezionò e fece trovare in un taxi romano una serie di false "schede brigatiste" a carico di personaggi pubblici, insieme a oggetti che riportavano ai misteri del sequestro Moro (come una testina rotante IBM da macchina per scrivere, simile a quella usata per stilare i comunicati dei terroristi).

Circa un anno dopo l’uccisione di Aldo Moro, il 14 aprile del 1979, tre ragazzi americani trovano, sul sedile posteriore di un taxi, un borsello da uomo e lo consegnano al comandante del reparto operativo dei Carabinieri di Roma, colonnello Antonio Cornacchia.

Il borsello, contiene una pistola con la matricola abrasa, undici munizioni calibro 7,65 e una di grosso calibro (Moro era stato assassinato con dodici colpi di arma da fuoco, di cui undici di piccolo ed uno di grosso calibro), una testina rotante per macchina da scrivere marca IBM, la stessa usata dalle BR nei vari comunicati diramati durante il sequestro, un mazzo contenete nove chiavi, nove come il numero dei membri del commando che rapì Moro e uccise la sua scorta, due flash marca Silvana, come quelli usati nelle uniche due foto polaroid scattate durante il sequestro, un pacchetto di fazzoletti marca Paloma, come quelli usati per tamponare le ferite di Moro e ritrovati sul suo cadavere, una carta stradale con indicato il Lago della Duchessa, una bustina contenente delle pillole come quelle che i medici avevano prescritto a Moro, delle pagine dell’elenco del telefono relative ad alcuni ministeri, con su scritte le cifre di un codice numerico, analogo a quello usato nel comunicato in codice numero uno, e quattro schede di cui la prima contenente un piano per l’eliminazione delle guardie del corpo del presidente della Camera Pietro Ingrao, un’altra riguardante il piano per l’eliminazione del procuratore della Repubblica di Roma Achille Gallucci, incluso il numero di telefono di casa della vittima risalente agli anni sessanta, la terza indicante il piano per il rapimento del presidente dell’ordine degli avvocati di Roma Giuseppe Prisco di Milano, ed in ultimo un piano per l’eliminazione del giornalista Mino Pecorelli, ucciso il 20 marzo 1979, 25 giorni prima del ritrovamento del borsello.

Nella scheda relativa a Pecorelli oltre alla scritta “da eliminare”era annotato l’indirizzo della sua abitazione, il tipo ed il colore della sua auto, inclusa la targa.

Nella scheda veniva anche specificato di agire entro e non oltre il 24 marzo, aggiungendo che l’avergli concesso ulteriore tempo avrebbe creato altri problemi.
Si specificava inoltre di non rivendicare assolutamente l’omicidio, ma al contrario veniva sottolineata l’esigenza di depistare.

In fondo alla scheda compariva la scritta: “Martedì 20 ore 21:40 giunta notizia operazione conclusa positivamente: recuperato materiale non completo, sprovvisto dei paragrafi 162, 168, 174, 177”.

Probabilmente i paragrafi a cui si fa riferimento sono quelli del memoriale scritto da Aldo Moro durante i 55 giorni di prigionia, in possesso delle BR, di cui risulta ne avessero fatto anche una fotocopia.
Come sappiamo il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, su indicazione di Giulio Andreotti, aveva fatto in modo attraverso un suo uomo di fare sparire il memoriale dal covo di via Montalcini a Roma prima dell’arrivo dei magistrati.

Secondo la testimonianza dei pentiti della Banda della Magliana, Chichiarelli aveva affermato di esser deluso per la magra ricompensa ai suoi servizi resi durante la prigionia di Moro.

Chiara Zossolo riferì alla Corte perugina un suo ricordo del 1981: al Senato era in corso la polemica sulla famosa cena al ristorante "la Famjia piemonteisa", nel corso del quale il senatore Claudio Vitalone e altri personaggi dell'entourage andreottiano avevano offerto soldi a Pecorelli perché cessasse di attaccare Andreotti sul suo giornale, "OP".

Commentando quel fatto, Chichiarelli spiegò di conoscere il vero motivo della morte del giornalista: "Pecorelli - disse l'uomo alla moglie - è stato ucciso perché aveva appurato delle cose sul sequestro Moro: era un brav'uomo e non meritava purtroppo di morire".

A rendere ancora più pesante questo riscontro è una seconda deposizione, resa dalla testimone Franca Mangiavacca, segretaria e ultima compagna di Pecorelli.

La signora Mangiavacca ha infatti riconosciuto, in mezzo a decine di fotografie, quella di Chichiarelli.

È lui l'uomo che ha pedinato lei e Pecorelli nei giorni precedenti all'omicidio del giornalista.

Riassumendo, i giudici hanno stabilito con sufficiente certezza che Chichiarelli, poi a sua volta assassinato, partecipò alla fase di preparazione del delitto Pecorelli.

Chichiarelli dice alla moglie di conoscere il motivo per cui il giornalista è stato ucciso, e questo motivo è lo stesso indicato molti anni dopo da Buscetta.

Da qualche altra menzione, infine, sembra accertato che Chichiarelli fosse a conoscenza della fine di Mauro De Mauro, da mettersi in relazione col fallito Golpe Borghese e dal fatto che, ad organizzare quel tentativo di putsch, fossero stati i servizi segreti, come - peraltro - indica anche il colonnello Amos Spiazzi.

L'indagine aperta all'indomani del delitto Pecorelli coinvolse nomi come Massimo Carminati (esponente dei Nuclei Armati Rivoluzionari e della Banda della Magliana), Licio Gelli, Antonio Viezzer, Cristiano e Valerio Fioravanti, tutti poi prosciolti il 15 novembre 1991.

Secondo le rivelazioni di Buscetta, dal "caso Pecorelli" si passa al caso del cosiddetto memoriale Moro nelle due versioni: quella "censurata", trovata nel 1978, e quella integrale rinvenuta soltanto nel 1990.

È probabile, secondo i magistrati, che il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa abbia avuto tra le mani, fin dal 1978, la versione integrale.

Ed è altrettanto probabile che Dalla Chiesa e Pecorelli si siano incontrati almeno due volte dopo il rinvenimento del primo memoriale.

Dalla Chiesa
Terza cosa - certa - è che Pecorelli sapeva bene che il memoriale pubblicato dai giornali è monco:
"La lettura del testo del memoriale Moro - scrive su "OP" Pecorelli il 24 ottobre 1978, due settimane dopo il ritrovamento da parte degli uomini di dalla Chiesa - ha già sollevato dubbi sulla sua integrità. Esiste infine un altro memoriale in cui Moro sveli importanti segreti di Stato?".


Articoli sgraditi anche perché nei successivi numeri di "OP" Pecorelli comincia a pubblicare notizie e documenti esclusivi proprio su quegli argomenti - scandalo Italcasse, caso Sindona, riferimenti velati all'operazione Gladio - che sono contenuti nel memoriale integrale, quello che diventerà pubblico solo nel 1990. Ancora poco chiaro è il nome di colui che passò a Pecorelli queste notizie.

