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mercoledì 22 gennaio 2014

ENRICO MATTEI


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« Se in questo paese sappiamo fare le automobili, dobbiamo saper fare anche la benzina »
(Enrico Mattei a Vittorio Valletta)



Enrico Mattei nacque ad Acqualagna, piccolo paese della provincia di Pesaro-Urbino, il 29 aprile 1906 in una famiglia modestavisto che nell'età giovanile non sembrava ottenere risultati positivi, né dimostrare costanza negli studi, fu avviato all'attività lavorativa dal padre, che lo fece assumere quale apprendista in una fabbrica di letti metallici in provincia di Macerata, dove la famiglia si era trasferita nel 1919; qui avvenne il suo primo contatto con i prodotti chimici, in particolare vernici e solventi. Nel 2007 è stata ritrovata la tessera di adesione al partito fascista (1922). In merito alla supposta sua condivisione del fascismo, Indro Montanelli (che ne fu critico severo) affermò che «l'ambizione di questo self-made man lo portava senza scampo a compromissioni con il regime al potere». Iniziò a soli vent'anni la carriera dirigenziale in una piccola azienda in cui era entrato quale operaio, si trasferì successivamente a Milano dove inizialmente svolse l'attività di agente di commercio, sempre nel settore chimico e delle vernici (lavorando come venditore alla Max Meyer). A trent'anni, avviò una propria attività nel settore chimico, con la quale riscosse un certo successo sino a divenire fornitore delle Forze Armate. Nel 1936 sposò la ballerina austriaca Margherita Paulas. 

Mattei partigiano
Durante la seconda guerra mondiale partecipò alla Resistenza come partigiano, tra i cosiddetti "bianchi" (area politica cattolica), dimostrandosi subito un valido condottiero e un buon diplomatico; a latere resta il giudizio di Luigi Longo, del quale divenne amico personale: «Sa utilizzare benissimo le sue relazioni con industriali e preti», essendo l'uomo di riferimento della Democrazia Cristiana nel CLN; in tale attività consolidò le sue amicizie con altri partigiani che rimasero per lui persone di riferimento nell'ambito della politica; in seguito, proprio fra i suoi compagni di Resistenza avrebbe cercato, da presidente dell'Eni, gli uomini fidati cui affidare la sua sicurezza personale.Andati vani alcuni tentativi di approccio, alla fine del 1942, con le organizzazioni clandestine antifasciste (per le quali la passata simpatia per il fascismo costituiva un'ovvia ragione di diffidenza), entrò nella Resistenza nel 1943 con una lettera di presentazione di Boldrini che lo fece ricevere a Roma da Giuseppe Spataro, che stava provando a riorganizzare il Partito Popolare dopo la stesura del cosiddetto «Codice di Camaldoli». Spataro lo accreditò presso i popolari milanesi e dopo l'armistizio di Cassibile (reso pubblico l'8 settembre 1943), Mattei cominciò a operare nelle Marche per il CLN. Alla formazione conferì inizialmente un apporto di natura logistica e organizzativa, procurando armi, vettovaglie e viveri, medicine, e altri generi utili; riuscì inoltre a intessere una rete informativa, nella quale coinvolse anche diversi parroci, grazie alla quale si procacciava informazioni "fresche" sugli spostamenti del nemico. Non appena la sua attività cominciò a destare attenzione, assunse il nome di battaglia di "Marconi" e quando le SS cominciarono a interessarsi più da vicino alla sua persona, perquisendogli la casa di Matelica, Mattei tornò a Milano dove - dopo un periodo di quiete - si mise a capo di una formazione operante nell'Oltrepò Pavese.Arruolò un numero rilevante di volontari (più di quarantamila al 25 aprile del 1945) e condusse diverse azioni militari, di tanto in tanto rientrando a Milano, dove Boldrini nel frattempo era preso dalla costruzione della nascente Democrazia Cristiana insieme a Giuseppe Dossetti, Amintore Fanfani, Ezio Vanoni, Augusto De Gasperi (fratello di Alcide), Orio Giacchi, Enrico Falck (della omonima famiglia di industriali) e altri futuri esponenti della DC.Nel 1944 Mattei fu chiamato a rappresentare le formazioni partigiane cattoliche nella Segreteria per l'Altitalia della nascente DC di De Gasperi e Gronchi; raccontò Giacchi che Mattei gli si sarebbe presentato autocandidandosi o forse imponendosi come candidato («Sono italiano, ma anche cattolico, vorrei menar le mani in uno schieramento cattolico»). Divenne così un dirigente del partito.Nel frattempo ottenne il diploma di ragioneria e si iscrisse insieme al fratello a Scienze politiche all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Poco dopo divenne, su investitura di Giacchi, il rappresentante della DC presso il ramo militare del CLNAI. Divenne anche il capo militare delle bande partigiane cattoliche e come tale si fece mediatore, ponendo in contatto le formazioni partigiane anche non cattoliche e il clero. Con Falck si diede alla raccolta di fondi e i due ebbero un discreto successo nell'attività, tanto che Mattei fu incaricato anche di amministrarli e Longo lo definì «il tesoriere del Corpo volontari della libertà, onesto, scrupoloso, imparziale». Fu poi vice capo di Stato maggiore addetto all'intendenza.Il 26 ottobre del 1944 fu arrestato nella sede milanese della costituenda DC, insieme ad altri esponenti politici, dalla polizia politica della Repubblica Sociale Italiana. Recluso in un carcere di Como, ne evase il 3 dicembre con la complicità di una guardia.Il suo ruolo al vertice delle organizzazioni partigiane crebbe ancora e Mattei si trovò in pratica a divenire l'interlocutore di Ferruccio Parri e di Luigi Longo, il quale svelò che era stato fra coloro che avevano chiesto che Mussolini e altri eventuali arrestati fossero «passati per le armi sul posto della cattura» anziché consegnati agli Alleati.Alla liberazione, Mattei fu uno dei sei esponenti del CLN alla testa della manifestazione di Milano.