Come ignoto è il nominativo di colui che passò a Pecorelli la notizia, in anteprima, che il messaggio del Lago della Duchessa fosse un falso creato ad arte.

1984 La rapina del secolo

La sede romana della Brink's Securmark, società di trasporto valori, si trova al chilometro 9.600 della statale Aurelia. Negli anni settanta, uno degli azionisti della società era il bancarottiere Michele Sindona.

A posteriori, in tribunale, la moglie Chiara Zossolo indicherà che fu Tony a progettare una delle più grandi rapine avvenute in Italia, quella dei 35 miliardi di lire sottratti nel caveau della Brink's Securmark.

Un colpo magistrale, addirittura fin troppo facile, a detta degli inquirenti. Non è certo che Tony avesse cooperato con gli altri colleghi della Banda della Magliana.


identikit rapinatori  della briks a destra Chichiarelli


Pare che gli altri appartenenti alla banda non parlassero con un accento romano (tipico dei membri della Banda della Magliana), bensì piemontese.

Appare certo che esistessero almeno un paio di basisti appartenenti all'istituto vittima del furto, un dipendente ed un ex-dipendente.

Michel Sindona
Inoltre, le indagini hanno appurato che Chichiarelli avesse compiuto un sopralluogo qualche settimana prima del fatto addirittura entro il perimetro della banca, dopo l'orario di chiusura.

Circa la banca, Chichiarelli conosceva la planimetria in modo dettagliato, così come i turni di sorveglianza ed i nominativi delle guardie.

Per la riuscita del colpo, inoltre, aveva utilizzato un furgone in tutto simile a quello di proprietà della banca, di cui conosceva accuratamente e specificamente ogni movimento.

La Brink's Securmark non era propriamente una banca, bensì si trattava di un deposito che faceva capo a una catena bancaria di Michele Sindona.

La sera del 23 marzo 1984, un sabato, quattro uomini con il volto coperto da maschere, prelevano, verso l'ora di chiusura, una delle guardie giurate, Franco Parsi, al momento di rincasare.

Il custode avrebbe dovuto iniziare il nuovo turno soltanto la mattina di lunedì 25 marzo, due giorni dopo.

Lo condussero a casa, dicendo a lui ed ai famigliari di essere un commando delle Brigate Rosse.

Lo tennero in ostaggio fino all'alba della mattina successiva insieme alla moglie, alla suocera ed ai figli.

Poi uno dei rapinatori rimase nell'abitazione per tenere a bada i familiari, virtualmente degli ostaggi veri e propri, mentre gli altri tre condussero la guardia giurata, che aveva le chiavi, al caveau della banca, dove disarmarono altri due agenti e senza sparare un colpo portarono via denaro liquido, traveller's cheque, oro e preziosi per una cifra astronomica, che fu stimata intorno a 35-37 miliardi (stima fatta dalla banca stessa, che stanziò due miliardi di ricompensa a chi avesse fornito informazioni utili al recupero della refurtiva).

Chichiarelli, invece, parlò alla compagna di almeno 50-55 miliardi, di cui due dati ai basisti ed altri venti ceduti ai complici con cui aveva condotto in porto l'impresa.

In pratica, almeno 30 miliardi erano tutti per il solo Chichiarelli.

Non fu una rapina qualsiasi: sul bancone gli ignoti lasciarono una serie di oggetti che stavano simbolicamente a rappresentare il vero significato dell'impresa.

Una granata Energa, sette proiettili calibro 7,62, sette piccole catene e sette chiavi. La bomba Energa era dello stesso tipo usata durante l'agguato al colonnello Varisco (il tenente colonnello Antonio Varisco, comandante del nucleo dei carabinieri del Tribunale di Roma, venne ucciso dalle Brigate Rosse il 13 luglio 1979) e proveniva dall'armeria di via List.

Le sette chiavi e le sette catene furono lette come un chiaro riferimento al falso comunicato delle Brigate Rosse sul lago della Duchessa, mentre i sette proiettili calibro 7,62 riportano all'omicidio di Mino Pecorelli, e c'erano anche le cinque schede, identiche a quelle ritrovate dentro il borsello abbandonato nel taxi da Tony Chichiarelli all'epoca dell'omicidio del giornalista: gli oggetti lasciati intenzionalmente sul luogo della rapina facevano così affiorare lo stretto collegamento tra la fine del direttore di OP e il rapimento e la morte di Aldo Moro.

Furono lasciati anche falsi volantini di rivendicazione brigatista della rapina e le immancabili foto Polaroid scattate ai guardiani legati con, sullo sfondo, il drappo raffigurante la stella, emblema del gruppo terroristico.

A differenza di quanto avvenne per il falso comunicato del Lago della Duchessa, in questa occasione gli specialisti riconobbero immediatamente come falsi sia i volantini di rivendicazione, che le fotografie.

Dopo la rapina miliardaria alla Brink's Securmark del 1984, nella quale pare fosse il capo del commando, Chichiarelli iniziò ad investire il frutto della rapina nel mercato immobiliare ed in quello degli stupefacenti.

Egli venne ucciso sei mesi più tardi, a fine settembre di quell'anno, in circostanze mai chiarite.




Le varie ipotesi sul suo omicidio


  • Una vendetta della malavita per il florido commercio di stupefacenti nel frattempo avviato dal falsario.
  • Un regolamento di conti all'interno della malavita (la banca rapinata era collegata all'impero di Michele Sindona).
  • Una "eliminazione preventiva" ad opera dei servizi segreti, essendo il Chichiarelli un personaggio poco discreto, come accertato in aula giudiziaria dalle testimonianza della moglie, della compagna e dei conoscenti.
  • Uno sgarro ai suoi compagni della Banda della Magliana nel caso la rapina fosse stata compiuta da esponenti non appartenenti alla banda stessa, oppure, qualora i proventi della rapina non fossero stati divisi con gli appartenenti alla banda medesima, in base al patto di sangue che legava i componenti dell'associazione criminale.
  • Una eliminazione volta allo scopo di recuperare i documenti compromettenti stipati nel caveau della Brink's Securmark, tra i quali le famose polaroid che ritraevano Aldo Moro vivo nel carcere brigatista: al processo infatti fu avanzata l'ipotesi che il falsario rapinatore non avesse rispettato i patti coi servizi segreti, intenti a recuperare quello scottante materiale, alla base, fu detto, del vero movente della rapina stessa.
Sull'ultimo punto da sottolineare come i complici di Chichiarelli dichiareranno che sembrava più interessato ai documenti che ai soldi.




Luigi Cipriani, Intervento in Commissione stragi sull'affare Moro 15 aprile 1992. 
Allegato alla relazione finale del gruppo sui ritrovamenti di via Montenevoso.