L' ENI
Tre giorni dopo la liberazione, il 28 aprile 1945, fu nominato da Cesare Merzagora commissario liquidatore dell'Agip, ente statale per la produzione (estrazione), lavorazione e distribuzione dei petroli. L'incarico avrebbe dovuto limitarsi alla liquidazione e alla chiusura dell'azienda pubblica, ma appena si fu insediato, ebbe modo di valutare le potenzialità di sviluppo dell'ente, convincendosi che avrebbe potuto essere una risorsa di grande utilità per il Paese. Mattei si insediò il 12 maggio 1945, la sua nomina fu poi ratificata il 16 giugno da Charles Poletti, capo dell'amministrazione militare alleata. Il fratello Umberto veniva intanto nominato presidente del Comitato Oli e Grassi, mentre il fidato Vincenzo Cazzaniga, un dirigente della Standard NJ conosciuto, come Eugenio Cefis e Alberto Marcora, durante la clandestinità partigiana, divenne presidente del Comitato Oli Minerali Carburanti e Succedanei. Invece di seguire le istruzioni del Governo, riorganizzò l'azienda fondando nel 1953 l' ENI, di cui l' Agip divenne la struttura portante. Mattei diede un nuovo impulso alle perforazioni petrolifere nella Pianura Padana, avviò la costruzione di una rete di gasdotti per lo sfruttamento del metano, e aprì all'energia nucleare. Sotto la sua presidenza l' ENI negoziò rilevanti concessioni petrolifere in Medio Oriente e un importante accordo commerciale con l'Unione Sovietica (grazie all'intermediazione di Luigi Longo, suo amico durante la guerra partigiana e più tardi segretario del Partito Comunista Italiano); iniziative che contribuirono a rompere l'oligopolio delle 'Sette sorelle', che allora dominavano l'industria petrolifera mondiale. Mattei introdusse inoltre il principio per il quale i Paesi proprietari delle riserve dovevano ricevere il 75% dei profitti derivanti dallo sfruttamento dei giacimenti. Pur non essendo attivamente impegnato in politica, era vicino alla sinistra democristiana e fu parlamentare dal 1948 al 1953. Per la sua attività Mattei nel 1961 fu insignito della laurea in ingegneria ad honorem dalla Facoltà di Ingegneria (ora Politecnico) dell'Università degli Studi di Bari. Fu insignito anche di altre lauree honoris causa, della croce di cavaliere del lavoro e della Bronze Star Medal dell'Esercito statunitense (5 maggio 1945), nonché della Cittadinanza onoraria del comune di Cortemaggiore e post mortem, l'11 aprile 2013 la Cittadinanza onoraria del comune di Ferrandina (MT), dove nel 1958 l'Agip Mineraria fece alcuni studi e trovò il metano nella Valle del Basento.


enrico mattei sorridente

Morì nel 1962, in un misterioso incidente aereo le cui cause rimasero oscure per moltissimi anni. In seguito a nuove evidenze, nel 2005 fu stabilita la natura dolosa dell'incidente; vennero infatti ritrovati segni di esposizione a esplosione su parti del relitto, sull'anello e sull'orologio di Mattei.