"Signor presidente, concordo con la relazione presentata dal gruppo di lavoro sul caso Moro.

Vorrei però che fossero allegate alcune integrazioni su elementi accennati nella relazione, ma che sono a mio avviso molto importanti, per cui andrebbero ulteriormente ampliati.

Uno di questi riguarda la vicenda Toni Chichiarelli. Toni Chichiarelli è un personaggio romano legato alla banda della Magliana, con tutto ciò che ne consegue: conosciamo infatti i collegamenti della banda della Magliana con la mafia, con la destra eversiva, con i servizi segreti. Toni Chichiarelli era in contatto con un informatore, un agente del Sisde, tale Dal Bello, un personaggio di crocevia tra la malavita romana in collegamento con i servizi segreti e la banda della Magliana.

Toni Chichiarelli interviene nella vicenda Moro dimostrando di essere un personaggio assai addentro alla vicenda stessa (questo è quanto scrive il giudice Monastero che ha condotto l'istruttoria sull'assassinio di Toni Chichiarelli), come dimostrano due episodi.

Il primo, che è stato chiarito, è il seguente: Toni Chichiarelli è l'autore del comunicato n.7, il falso comunicato del Lago della Duchessa; ed è anche l'autore del comunicato n.1 in codice, firmato Brigate rosse-cellula Roma sud.

Toni Chichiarelli fece trovare un borsello sul taxi; all'interno di questo borsello erano contenuti alcuni oggetti che facevano capire che lui conosceva dal di dentro la vicenda Moro.

Fece trovare infatti nove proiettili calibro 7,65 Nato, una pistola Beretta calibro 9 (e si sa che Moro è stato ucciso da undici colpi, dieci di calibro 7,65 e uno di calibro nove); fece trovare dei fazzolettini di carta marca Paloma, gli stessi che furono trovati sul cadavere di Moro per tamponare le ferite; fece trovare quindi una serie di messaggi in codice, e una serie di indirizzi romani sottolineati; fece trovare dei medicinali e anche un pacchetto di sigarette, quelle che normalmente fumava l'onorevole Moro; inoltre un messaggio con le copie di schede di cui farà ritrovare poi l'originale in un secondo episodio.

Vi è un secondo aspetto.

Dopo la rapina della Securmark, ad opera della banda della Magliana con Toni Chichiarelli come mente direttiva, quest'ultimo fa trovare -lo scrive il giudice Monastero- una busta contenente un altro messaggio con gli originali di quattro schede riguardanti Ingrao ed altri personaggi.

Questa volta, come dicevo, ci sono gli originali: si tratta di schede relative ad azioni che erano state programmate e previste; fa trovare però anche un volantino falso di rivendicazione delle Brigate rosse.

Il giudice poi scrive: "Si rinveniva una foto Polaroid dell'onorevole Moro apparentemente scattata durante il sequestro".

Viene eseguita una perizia di questa foto, e si rileva che non si tratta di un fotomontaggio.

Come sappiamo, delle Polaroid non si fanno i negativi; è quindi una foto originale di Moro in prigione che Chichiarelli, dopo l'episodio del borsello, fa ritrovare in questo secondo messaggio, con le schede originali che riguardano Pietro Ingrao, Gallucci, il giornalista Mino Pecorelli, che sarà in seguito ucciso, e l'avvocato Prisco. 

Sulla scheda riguardante l'avvocato Prisco si parlava di questo famoso gruppo Mauro. Anche nel documento della registrazione che il Sisde ha fatto avere ai magistrati, si parla del gruppo Mauro che operava nella zona di Fiumicino e avrebbe dovuto avere in sequestro l'onorevole Moro.

In sostanza emerge il famoso elemento di cui si è sempre parlato, ossia come la gestione del rapimento Moro abbia avuto due fasi; e la seconda fase è confluita nel ruolo giocato dalla banda della Magliana, all'interno della quale conosciamo la parte che hanno sempre svolto i servizi segreti e la mafia.

La vicenda Chichiarelli è quindi centrale all'interno del sequestro Moro, ma i magistrati non l'hanno mai approfondita, sia perché nel Moro-quater si è prestato fede a tutto quello che ha detto Morucci e non si è quindi voluti entrare nel merito di altri aspetti, sia perché il giudice Monastero ha dovuto archiviare ed ha lasciato in sospeso tutte queste parti, perché non erano di sua competenza.

Tuttavia, egli ha fatto delle affermazioni molto precise sul ruolo svolto da Toni Chichiarelli all'interno della vicenda Moro. Vorrei perciò che quanto ho detto fosse allegato alla relazione, perché ritengo che sviluppando questa tematica si capirà molto meglio cosa è accaduto nel rapimento Moro.




martedì 2 luglio 2013

FRANCESCO PAZIENZA


Francesco Pazienza è nato a Monteparano (Ta) il 17 marzo 1946 . Laureato in medicina, non ha mai esercitato la professione preferendo dedicarsi alla mediazione d' affari. Nel 1979 conosce il generale Giuseppe Santovito, futuro direttore del Sismi con cui collabora soprattutto in Francia e Stati Uniti. Nel 1981 compare nella trattativa tra camorra, servizi segreti e Dc per la liberazione di Ciro Cirillo rapito dalle Br. Nello stesso periodo diventa il braccio destro del banchiere Roberto Calvi

Pazienza si era rifugiato negli Stati Uniti d'America, dove fu raggiunto da una prima richiesta di estradizione dell'Italia al governo statunitense nel 1984, ma non fu arrestato dalle autorità americane fino al 4 marzo 1985. La procedura di estradizione proseguì ed un giudice gli ordinò di farsi sottoporre a processo in Italia.
Un ricorso in appello di Pazienza non cambiò le cose, e perciò venne consegnato al governo Italiano nel giugno del 1986.
Per il crac del Banco Ambrosiano è condannato a 8 anni per concorso in bancarotta fraudolenta. Per la strage di Bologna è condannato a 10 anni di reclusione per calunnia aggravata è un faccendiere e agente segreto italiano noto per il suo coinvolgimento in vari episodi oscuri di terrorismo e stragismo.
Dall'aprile del 2007, si trova in Libertà vigilata nel comune di Lerici, dopo aver trascorso diversi anni in prigione.





Mehmet Ali Ağca 
Dopo l'attentato a Giovanni Paolo II nel 1981 da parte di Mehmet Ali Ağca, questi dichiarò di essere stato visitato da Pazienza nella sua cella ad Ascoli Piceno (ciò fu dichiarato però solo dopo che il giudice convocò Pazienza in aula). Questa visita di Pazienza ad Ağca fu dichiarata anche dal mafioso Giovanni Pandico. Dalla sua prigione a New York, Pazienza negò di aver mai fatto visita ad Ağca.
Pazienza fu interrogato su questi fatti a New York dal giudice istruttore italiano Ilario Martella. Poco tempo dopo, Martella ritirò le accuse che Ağca fosse stato "addestrato" da presunti elementi dell'intelligence militare italiana.