aereo in caduta mattei

Le sette sorelle al tempo di Mattei:
  1. Standard Oil of New Jersey, successivamente trasformatasi in Esso (poi Exxon negli USA) e in seguito fusa con la Mobil per diventare ExxonMobil; Stati Uniti
  2. Royal Dutch Shell, Anglo-Olandese; Regno Unito Paesi Bassi
  3. Anglo-Persian Oil Company, successivamente trasformatasi in British Petroleum (BP); Regno Unito
  4. Standard Oil of New York, successivamente trasformatasi in Mobil e in seguito fusa con la Exxon per diventare ExxonMobil; Stati Uniti
  5. Texaco, successivamente fusa con la Chevron per diventare ChevronTexaco; Stati Uniti
  6. Standard Oil of California (Socal), successivamente trasformatasi in Chevron, ora ChevronTexaco; Stati Uniti
  7. Gulf Oil, in buona parte confluita nella Chevron. Stati UnitiImage result for matteiBUSCETTA: COSA NOSTRA UCCISE ENRICO MATTEI
Nella prima Commissione provinciale di Cosa Nostra a Palermo non si parlava né di delitti "eccellenti" né di appalti né di politica, fatta eccezione per quando ci si trovava a ridosso delle elezioni. A dire il vero, in quegli anni un delitto eccellente, anzi eccellentissimo, Cosa Nostra, lo eseguì. Mi riferisco alla scomparsa di Enrico Mattei, il presidente dell' Eni, avvenuta nel famoso incidente aereo dell' ottobre 1962. Mi rendo conto che sto rivelando un segreto e sono consapevole delle conseguenze che ne deriveranno. Ma devo mantenere fede all' impegno che ho preso dopo la strage di Capaci. Ho intenzione di raccontare tutto quello che ho omesso di riferire nel corso delle deposizioni davanti a Giovanni Falcone, tra cui ciò che so a proposito del caso Mattei e del caso De Mauro. Fu Cosa Nostra siciliana, in una seduta della sua prima Commissione, a decretare la morte di Enrico Mattei. Ciò mi consta personalmente in quanto avevo molti amici che sedevano nella Commissione e che mi riferivano il contenuto delle discussioni. Il piano per eliminare Mattei mi fu illustrato da Salvatore Greco ' Cicchiteddu' e da Salvatore La Barbera, che faceva parte della Commissione ed era il capo del mio mandamento. Mattei fu ucciso su richiesta di Cosa Nostra americana perché con la sua politica aveva danneggiato importanti interessi americani in Medio Oriente. A muovere le fila erano molto probabilmente le compagnie petrolifere, ma ciò non risultò a noialtri direttamente, in quanto arrivò Angelo Bruno, della famiglia di Filadelfia, e ci chiese questo favore a nome della Commissione degli Stati Uniti. ' Niente armi nè azioni spettacolari' La questione venne trattata in Commissione e non ci furono opposizioni di rilievo. Non emersero posizioni di "neutralità" rispetto a una richiesta così impegnativa. Tutti volevamo contribuire a rinsaldare i legami con gli americani. Le uniche discussioni riguardarono le modalità dell' attentato e gli uomini d' onore che si sarebbero assunti il compito di attuarlo. Si pensò di non usare armi da fuoco né di ricorrere ad azioni spettacolari che avrebbero potuto rivelare la matrice "mafiosa" del fatto. Se avessimo ucciso Mattei mentre si trovava al ristorante o durante una manifestazione pubblica, tutti avrebbero pensato alla mafia. Occorreva pertanto studiare un metodo per eliminarlo del tutto inusuale per noi e tale da fare in modo che l' episodio rimanesse avvolto nel mistero più fitto. Salvatore Greco ' Cicchiteddu' si assunse il compito di organizzare materialmente l' attentato. Egli, a sua volta, si consultò con Stefano Bontade. Ma per eseguire un progetto così impegnativo c' era bisogno di coinvolgere diversi personaggi di spicco. Allora ' Cicchiteddu' chiese la collaborazione di Antonio Minore, Bernardo Diana e Giuseppe Di Cristina, il quale, provenendo da Riesi, nei pressi di Catania, poteva fornire gli appoggi necessari. Ricordo che Stefano Bontade mi chiese di accompagnarlo un paio di volte a Catania. In quelle occasioni lo vidi contattare alcuni elementi locali di Cosa Nostra, tra cui Salvatore Ferrera, detto ' Cavaduzzo' .
Durante le nostre prime visite soggiornammo in albergo. Successivamente, come mi raccontò Bontade, questi fece altre visite in forma clandestina. Il contatto con Mattei fu stabilito da Graziano Verzotto, un uomo di potere che rappresentava l' Agip in Sicilia e militava nella Democrazia cristiana. Verzotto non era informato, ovviamente, del progetto di Cosa Nostra, ma era molto legato a Di Cristina. Che i due fossero strettamente collegati mi risulta direttamente perché verso il 1973-74 sono stato in carcere assieme a Di Cristina e lui mi parlò della sua amicizia con Verzotto. Anzi, Di Cristina mi confidò che nutriva qualche riserva su di lui, in quanto lo riteneva un personaggio ambiguo, amico sia di Cosa Nostra sia della polizia. Penso che fu proprio Verzotto, o lo stesso Di Cristina a presentare a Mattei un gruppo di giovanotti della mafia (quelli che ho nominato prima più Stefano Bontade) che lo portarono a caccia - sapevamo che Mattei aveva una passione per questo sport - nei dintorni di Catania il giorno prima della sua morte. Di Cristina procurò l' accesso a una riserva privata dove accompagnare Mattei. L' aereo di quest' ultimo fu manomesso durante questa battuta di caccia. Esisteva, ovviamente, una vigilanza che doveva essere elusa. Ma la vigilanza di quei tempi non era quella di oggi: consisteva in un paio di guardie che passeggiavano su e giù nei pressi dell' aereo. La battuta di caccia con i ' picciotti' La battuta di caccia aveva lo scopo di rassicurare Mattei a proposito delle intenzioni della mafia nei suoi confronti. E' uno degli espedienti classici di Cosa Nostra: quando si deve compiere un' esecuzione, la vittima deve essere avvicinata da un amico che dissipa i suoi sospetti, la tranquillizza, la rende più accessibile e ne facilita così l' eliminazione. Mattei sapeva benissimo con chi si incontrava e con chi andava a caccia. Era un uomo spregiudicato e audace, a cui piacevano le cose rischiose e fuori della norma. Si riuscì a illuderlo di godere della protezione della mafia e a non preoccuparsi, di conseguenza, di rafforzare la vigilanza intorno a sé e al suo aereo.

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Non conosco i dettagli dell' attentato e non credo che altri li conoscano, fatta eccezione ovviamente per gli esecutori. Non sono in grado di affermare se è stata usata una bomba o qualche altro sistema. Quel gruppo di giovanotti, una volta ricevuto l' incarico hanno agito in completa autonomia, secondo lo stile di Cosa Nostra, senza esser cioè tenuti a render conto ad alcuno dei mezzi impiegati per portare a termine il progetto. Ho rivelato uno dei segreti meglio conservati di Cosa Nostra: devo solo aggiungere che anche il rapimento di Mauro De Mauro, il giornalista dell' "Ora" di Palermo scomparso nel 1970, è stato effettuato da Cosa Nostra. De Mauro stava indagando sulla morte di Mattei e aveva ottime fonti all' interno di Cosa Nostra. Stefano Bontade venne a sapere che De Mauro stava avvicinandosi troppo alla verità - e di conseguenza al ruolo che egli stesso aveva giocato nell' attentato - e organizzò il "prelevamento" del giornalista in via delle Magnolie. De Mauro fu rapito per ordine di Stefano Bontade che incaricò dell' operazione il suo vice Girolamo Teresi. La scomparsa di De Mauro non suscitò alcun commento all' interno di Cosa Nostra. Era stato "spento" un nostro nemico e si dette per scontato che il triumvirato che reggeva allora l' associazione in luogo della Commissione provinciale, formato da Stefano Bontade, Gaetano Badalamenti e Luciano Liggio, avesse autorizzato l' azione.

Pasolini il libro:Petrolio e le accuse a Cefis





gian maria volonte


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lunedì 30 dicembre 2013

SANTO SORGE


albergo delle palme palermo riunione mafia genco russo

Santo Sorge nacque a Mussomeli, 11 gennaio 1908, viene ritenuto uno dei grandi "sconosciuti" della mafia siciliana e americana.
La sua attività criminale è associato ai crimini commessi dalla famiglia Bonanno. È stato buon amico di "Lucky" Luciano ed ha rappresentato un sicuro collegamento tra la mafia siciliana e quella nord-americana nel dopo guerra.
Sorge era un parente del boss mafioso siciliano Giuseppe Genco Russo e conosceva bene Calogero Vizzini . I suoi primi problemi con la autorità giudiziaria risalgono al 1928 nella sua città natale Mussomeli per rissa e lesioni personali gravi . Le furono respinte quando il contadino che lo accusava ritrattò, offrendo le sue scuse per aver causato problemi. Nel 1932 è stato condannato a Parigi (Francia) a sei mesi di carcere e una multa di 1.200 franchi francesi per uso di passaporto falso. Un anno dopo fu condannato a Gand (Belgio) a cinque mesi e 20.000 franchi belgi per frode.
Altre condanne per frode e assegni seguiti in Palermo nel 1937 e nel Torino, nel 1939. Nel 1948 è stato condannato a tre anni e quattro mesi su accuse vaghe per 'cospirazione politica' a Firenze (probabilmente legati allo spionaggio). Nel frattempo si è trasferì negli Stati Uniti.
Divenne cittadino naturalizzato degli Stati Uniti  a New York City, mantenendo un'immagine rispettabile in America, attraverso incarichi di amministratore in società di facciata come Rimrock International Oil Company di New York e l' Foreign Economic Research Association.

Tenente di Luciano
Era considerato un luogotenente di Lucky Luciano nel post seconda guerra mondiale per l'eroina-business, traffico di eroina prodotta in Francia da gangster corsi verso gli Stati Uniti. L' oppio necessario per produrre l'eroina erao coltivato in Turchia e Iran; trasformato in morfina base, poi trasportato dalla Siria in Libano . Da Beirut , in Libano, o di Aleppo , in Siria, la base di morfina veniva spedito ai laboratori clandestini in Francia per la conversione in eroina. 
Sorge, era un uomo con una buona educazione, probabilmente il responsabile della gestione del denaro. Grazie alla sua amicizia con Genco Russo, aveva le giuste contatti politici ad alto in Italia, anche tra membri del governo. Ha usato aziende negli Stati Uniti, Sicilia e Panama.

Incontro al Grand Hotel delle Palme 
Palermo chiude l Hotel  delle Palme   ospito  summit di mafia
Grand Hotel delle Palme oggi
Sorge era presente a una serie di incontri tra mafiosi americani e siciliani che hanno avuto luogo a Palermo tra il 12-16 ottobre 1957, presso il Grand Hotel Delle Palme a Palermo . Joseph Bonanno, Lucky Luciano, John Bonventre, Frank Garofalo e Carmine Galante tra i mafiosi americani, mentre tra i siciliani c'erano Salvatore "Ciaschiteddu" Greco e suo cugino Salvatore Greco "L'Ingegnere", Giuseppe Genco Russo, Angelo La Barbera , Gaetano Badalamenti, Calcedonio Di Pisa e Tommaso Buscetta . 
Secondo alcuni, uno dei principali temi all'ordine del giorno fù l'organizzazione del traffico di eroina a livello internazionale. L' FBI crede che questo incontro abbia istituito il traffico di eroina della Famiglia Bonanno.


Incriminato 
Nell'agosto 1965, Sorge ed altri 16 associati alla mafia americana sono stati incriminati a Palermo dal giudice Aldo Vigneri per associazione a delinquere in relazione all' incontro del 1957;insieme a Joe Bonanno, John Bonventre, Carmine Galante, Gaspare Magaddino, John Priziola , Raffaele Quasarano , Frank Coppola e Joe Adonis. Sorge non è mai stato arrestato, anche se l'Italia ha chiesto la sua estradizione. Il caso contro l'imputato è stato respinto per insufficienza di prove nel giugno 1968.
Il giudice Vigneri aveva ascoltato il pentito Joe Valachi , che gli disse:. "So Santo Sorge e so che appartiene a Cosa Nostra è la mia conoscenza personale che la sua funzione era quella di andare e venire dall'America verso l'Italia e viceversa -versa, svolgendo compiti che io non conosco. non sono mai stato in grado di capire a quale famiglia appartiene. Era un amico intimo di tutti i boss di Cosa Nostra ". Egli era molto stretto con Carlo Gambino, il capo della famiglia criminale Gambino di New York.
Morì a New York nel maggio 1972.