Rapimento di Ciro Cirillo
Pazienza fu coinvolto personalmente nei negoziati per il rilascio dell'assessore democristiano ai lavori pubblici della Regione Campania (ed ex presidente della stessa) Ciro Cirillo, sequestrato il 27 aprile 1981 dalle Brigate Rosse. Egli portò avanti le trattative con Vincenzo Casillo, principale luogotenente del boss camorrista Raffaele Cutolo.


Banco Ambrosiano
Durante la sua latitanza, Pazienza fu interrogato negli Stati Uniti da alcuni funzionari doganali circa la scomparsa di fondi dal Banco Ambrosiano. Pazienza dichiarò che questi funzionari doganali gli avevano riferito che Stefano Delle Chiaie era stato visto a Miami, Florida, con un turco non identificato, e ripeté la sua posizione durante il suo coinvolgimento nel processo sulla Strage di Bologna.Non è ancora chiaro se questo turco era Oral Çelik o Abdullah Çatlı.


La strage alla stazione di Bologna
Pazienza fu condannato nel 1988 per aver tentato di depistare le indagini sulla strage di Bologna, sistemando lo stesso tipo di esplosivo in un treno Milano - Taranto nel 1981. Nel 1990, la sua condanna fu ribaltata in appello, ma un nuovo processo terminò con una condanna definitiva nel 1995.


INTERVISTA PAZIENZA-GABANELLI
Milena Gabanelli per "la Repubblica"