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domenica 24 novembre 2013

MICHELE CAVATAIO "Il Cobra"



Michele Cavataio,


(Palermo, 1929 – Palermo, 10 dicembre 1969), è stato un criminale italiano, legato a Cosa Nostra.
Durante l'adolescenza, Michele Cavataio iniziò una serie di attività illegali nel mercato nero, come il furto di generi alimentari e benzina, diffuse durante il ventennio fascista, e per questo venne affiliato nella cosca dell'Acquasanta. Nel 1946 Cavataio venne assolto per insufficienza di prove per l'omicidio del costruttore Vincenzo Mercurio e nel 1949 venne condannato a due anni e sei mesi di carcere per furto aggravato; nel 1954 venne nuovamente arrestato per rapina pluriaggravata e assolto per insufficienza di prove.
Nel 1955 Cavataio venne sospettato di essere l'esecutore degli omicidi del suo capo Gaetano Galatolo e del suo sostituto Nicola D'Alessandro, assassinato invece nel 1956 a colpi di lupara, ma venne assolto per insufficienza di prove; Galatolo e D'Alessandro erano stati uccisi per ordine della cosca mafiosa dei Greco di Ciaculli-Croceverde, che erano entrati in contrasto con i due boss in seguito allo spostamento dei mercati generali di Palermo dal quartiere della Zisa all'Acquasanta. In seguito a questi due delitti, Cavataio prese il comando della cosca dell'Acquasanta ma denunziato e arrestato per associazione a delinquere, furto pluriaggravato, detenzione e porto abusivo di armi e munizioni, venendo inviato al soggiorno obbligato ad Anzi, in provincia di Potenza, da dove tentò di fuggire ma venne ripreso. Nel 1961 venne assolto per insufficienza di prove ed ottenne la revoca del soggiorno obbligato.
Inoltre Cavataio si rese responsabile dell'uccisione di Calcedonio Di Pisa, capo della cosca della Noce, sapendo che l'assassinio sarebbe stato attribuito al boss Angelo La Barbera e che il risultato sarebbe stato un conflitto tra questi e Salvatore "Cicchiteddu" Greco, capo della cosca di Ciaculli, che divenne noto come «prima guerra di mafia»; Cavataio approfittò della situazione di conflitto per sbarazzarsi dei suoi avversari e per queste ragioni si associò ai boss Pietro Torretta ed Antonino Matranga: gli omicidi compiuti da Cavataio e dai suoi associati culminarono nella strage di Ciaculli, in cui morirono sette uomini delle forze dell'ordine.
In seguito alla strage di Ciaculli, Cavataio si diede alla latitanza ma venne subito arrestato nel suo nascondiglio nel quale teneva anche una Colt Cobra, la sua arma preferita. Nel dicembre 1968 Cavataio venne condannato a quattro anni di carcere per associazione a delinquere nel processo svoltosi a Catanzaro contro i protagonisti della prima guerra di mafia ma, siccome aveva aspettato il processo in stato di detenzione, venne rilasciato immediatamente per aver già scontato la pena.
Dopo il processo, Cavataio tentò di partecipare alla ricostruzione della "Commissione" ma gli altri boss iniziarono ad avere sentore che Cavataio era il principale responsabile della prima guerra di mafia e quindi si decise di elimiarlo, formando un commando di killer scelti tra varie cosche mafiose: Totò Riina, Bernardo Provenzano e Calogero Bagarella della cosca di Corleone, Emanuele D'Agostino e Gaetano Grado della cosca di Santa Maria di Gesù e Damiano Caruso della cosca di Riesi.
"Michele Cavataio - ha detto Gaetano Grado - era un pericolo pubblico ed era nella nostra lista dei morti non solo perché voleva esercitare l'egemonia su Palermo centro ma perché uccideva gente tanto per fare: carabinieri e poliziotti, per esempio. Cosa nostra - ha aggiunto - non ammetteva che si uccidessero carabinieri e poliziotti: c'erano altri modi che adesso non posso dirvi a rendere inoffensive le istituzioni". Il 10 dicembre 1969 gli uomini del commando, travestiti da agenti di polizia, giunsero in un ufficio di un'impresa edile in viale Lazio, dove si trovava Cavataio insieme ai suoi uomini; armati di pistole, lupara e Beretta MAB 38, i killer aprirono il fuoco, uccidendo tre dei presenti e ferendone altri due mentre Cavataio tentò di reagire al fuoco con la sua Colt Cobra, riuscendo così a ferire Provenzano e Caruso e uccidendo Bagarella. Infine Cavataio rimase a terra ferito e Provenzano gli spaccò il cranio con il calcio della sua Beretta MAB 38, finendolo a colpi di pistola. Il massacro di Cavataio e dei suoi uomini venne soprannominato «strage di viale Lazio».