Francesco Pazienza ha scontato 10 anni per depistaggio alle indagini sulla strage di Bologna, altri 3 per il crac Ambrosiano e associazione a delinquere. Amico di Noriega, frequentatore dei servizi segreti francesi, americani e sudamericani, nel 1980 è a capo del Super Sismi.
Braccio destro di Licio Gelli, il suo ambiente è il sottobosco di confine fra l´alta finanza e l´alta criminalità, l´alta politica e il Vaticano. Protagonista delle vicende più tragiche della storia italiana degli anni ‘80, è depositario di informazioni mai rivelate, altre raccontate a modo suo. Laureato in medicina a Taranto, non ha mai indossato un camice.
Negli anni ‘70 vive a Parigi e fa intermediazioni d´affari per il miliardario greco Ghertsos. Poi l´incontro con il capo del Sismi, Santovito. Grandi alberghi, yacht, belle donne, sigari rigorosamente cubani e tagliasigari d´oro. Un´altra epoca. Adesso ha 62 anni e fuma le Capri, mentre cammina da uomo libero sul lungomare di Lerici.
Cominciamo dall´inizio: come avviene l´incontro con Santovito?
«Me lo presentò l´ingegner Berarducci, oggi segretario generale dell´Eurispes. Santovito era suo zio, e mi chiese di fare il suo consulente internazionale».
E perché Santovito le dà questo incarico senza conoscerlo prima?
«Sa, io parlavo diverse lingue e avevo un sacco di relazioni in giro per il mondo.
Normalmente non avviene così, ma all´epoca era quasi tutto improntato all´improvvisazione».
E in cambio cosa riceveva?
«Rimborso spese. Siccome non avevo bisogno di soldi, era quello che volevo: se volevo andare a New York in Concorde, andavo in Concorde. Mi sembrava tutto molto avventuroso».
Si dice che lei sia stato determinante nella sconfitta di Carter contro Reagan. 
"La storia comincia con Mike Ledeen a Washington, che mi aveva presentato Santovito; lui dirigeva il Washington Quarterly e faceva capo ad una lobby legata ai repubblicani (e alla Cia-ndr). Così gli dico: "Guarda che quando c'è stata la festa per l'anniversario della rivoluzione libica, il fratello di Carter ha fraternizzato con George Habbash", che era il capo del Flp. E a quel punto disse: "Se tu mi dai le prove , noi possiamo fare l'ira di Dio"".
E le prove come se le era procurate? 
"Attraverso un giornalista siciliano, Giuseppe Settineri, che io mandai con un microfono addosso ad intervistare l'avvocato Papa, che faceva il lobbista e aveva partecipato alla festa di Gheddafi. Lui raccontò per filo e per segno tutto quello che era successo. Le foto dei festini me le avevano fornite Michele Papa e Federico Umberto D'Amato, la testa degli affari riservati del Viminale". 
Il Viminale ha dunque interferito nelle elezioni di un paese alleato?
«Sissignore, però la débacle ci sarebbe stata ugualmente, ma non in misura così massiccia».
Lei, che non è un militare, diventa capo del Super Sismi. Cos´era?
«Il Super Sismi ero io con un gruppo di persone che gestivo in prima persona».
Marzo 1981, le Br sequestrano l´assessore campano Cirillo. Lei che ruolo ha avuto?
«Un ruolo importante. Fui sollecitato da Piccoli, allora segretario della Dc. Incontrai ad Acerra il numero due della Nuova Camorra Organizzata di Cutolo, Nicola Nuzzo. Mi disse che in dieci giorni Cirillo sarebbe stato liberato, e così è stato».
Chi ha pagato?
«Non i servizi. Il giudice Alemi disse di aver scoperto che furono i costruttori napoletani a tirar fuori un miliardo e mezzo di lire, che finirono alle Br».
Piccoli cosa le ha dato per questa consulenza?
«Niente, assolutamente niente, eravamo amici, non c´era un discorso mercantilistico». (Del miliardo e mezzo, alle Br finiscono 1.450 milioni. Chi ha imbustato i soldi del riscatto sarebbe Pazienza, che, secondo vox populi, avrebbe taglieggiato le Br tenendo per sé 50 milioni).
A gennaio 1981 sul treno Taranto-Milano viene piazzata una valigia con esplosivo della stessa composizione di quello usato nella stazione di Bologna... Ci sono dei documenti intestati a un francese e un tedesco, indicati dai servizi come autori di stragi avvenute a Monaco e Parigi. Si scoprirà poi che si trattava di depistaggio.
«Il depistaggio è stato fatto dal Sismi per non fare emergere la vera verità della bomba di Bologna. Secondo l´allora procuratore Domenico Sica c´era di mezzo la Libia, e coinvolgerla in quel momento avrebbe voluto dire tragedia per la Fiat e per l´Eni. Vada negli archivi delle sedute parlamentari: il 4 agosto 1980, Spadolini in persona presentò un´interrogazione parlamentare in cui attribuiva la bomba di Bologna a origini straniere mediorientali».
Ma qual era l´interesse mediorientale?
«L´Italia non poteva sottrarsi agli obblighi Nato, e quindi doveva fare un accordo con Malta, per proteggerla in caso di attacchi del colonnello Gheddafi. L´accordo fu firmato, e Gheddafi fece la ritorsione. Ustica porta la stessa firma. Me lo ha raccontato Domenico Sica. Quando tolgono il segreto di Stato la verità salterà fuori».
Lei è stato condannato a 10 anni per depistaggio, qualche prova a suo carico evidentemente c´era, i servizi segreti li comandava lei.
«Le prove a mio carico erano dovute al fatto che sono stato il braccio destro, mandato dagli americani, per sostituire Licio Gelli alla guida della P2. E siccome Gelli era il motore primo del depistaggio, io che ero il suo braccio destro, automaticamente...».
Quando è scoppiata la bomba a Bologna dov´era?
«A New York».
84 morti e 250 feriti, nel suo paese. Lei è consulente del Sismi, non ha pensato: "Adesso bisogna trovare chi è stato"?
«Io no. Perchè non è mio compito. I servizi segreti sono come un´azienda. Giusto? Se tu ti occupi di una cosa, non è che dici "adesso parliamo di Bologna, parliamo di Ustica"...».
1982. Calvi viene impiccato sotto un ponte. Si è parlato di un suo coinvolgimento.
«Sì, e qual era il mio interesse? Io non sono stato mai neanche indagato nell´omicidio Calvi. La sua morte è un mistero anche per me, comunque non si uccide Calvi a livello di Banda della Magliana... E non mi venga a dire che l´MI5 non sapesse che Calvi si trovava a Londra da giorni! I giochi di potere erano molto più grossi. Capisce cosa voglio dire?».
No.
«La morte di Calvi e lo scandalo del Banco Ambrosiano avrebbero imbarazzato pesantemente il Vaticano, che insieme all´Arabia Saudita voleva Gerusalemme città aperta a tutte le religioni, e Israele era contrario. Poi c´era lo scontro politico interno italiano, c´erano i comunisti, che hanno preso una valanga di soldi dal Banco Ambrosiano. Non è così semplice dire è A, B o C».
Di chi erano i soldi che andavano verso la Polonia?
«Arrivavano dai conti misti Ior-Banco Ambrosiano. L´organizzatore era Marcinkus d´accordo con papa Wojtila. Sono stato io a mandare 4 milioni di dollari in Polonia».
Ma come ha fatto tecnicamente?
«Vicino a Trieste, abbiamo fatto preparare una Lada col doppio fondo e dentro c´erano 4 milioni di dollari di lingottini d´oro di credito svizzero. Era aprile 1981, un prete polacco venne a ritirare questa Lada e la portò a Danzica. Qual era il discorso? Agli operai in sciopero non potevamo dare gli zloty, né i dollari perché i servizi segreti polacchi se ne sarebbero accorti. Anche perché lei può fare il patriota come vuole, però se a casa ha 4 bambini e non ha come farli mangiare, lo sciopero non lo fa. Giusto?».
Ma lei perché si portava su un aereo dei servizi segreti un ricercato per tentato omicidio, braccio destro di Pippo Calò, capo della banda della Magliana?
«Lei sta parlando di Balducci. Io sapevo che era uno strozzino, ma non è mai salito su un aereo dei servizi. Usava lo pseudonimo di Bergonzoni e una volta lo feci passare a Fiumicino mentre proveniva da Losanna. Era un favore che mi chiese il prefetto Umberto D´Amato, suo amico intimo». (Per questo "favore" Pazienza fu condannato per favoreggiamento e peculato: fu accertato che aveva trasportato, su un aereo dei servizi, il latitante Balducci sotto falso nome).
Nell´84 lei deposita da un notaio un documento intitolato "operazione ossa". "Ossa" starebbe per Onorata Società Sindona Andreotti. Che cos´era?
«All´epoca c´era il pericolo che Sindona potesse inventare dei coinvolgimenti di Andreotti in questioni di crimini organizzati. Bisognava capire cosa volesse fare Sindona per tirarsi fuori dai guai prima di rientrare in Italia quando si trovava nel carcere americano di New York».
Ci siete riusciti?
«Non c´è stato bisogno di fare nessuna misura attiva, ne abbiamo fatta una conoscitiva».
La misura attiva qualcuno l´ha fatta quando è finito nel carcere italiano...
«Qui parliamo del 1986. Nel carcere italiano ha bevuto un caffè di marca Pisciotta...».
Lei in quante carceri ha soggiornato?
«Alessandria, Parma e alla fine a Livorno. Complessivamente ho fatto 12 anni di carcere gratis».
Non si ritiene colpevole di nulla?
«Zero. Le racconto una cosa, 30 marzo 1994: un maggiore della Dia, nome M. cognome M. mi dice: "Lei è un uomo informatissimo, ci deve raccontare di come portava le lettere di Fabiola Moretti (compagna di De Pedis, componente della banda della Magliana, coinvolto nel rapimento di Emanuela Orlandi) al senatore Andreotti, nel suo ufficio privato. Sa, fra poco esce la sentenza di Bologna, e noi la mettiamo a posto".
Io gli ho detto: "A me di Andreotti non importa niente. Il problema è che quel che lei mi chiede di ricordare non è vero". Avevo il microfono addosso. Sa qual è la cosa comica? Che molti pensano che io sapessi di questo e di quell´altro e che non ho detto niente perché sono un duro. Non ho detto niente perché non sapevo. Capisce la differenza?».I
Quando è uscito dal carcere dove è andato?
«A casa dei miei genitori, comunque non è un problema ricominciare da capo».
Cosa fa ora per sbarcare il lunario?
«Il consulente per transazioni internazionali. Sto trattando un cementificio in Africa».
Come pensa di ricostruirsi una credibilità?
«La storia non è finita, sta cominciando il secondo tempo».







giovedì 27 giugno 2013

VINCENZO CASILLO "O Nirone"




<<Signor Presidente desidero dire che io sono in carcere da 26 anni, ultimamente ho preso qualche 10 ergastoli, quindi la mia vita deve finire in carcere, ma non desidero pagare per la morte dell'amico mio più caro...comunque. Vi ripeto, tutti mi hanno detto che è stato un incidente, se poi è un omicidio dovreste domandare ad un certo apparato dello Stato, che gli ha rilasciato la tessera dei servizi segreti, e benché latitante entrava in tutte le carceri italiane. Però tutti mi hanno detto che è stato un incidente>>.
(Raffaele Cutolo)

Vincenzo Casillo

detto o' Nirone per la sua capigliatura corvina, è stato uno degli uomini chiave della Nuova Camorra Organizzata svolgendo un ruolo attivo sul territorio mentre Raffaele Cutolo soggiornava nelle diverse carceri italiane. È ritenuto l'autore materiale dell'omicidio di Nino Galasso, fratello di Pasquale Galasso.
L'affiliazione di Casillo alla NCO è anomala. Casillo, a differenza dei primi affiliati, non è un galeotto né un pregiudicato. Figlio di un industriale, dirige una fabbrica di pantaloni a San Giuseppe Vesuviano. Alla fine degli anni 70' si presenta spontaneamente a Poggioreale e in un colloquio con Raffaele Cutolo offre una sostanziosa quota della sua ditta per assicurarsi una piena protezione del boss. Da allora, stringe un rapporto sempre più intenso con il boss di Ottaviano, diventando il suo braccio destro. Insieme ad Alfonso Rosanova, ha svolto un ruolo chiave nel corso del rapimento di Ciro Cirillo e il primo contatto con la NCO avviene attraverso Francesco Pazienza, collaboratore dei servizi segreti, che il 17 luglio 1981 incontra ad Acerra Vincenzo Casillo. È proprio lui a gestire la trattativa tra SISMI, NCO, Brigate Rosse e dirigenti della DC. A seguito della liberazione di Cirillo (25 luglio) viene sospeso il decreto di carcerazione predisposto per Vincenzo Casillo. È possibile che questi fosse in possesso di un tesserino dei servizi.
Nel 1981, Casillo fa da mediatore tra le famiglie della vecchia camorra campana e la NCO. In principio, si riesce a trovare un accordo per una spartizione territoriale; successivamente, l'accordo salta poiché Cutolo pretende una forte tangente sul contrabbando delle sigarette.
Secondo il collaboratore di giustizia Pasquale Galasso, Casillo fu l'esecutore materiale dell'omicidio del banchiere Roberto Calvi, avvenuto a Londra nel 1982; Casillo infatti era segretamente passato dalla parte del clan Nuvoletta, legato ai Corleonesi, e per questo doveva fare un favore al mafioso siciliano Pippo Calò, che voleva uccidere Calvi perché si era appropriato del suo denaro e di quello dei suoi soci.






Giovanna Matarazzo
Il 29 gennaio 1983, a Roma, Vincenzo Casillo - in quel momento latitante - sale a bordo della sua automobile che esplode perché imbottita di tritolo. L'esplosione avviene in via Gregorio VII a poca distanza dalla sede del SISMI. Casillo muore mentre Mario Cuomo, seduto al suo fianco, perderà l'uso delle gambe. La sua compagna, la ballerina di night club romano  Giovanna Matarazzo, detta "Dolly Peach", dichiarerà al giudice Alemi che la morte di Casillo è collegata all'omicidio Calvi. Il 2 febbraio 1984 la donna verrà ritrovata in un blocco di cemento.
In un primo momento, è lo stesso Raffaele Cutolo ad essere accusato di essere il mandante dell’omicidio di Vincenzo Casillo. Nel luglio del 1993, il pentito Pasquale Galasso, ha riferito che l'omicidio di Casillo fu un chiaro segnale della potenza del clan Alfieri con cui i politici cominciavano ad avere rapporti più stretti. A detta di Galasso, Pinuccio Cillari aveva acconsentito a tradire i suoi compari poiché riteneva che oramai la NCO fosse destinata a scomparire, ma quando si accorse che Casillo stava riguadagnando terreno e che aveva addirittura la mafia alle spalle cominciò a tentennare.
A quel punto Galasso passò alle minacce, se Cillari non gli avesse consegnato Casillo la sua famiglia sarebbe stata oggetto di rappresaglie da parte della Nuova Famiglia. Cillari non ebbe scelta, anche se non gli fu facile compiere la sua missione poiché Casillo andava sempre in giro circondato da molti scagnozzi.

Pasquale Galasso

L'occasione giusta si presentò quando Enzo Casillo chiese a Cillari di acquistargli un'autovettura. Galasso colse l'opportunità al volo e fornì a Cillari i soldi per comperare l'auto, una Golf. La stessa vettura che prima di essere consegnata alla vittima fu imbottita di esplosivo e dove Vincenzo Casillo trovò la morte. Galasso ha inoltre riferito che il tritolo fu fornito dalla mafia. Per l'omicidio Casillo sono stati condannati all'ergastolo Ferdinando Cesarano e Pasquale Galasso.




Pasquale Scotti
Pasquale Scotti, , detto "Pasqualino 'o collier" per aver regalato un collier alla moglie di Raffaele Cutolo, ma conosciuto anche come "l'ingegnere",  viene arrestato a Caivano il 17 dicembre del 1983 grazie ad un'operazione diretta dall'allora capo della squadra mobile Franco Malvano. È accusato di essere il mandante dell'omicidio di Giovanna Matarazzo.















DOCUMENTI




sabato 8 giugno 2013

NCO - Nuova Camorra Organizzata




La Nuova Camorra Organizzata (conosciuta anche con l'acronimo NCO) è l'organizzazione camorristica creata da Raffaele Cutolo, boss di camorra, negli anni settanta in Campania. Si ingrandì enormemente agli inizi degli anni ottanta coinvolgendo gli altri clan di camorra in sanguinose guerre.
Fu soppiantata dalla Nuova Famiglia, una confederazione di clan creata ad hoc da boss quali Carmine Alfieri, Luigi Giuliano, Pasquale Galasso, e da altre famiglie camorristiche come i Nuvoletta di Marano (in provincia di Napoli), i Vollaro di Portici, i Mallardo di Giugliano e i casalesi di Antonio Bardellino e Mario Iovine. La NCO fu considerata estinta alla fine degli anni ottanta, quando molti dei boss furono uccisi o arrestati.