strage di viale lazio


«Appena lui gli spara (Provenzano a Domè, ndr) noi ci buttiamo dentro l' ufficio, io - Grado - col fucile riesco a tirargli le prime due fucilate a Michele Cavataio, era dietro la vetrata, riesco a pigliarlo in una spalla, però lui spara a me e io vengo ferito, che praticamente ancora c' ho del vetro nel nervo ottico dell' occhio destro... Io riesco a uscire fuori e gli grido a Damiano Caruso e a Calogero Bagarella (altri due del commando, ndr): "entrate che io non ci vedo più". Questi entrano e cominciano a sparare, al Bino Provenzano Michele Cavataio gli spara... è stato ferito. Il Cavataio spara pure a Bagarella e l' ha ammazzato... Caruso viene ferito». Anche Cavataio fu colpito a morte, e nessuno sa dire se Provenzano abbia recuperato dal suo cadavere il documento che cercava, l' organigramma mafioso disegnato dalla vittima; un pezzo di carta strappato con qualche nome di «uomini d' onore» fu trovato nel cestino dell' ufficio. Dal racconto del pentito e di altri collaboratori emerge invece la «tragedia» montata dallo stesso Provenzano dopo l' agguato; e cioè l' attribuzione dell' errore di aver sparato subito, scatenando il fuoco avversario, non a se stesso ma a Damiano Caruso, che di lì a poco sarà eliminato a Milano. Ne venne fuori la «vulgata» mafiosa di Provenzano che riparò all' errore altrui, riferita pure dal catanese Calderone che attribuisce a quell' episodio il soprannome ' u tratturi per il boss, il trattore che «traturau tutta a terra», ha fatto tutto. Poi ' u tratturi divenne ' u ragioniere, e infine il padrino pacificatore.

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sabato 6 aprile 2013

MICHELE GRECO detto "il Papa"




Michele Greco era il capo della cupola ma in realtà asservito ai corleonesi


Michele Greco 

Era soprannominato Il papa per la sua abilità a mediare tra le varie famiglie mafiose.
Nato e cresciuto a Croceverde-Giardina (nel 1924), una frazione rurale della città di Palermo, figlio di Giuseppe Greco, detto Piddu ‘u tenente, e Caterina Ferrara, Michele Greco fu il terzo di cinque figli: Francesco, nato il 18 gennaio 1921 e di professione medico chirurgo; Giuseppe, nato il 27 agosto 1922 e ucciso a Ciaculli il 1º ottobre 1939; Salvatore, detto il senatore, nato il 7 luglio 1927, possidente, sposato con la figlia di Antonino Cottone, capo della cosca di Villabate; infine Rosa, nata il 15 novembre 1930. La famiglia di Piddu ‘u tenente di Croceverde-Giardina fu protagonista di una faida con la famiglia Greco di Ciaculli il cui capofamiglia si chiamava anch’egli Giuseppe. Michele Greco era inoltre un lontano cugino di Salvatore "Ciaschiteddu" Greco, che faceva parte della famiglia Greco di Ciaculli.

Guerra di mafia 

Nonostante si definisse un uomo “tutto casa e chiesa”, Michele Greco assume una posizione determinante all’interno della seconda guerra di mafia. Nei primi tempi, intorno al 1974 circa, Michele Greco era conosciuto come un signorotto di campagna che amava circondarsi di conti, marchesi, prefetti e presidenti di corti d’appello. Nel 1975 divenne capo mandamento delle famiglie di Ciaculli e Croceverde-Giardini.
Nel 1977 Greco si associò a Totò Riina e Bernardo Provenzano, di cui appoggiò la decisione di uccidere il tenente colonnello Giuseppe Russo; infatti Michele Greco fornì il suo uomo di fiducia Giuseppe Greco detto "Scarpuzzedda" per fare parte del commando di killer che compirono l'uccisione del colonnello Russo a Ficuzza.
Nel periodo della primavera-estate 1977 le riunioni di mafia si tenevano sempre presso la Favarella, una tenuta che si estendeva dalla chiesetta diroccata di Maredolce fino agli ultimi giardini di Ciaculli. Essa circondava la tenuta di Michele Greco. In quel periodo tutti i discorsi riguardavano i Corleonesi; nessuno sapeva che il padrone di casa Michele Greco, si era segretamente accordato proprio con i Corleonesi. Il 10 aprile 1978, Riina durante una riunione della Commissione chiese ed ottenne l’espulsione di Badalamenti per l’omicidio di Francesco Madonia, capo della cosca di Vallelunga Pratameno che era legato a lui. Michele Greco prese il suo posto e iniziò a fare da intermediario fra lo schieramento di Riina e quello di Stefano Bontate.
Questa guerra iniziò in sordina nel 1978-1980; nella Commissione vennero inseriti Giovanni Scaduto e Giuseppe Greco “Scarpuzzedda”, che sostituiva Michele Greco nella "Commissione" come capomandamento di Ciaculli. Questo provvedimento relegò Michele Greco in una posizione marginale a causa della sua scarsa personalità e della sua sottomissione al dominio dei Corleonesi. Il 30 maggio 1978 venne assassinato a Palermo dai soldati di Riina Giuseppe di Cristina, capo della famiglia di Riesi. Ciò venne visto da Inzerillo come un’offesa nei suoi riguardi in quanto il delitto avvenne nel suo territorio. Successivamente, a giustificare il fatto, venne fatta girare la voce che di Cristina stava collaborando con i carabinieri. Il 9 settembre venne ucciso a Catania Pippo Calderone.
Nel 1981 Stefano Bontate decise di eliminare Salvatore Riina e a quel proposito, il “papa” della mafia disse una cosa molto significativa: “Stefano si è messo dalla parte del torto”, in quanto chi uccideva un membro di Cosa Nostra senza il permesso della Commissione aveva come pena prevista la morte. Riina riuscì ad anticipare le sue mosse grazie a Greco che gli rivelò il complotto di Bontate e il 23 aprile 1981, nel giorno del suo quarantacinquesimo compleanno, Bontate venne ucciso da Giuseppe Greco e Giuseppe Lucchese, uomini di Michele Greco "prestati" a Riina. L’11 maggio cadde anche Salvatore Inzerillo, tradito da uno dei suo fedelissimi. Nonostante viaggiasse in una macchina blindata, venne sorpreso sotto l’abitazione di un’amante.
Il 30 novembre 1982, in piena seconda guerra di mafia, Michele Greco invitò i suoi associati Rosario Riccobono, Salvatore Scaglione, Giuseppe Lauricella, il figlio Salvatore, Francesco Cosenza, Carlo Savoca, Vincenzo Cannella, Francesco Gambino e Salvatore Micalizzi alla tenuta della Favarella per un ricevimento, facendogli credere di essere loro amico. Erano presenti anche Totò Riina e Bernardo Brusca, i quali dopo il pranzo attirarono gli altri invitati in una trappola con l'aiuto di Michele Greco e li strangolarono o li uccisero a colpi di pistola con l'aiuto di Giuseppe Greco “Scarpuzzedda”, Giovanni Brusca e Baldassare Di Maggio, buttando poi i cadaveri in recipienti pieni di acido: il massacro alla Favarella venne attuato perché Riina non poteva tenere sotto controllo Riccobono e gli altri, ed aveva bisogno di toglierli di mezzo per ricompensare altri suoi alleati palermitani, soprattutto Giuseppe Giacomo Gambino, con la spartizione del territorio già appartenuto a Riccobono e agli altri boss uccisi alla Favarella.


Incontro con John Gambino 

In seguito al massacro delle Famiglie durante la seconda guerra di mafia, John Gambino, importante esponente della Famiglia Gambino di Brooklyn, giunse a Palermo per salvare i superstiti dalla Famiglia Inzerillo dalla vendetta dei Corleonesi. Anche in quest’occasione Michele Greco ebbe una grande importanza in quanto riuscì a mediare tra Riina e Gambino. L’incontro si risolse con una frase simbolica da parte di quest’ultimo: “adesso comanda Corleone” e si accordò con Riina affinché gli Inzerillo avessero avuta salva la vita a condizione di non tornare più in Sicilia.

Michele Greco +161 

Il nome di Michele Greco fu associato a Cosa Nostra per la prima volta dal rapporto del vice capo della mobile Ninni Cassarà chiamato “Michele Greco +161”, stilato nel luglio del 1982. Questo rapporto si basava sulle confidenze dell'informatore Salvatore Contorno e divenne parte integrante del primo maxiprocesso. In seguito alle dichiarazioni di Tommaso Buscetta, il 29 settembre 1984 avvenne il grande blitz di San Michele che portò 475 mandati di cattura, fra cui quelli per l’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino e quelli per i potenti esattori Nino e Ignazio Salvo.

Arresto

Michele Greco venne arrestato il 26 febbraio 1986 durante una vasta operazione dei carabinieri finalizzata alla ricerca dei latitanti. Venne trovato in un casolare sperduto nelle campagne di Caccamo, a una cinquantina di chilometri da Palermo, dove si nascondeva sotto il nome di Giuseppe di Fresco nato il 22 gennaio 1926 a Palermo. Dopo aver rintracciato la moglie del Di Fresco, ormai vedova da alcuni anni, venne svelata la vera identità di Greco, latitante da 4 anni.
L’arresto del “papa” venne camuffato sotto “la grande operazione” per poter coprire la fonte che aveva permesso alle forze dell’ordine di entrare nel covo del latitante. Michele Greco fu infatti tradito da un giovane, Benedetto Galati, che oltre a curare il suo fondo, aveva vissuto con tutta la sua famiglia nella tenuta di Favarella. Tutto ciò si scoprì solo alcuni mesi dopo, quando Benedetto Galati venne assassinato a colpi di lupara. Il Galati avvisò inizialmente le forze dell'ordine con una lettera anonima con scritto “Se volete Michele Greco, seguite attentamente le mie istruzioni”. Successivamente avvenne un incontro tra il giovane e un ufficiale del carabinieri a Monreale, durante il quale Galati confessò. “Michele Greco si nasconde in una casa in campagna nelle campagne di Caccamo, alle spalle della diga sul fiume San Leonardo, andateci e lo troverete”.
L’operazione, che vide l’impiego di un centinaio di agenti, scattò all’alba. Dopo alcuni minuti che era stato fermato, Michele Greco confessò: “Bravi, siete stati bravi, io sono Michele Greco..”

Maxiprocesso

L’11 giugno 1986 Michele Greco si presentò in aula in vestito blu, camicia bianca e rolex d’oro al polso destro e disse: “Io sono stato rovinato dalle lettere anonime. Mi ha rovinato l’omonimia con i Greco di Ciaculli, mentre io appartengo ai Greco di Croceverde-Giardini. La violenza non fa parte della mia dignità.”. Continuò dicendo: “È una vita ordinaria la mia, sia da scapolo che da sposato. Mi hanno descritto come un Nerone, come un Tiberio, solo perché il mio nome fa cartello, costruendo un mare, una montagna di calunnie attorno al mio nome”.