I primi anni 
Il fondatore di questa organizzazione è Raffaele Cutolo, detto anche "il sommo" o "il professore" (in napoletano: o' prufessòre), nato a Ottaviano, piccolo centro alle porte di Napoli, ai piedi del Vesuvio. Il professore conosce da giovane le sbarre del carcere per un omicidio commesso nel 1963, ma trasforma la carcerazione nel suo trampolino di lancio. L'organizzazione nacque nel padiglione Milano del carcere di Poggioreale a Napoli all'inizio degli anni settanta, per iniziativa di Cutolo e di vari compagni di cella tra cui Raffaele Catapano, Pasquale D'Amico e Michele Iafulli. Cutolo si ispirò, inizialmente, ai rituali della Bella Società Riformata, l'organizzazione camorristica napoletana di inizio '800, e della Confraternita della Guarduna, associazione criminale spagnola del XVII secolo. Uno dei documenti audio ritrovati che testimoniano questi rituali è il cosiddetto "giuramento di Palillo", un giuramento cerimoniale di iniziazione registrato su audiocassetta sequestrato a Giuseppe Palillo, affiliato di Cutolo, al momento del suo arresto. La cassetta conteneva suoni e canzoni e un lungo monologo. La voce non fu riconoscibile in maniera chiara, essendo l'audio di pessima qualità, ma tutto lasciava pensare che fosse quella dello stesso Cutolo. La cerimonia veniva definita, nel gergo camorristico, "battesimo", "fedelizzazione" o "legalizzazione." L'apertura del monologo si soffermava sul valore dell'omertà: Omertà bella come m'insegnasti, pieno di rose e fiori mi copristi, a circolo formato mi portasti dove erano tre veri pugnalisti. La storia che segue racconta dei camorristi spagnoli che, dopo essere stati esiliati dalle loro terre, giunsero in Campania, in Calabria, in Sicilia e in Sardegna dove fondarono una "società divina e sacra". Dopo una nuova dispersione, fu trovato l'accordo per la definitiva riconciliazione nelle stanze del castello di Ottaviano, luogo che per Cutolo aveva da sempre avuto un valore simbolico. Fino a quando sette cavalieri raccolsero il potere della società e lo consegnarono a Cutolo. Seguiva poi la descrizione della cerimonia con il taglio sul braccio e il patto di sangue per rendere effettiva la "fedelizzaizone". Tra i passaggi più significativi del giuramento di Palillo, documento esemplare degli ideali di tutta la controcultura criminale cutoliana, che faceva leva sulla disoccupazione dilagante e sulle ingiustizie sociali, vi era il seguente, che suonava profetico e al tempo stesso cupo e minaccioso nei confronti degli stessi affiliati:
« Un camorrista deve sempre ragionare con il cervello, mai con il cuore... Il giorno in cui la gente della Campania capirà che vale più un tozzo di pane libero che una bistecca da schiavo, quel giorno la Campania ha vinto veramente... Noi siamo i cavalieri della camorra, siamo uomini d'onore, d'omertà e di sani princìpi, siamo signori del bene, della pace e dell'umiltà, ma anche padroni della vita e della morte. La legge della camorra a volte è spietata, ma non ti tradisce. »
La formula d'apertura era: "Con parole d'omertà è formata società". Il giuramento finale era: "Giuriamo di dividere con lui gioie, dolori, sofferenze... però se sbaglia e risbaglia ed infamità porta è a carico suo ed a discarico di questa società e responsabilizziamo il suo compare di sangue". L'elenco di tutti i "fidelizzati" sarebbe poi stato conservato presso una delle stanze del castello di Ottaviano, nascosto in una nicchia nella parete e tenuto in cura dalla sorella di Cutolo, Rosetta.

La struttura
Al vertice del gruppo c'è ovviamente Cutolo, definito "il Vangelo", che faceva le veci del vecchio capintesta della Bella Società Riformata ma, a differenza di questi che veniva eletto nel corso di riunioni tenute da rappresentanti dei vari quartieri di Napoli, Cutolo è il capo indiscusso per volontà divina, da cui dipende la vita e la morte di tutti. Al livello sottostante vi è la cassiera dell'organizzazione, la sorella Rosetta. Seguono quindi i santisti, ossia i bracci destri di Cutolo, che cambiarono nel corso degli anni. Tra di essi vi furono Corrado Iacolare, Vincenzo Casillo, Pasquale Barra, Antonino Cuomo. Seguono quindi gli sgarristi, i capizona o referenti territoriali che si divisero Napoli e Salerno con le rispettive province. Gli affiliati vennero definiti semplicemente picciotti. Vi erano infine gruppi speciali di affiliati, definiti batterie, ossia la manovalanza di killer pronti ad uccidere chiunque al primo comando. Alla cerimonia di affiliazione dovevano partecipare cinque persone: il Vangelo, un affiliato favorevole ed uno sfavorevole, il contabile e il maestro di giornata. Gli ultimi due avevano il compito di "registrare" la "fedelizzazione" in caso di esito positivo.
Pasquale Barra
Per quanto riguarda i rapporti comunicativi con l'esterno, di fondamentale importanza dato che la maggior parte dei principali esponenti della NCO erano ergastolani, Cutolo sviluppò due strutture parallele, una all'interno del sistema penitenziario chiamata "cielo coperto", e l'altra al di fuori chiamata "cielo scoperto". Per mantenere la sua leadership, Cutolo necessitava di trasmettere i suoi ordini ai membri della NCO al di fuori del carcere in modo efficace e affidabile, assicurando al contempo che una parte dei profitti generati fosse consegnata all'interno del carcere in modo da poter espandere la sua campagna di reclutamento. Le particolari condizioni del carcere di Poggioreale, che includevano la sua posizione strategica nel centro di Napoli e il flusso continuo di persone come affiliati liberi sulla parola e parenti dei carcerati, consentirono a Cutolo di coordinare con successo le attività criminali dalla sua postazione centralizzata, da cui inviava direttive agli associati per le operazioni esterne. I parenti venivano utilizzati principalmente come corrieri di informazioni, ma, quando questi non erano disponibili, false parentele venivano certificate attraverso la collaborazione, più o meno forzata, degli impiegati nei comuni in cui gli affiliati erano residenti; ciò avvenne in particolare per il comune nativo di Cutolo, Ottaviano. Il Dipartimento di Giustizia scoprì nel 1983, che Cutolo era stato visitato quasi ogni giorno da luglio 1977 a dicembre 1978 da Giuseppe Puca che utilizzava un documento secondo cui risultava cugino di primo grado di Cutolo. Cutolo aveva anche ricevuto tre visite da un altro suo affiliato che risultò, nell'ordine, cognato, compare e infine cugino di primo grado; tutte relazioni parentali formalmente iscritte nel registro comunale.
Rosetta Cutolo
Cutolo istituì anche il cosiddetto soccorso verde per aiutare la popolazione carceraria, fornendo loro abiti, avvocati, consulenza legale, soldi per sé stessi e per le loro famiglie, e anche regali come articoli di lusso. Fin dalla prima affiliazione, Cutolo aveva istituito un fondo di 500.000 lire per ogni affiliato. I soldi venivano versati ai carcerati, in tutta Italia, tramite il sottogruppo di Rosetta Cutolo, che disponeva di diversi corrieri ed era considerata la cassiera dell'organizzazione. Nel tentativo di controllare l'intera regione, Cutolo superò e andò oltre la struttura familistica tipica della camorra urbana. La NCO aveva una struttura aperta e poteva contare su circa 1.000 nuovi affiliati all'anno. L'affiliazione era aperta a tutti, bastava solo giurare fedeltà a Cutolo e giurare di contribuire alle attività criminali comuni. Tuttavia, non appena il business dell'organizzazione si ampliò a dismisura e c'era bisogno di più manodopera, il reclutamento divenne più aggressivo e, in seguito, anche obbligatorio. In prigione, i carcerati venivano costretti a diventare membri della NCO. In caso contrario, potevano subire una punizione corporale o addirittura una vendetta trasversale. L'organizzazione era una sorta di federazione di diversi clan, ognuno con la sua area territoriale di riferimento, ma gerarchicamente ordinata e strettamente controllata da Raffaele Cutolo. Al di fuori del carcere, veniva indetta una riunione esecutiva, ogni quindici giorni, in cui Rosetta Cutolo, raccoglieva le informazioni da riferire poi al fratello nelle visite in carcere.