Ammise di conoscere Stefano Bontate, in quanto quest’ultimo si recava spesso a caccia nella sua tenuta. Riguardo alle dichiarazioni dei pentiti: “Le accuse contro di me sono una valanga di fango. I pentiti usati dalla giustizia sono solo dei criminali falliti che per farla franca non esitano a dire falsità e calunnie. Non dico che i magistrati non li debbano prendere in considerazione perché fanno il loro lavoro nel modo migliore, ma se alle dichiarazioni dei pentiti non seguono fatti o prove, allora devono subire lo stesso trattamento delle lettere anonime”.
“Mi chiamano il “papa” ma io non posso paragonarmi a loro, neanche a quello attuale, anche se per la mia fede e la mia coscienza pulita posso essere uguale se non superiore a loro”. “Della mafia so quello che sanno tutti. La droga mi fa schifo solo parlarne. Tutto quello che posseggo è frutto del mio lavoro e dell’eredità dei miei genitori. Non ho mai abbandonato la casa dove mi trovavo nella latitanza e dove mi hanno trovato i carabinieri, ho lavorato in campagna, comprato e venduto bestiame”.


Fine del maxiprocesso 

L’11 novembre 1987, nell'ultima udienza del primo maxiprocesso a Cosa Nostra, poco prima che la corte si ritirasse in camera di consiglio, Michele Greco chiese e ottenne la parola. “Io desidero fare un augurio. Vi auguro la pace signor Presidente, a tutti voi auguro la pace perché la pace è la tranquillità e la serenità dello spirito e della coscienza e per il compito che vi aspetta la serenità è la base fondamentale per giudicare. Non sono parole mie, sono parole di Nostro Signore che lo raccomandò a Mosè: quando devi giudicare, che ci sia la massima serenità, che è la base fondamentale. Vi auguro ancora, signor Presidente, che questa pace vi accompagni per il resto della vostra vita”.
Con queste parole espresse precedentemente, il “papa” della mafia chiuse il processo. Il 16 dicembre 1987, dopo 638 giorni di dibattito, 35 giorni di camera di consiglio, la Corte d’Assise di Palermo emise la sentenza: Michele Greco e altri diciotto capimafia vennero condannati all’ergastolo.




Scarcerazione 

L’11 febbraio 1991 Michele Greco e altri trentanove boss vennero scarcerati per la scadenza dei termini di custodia cautelare (cavillo giuridico che venne adottato dalla prima corte di Cassazione presieduta da Corrado Carnevale). Fu una decisione che generò grande fragore all’interno dell’opinione pubblica. Michele Greco tornò così a Ciaculli e alle domande dei giornalisti rispose dicendo: “Cinque anni di carcere vissuti in assoluto isolamento mi hanno provato moltissimo e se mi chiedete anche solo le mie generalità non sarei in grado di rispondere”.
Quando gli venne chiesto di dare la sua opinione sul giudice Carnevale rispose: “Siamo in quaresima se mi parlate di Carnevale. In questi anni di galera ho trovato conforto solo nella Bibbia che è la base fondamentale: ci sono stati anche dei porci che hanno osato fare dell'ironia al riguardo, ma io me ne fotto”. Il 18 settembre 1991 fu arrestato nuovamente.


Detenzione

Michele Greco, detenuto all’Ucciardone sotto il regime del 41 bis, in seguito all'uccisione del giudice Paolo Borsellino, venne trasferito nel carcere di Pianosa insieme ad altri 55 componenti di Cosa Nostra. venne portato nel carcere di Cuneo dove rimase fino al 1998 quando, per gravi motivi di salute, venne trasferito definitivamente nel carcere di Rebibbia, a Roma.

Morte

Morì il 13 febbraio 2008 all’ospedale Pertini di Roma, nel quale si trovava da alcune settimane, stroncato da un tumore ai polmoni. Non gli furono concessi funerali solenni a causa di un divieto della Questura. Le esequie vennero celebrate nella chiesa del camposanto di Sant’Orsola e vi parteciparono esclusivamente la moglie, il figlio Giuseppe e pochi altri conoscenti e familiari.

Le condanne

Nel 1995, nel processo per l'omicidio del tenente colonello Giuseppe Russo, Michele Greco venne condannato all'ergastolo insieme a Bernardo Provenzano, Salvatore Riina e Leoluca Bagarella; lo stesso anno, nel processo per gli omicidi dei commissari Beppe Montana e Ninni Cassarà, venne pure condannato all'ergastolo insieme a Salvatore Riina, Bernardo Brusca, Francesco Madonia e Bernardo Provenzano, a cui seguì il processo per gli omicidi di Piersanti Mattarella, Pio La Torre e Michele Reina, nel quale gli viene inflitto un'ulteriore ergastolo insieme a Salvatore Riina, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci.
Nel 1997, nel processo per l'omicidio del giudice Cesare Terranova, Michele Greco ricevette un altro ergastolo insieme a Salvatore Riina, Bernardo Brusca, Giuseppe Calò, Nenè Geraci, Francesco Madonia e Bernardo Provenzano.





DOCUMENTI