Il dopo-terremoto 
Servendosi dei ricavati delle tangenti imposte dai suoi fedelissimi fuori dal carcere, Cutolo riesce ad investire attentamente i guadagni all'interno dello stesso carcere di Poggioreale per aiutare le condizioni dei giovani detenuti, soprattutto quelli destinati a uscire presto. Tra le motivazioni addotte dal Cutolo per attrarre sempre più nuovi affiliati vi sono quelle legate a quelle che lui riteneva le ingerenze della mafia siciliana negli affari criminali campani. Solo con un'organizzazione forte ed unita Napoli e la Campania avrebbero potuto contrastare la forte avanzata di Cosa Nostra, soprattutto nel campo del contrabbando e dello smistamento di stupefacenti. Oltre a tentare di costruire un'identità regionale su basi delinquenziali, Cutolo usa anche il suo ascendente per ricomporre liti e dispute all'interno del carcere. I risultati non si fanno attendere: la popolarità tra gli ex-detenuti è altissima i legami di gratitudine sono molto saldi e un mare di soldi comincia ad affluire nelle casse del Professore. Già nel 1980 la NCO poteva contare su circa 7.000 affiliati. Le offerte in danaro sono però il primo passo per creare una falange di fedelissimi. Il passaggio da gruppo di affiliati legati da un patto di sangue ad organizzazione affaristica ramificata come una holding e connessa con la politica e con gli ambienti finanziari, avvenne dopo il terremoto del novembre del 1980, quando le cellule cutoliane cominciarono ad infiltrarsi negli appalti per la ricostruzione o a richiedere tangenti ai grossi cantieri che nascevano come funghi a Napoli e provincia e in buona parte della Campania.


Nella relazione sulla camorra, presentata nel 1993 dalla Commissione Parlamentare Antimafia, la veloce diffusione della NCO da semplice banda carceraria ad holding mafiosa viene spiegata come segue:
« Ad un ceto delinquenziale sbandato e fatto spesso di giovani disperati, Cutolo offre rituali di adesione, carriere criminali, salario, protezione in carcere e fuori. Si ispira ai rituali della camorra ottocentesca, rivendicando una continuità ed una legittimità che altri non hanno. Istituisce un tribunale interno, invia vaglia di sostentamento ai detenuti più poveri e mantiene le loro famiglie. La corrispondenza in carcere tra i suoi accoliti è fittissima e densa di espressioni di gratitudine per il capo, che si presenta alcune volte come santone e altre come moderno boss criminale.
Vive di estorsioni, realizzate anche attraverso la tecnica del porta a porta. Impone una tassa su ogni cassa di sigarette che sbarca. Vuole imporsi ai siciliani, che non si sottomettono. Impera con la violenza più spietata. »

(Commissione Parlamentare Antimafia, 1993f, pp. 43-44)
Vallanzasca e Turatello
Anche le alleanze con altre realtà delinquenziali extra-regionali diventano numerose: oltre che con la Sacra Corona Unita pugliese (da lui fu creato un ramo nel 1979 capeggiato dai fratelli Spedicato e Guerrieri che gli si ribellò successivamente per la sua indipendenza), Cutolo stringe i rapporti con la 'ndrangheta, in particolare con le cosche Piromalli, De Stefano e Mammoliti. Con la sua breve latitanza tra il 1978 e il 1979, Cutolo stringe anche accordi con le bande lombarde di Renato Vallanzasca (detto "il bel Renè") e Francis Turatello e quelle pugliesi (Nuova Camorra Pugliese e Sacra corona unita). Dopo essere diventato compare di Vito Genovese, Cutolo vola a New York, sotto il falso nome di Prisco Califano, per incontrare gli esponenti della famiglia mafiosa italo-americana dei Gambino.
Quando considera la sua organizzazione oramai matura, Cutolo decide di imporre una tassa persino sulle casse di sigarette a tutti gli altri clan camorristici di Napoli. Nel 1978 Michele Zaza (noto contrabbandiere napoletano legato con la mafia siciliana) e i suoi creano una banda denominata Onorata fratellanza, ma Cutolo non se ne preoccupa e si infiltra in nuovi territori.

La Nuova Famiglia
Quando tenta di prendere il controllo della zona del centro di Napoli (Forcella, Duchesca, Mercato, Via del Duomo) nelle mani dei potenti Giuliano, questi si alleano con i clan di San Giovanni a Teduccio e di Portici e con i boss Carmine Alfieri e Pasquale Galasso.
Alla fine del 1978 nasce la cosiddetta Nuova Famiglia, formatasi da una precedente alleanza denominata "Onorata Fratellanza", una confederazione di clan creata ad hoc per eliminare i cutoliani. E scoppia la guerra. È una guerra senza quartiere: nel solo napoletano, nel 1979 si registrano 71 omicidi; l'anno successivo sono 134 e salgono a 193 nel 1981, a 237 nel 1982, a 238 nel 1983, per scendere a 114 nel 1984. Anche la NF fece un uso propagandistico dell'affiliazione con relativo cerimoniale per attrarre sempre più giovani sbandati. Il giuramento ufficiale di affiliazione fu trovato nell'auto di Mario Fabbrocino e ricalcava in maniera spudorata quello della NCO, rifacendosi ai valori della fedeltà e dell'omertà.
Quando nella Nuova famiglia subentrano anche i Nuvoletta, gli Alfieri, i Galasso, i Misso della Sanità e soprattutto i Casalesi, la guerra si conclude con un indebolimento dei cutoliani e con un rafforzamento della presenza camorristica nel napoletano.Alla fine degli anni ottanta una serie di blitz e una catena di omicidi (tra cui quello del figlio di Cutolo, Roberto, e quello del suo avvocato, Enrico Madonna), mettono la parola fine all'ascesa cutoliana.


I casi giudiziari
Ciro Cirillo sequestrato dalle Br
Oltre alla feroce guerra in corso, che già da sola riusciva a riempire quotidianamente le prime pagine dei giornali locali, si ricordano diversi casi di cronaca giudiziaria che tennero banco per tutti gli anni ottanta e buona parte degli anni novanta. Tra di essi vi fu il caso dei falsi pentiti, una falange cutoliana di pluricondannanti che cercarono di sviare le indagini a carico della NCO con false dichiarazioni che coinvolsero anche personaggi del tutto estranei, come Enzo Tortora. Altri casi ancora oggi oscuri fecero parlare di Cutolo e della sua organizzazione. Uno di essi è legato al presunto coinvolgimento dei servizi segreti nella liberazione dell'assessore Ciro Cirillo, sequestrato dalle Brigate rosse nel 1981 e poi liberato grazie all'intermediazione di Cutolo.  Un altro a quello dell'autobomba scoppiata nel 1983 a Roma che provocò la morte di Vincenzo Casillo,  braccio destro di Cutolo, di cui si disse, a più riprese, che fosse legato a frange deviate dei servizi segreti del Sisde, cosa che Cutolo ribadì più volte nel corso dei numerosi processi a suo carico affermando che il Casillo fosse addirittura in possesso di un tesserino.