Visualizzazione post con etichetta Fioravanti. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Fioravanti. Mostra tutti i post

mercoledì 3 dicembre 2014

MASSIMO CARMINATI

 


« Quelli della Magliana? Sanguinari, certo, però erano una banda di accattoni straccioni» M. Carminati 4/5/2014



Massimo Carminati nasce a Milano nel 1958 e si trasferisce a Roma con la famiglia negli anni settanta:nella capitale frequenta la sezione del MSI di Marconi e poi quella del Fuan di via Siena, al quartiere Nomentano. Milita per qualche tempo anche in Avanguardia Nazionale partecipando alle manifestazioni e agli scontri di piazza degli anni di piombo cominciando ad accumulare un certo prestigio personale negli ambienti dell'estrema destra romana, grazie alla sua fama di duro e di picchiatore per cui venne denunciato più volte per reati di rissa, violenza ed aggressione.
Compagno di scuola all'Istituto Paritario Mons. Tozzi, nella zona di Monteverde, di Alessandro Alibrandi, Franco Anselmi (con il quale dividerà poi un'abitazione a Perugia, ove entrambi frequentarono per qualche tempo la locale università) e Valerio Fioravanti con cui si incontra spesso al «Fungo», il bar all'Eur ritrovo di neofascisti, ma anche di criminali e malavitosi romani. Attraverso queste frequentazioni, Carminati iniziò a percorrere la doppia strada della militanza politica eversiva e della malavita comune, a mero scopo di lucro, diventando in breve il vero prototipo del criminale mercenario.

L'eversione nera con i NAR
« Massimo Carminati nasce nell'ambiente dell'estremismo di destra come amico e compagno di scuola di Valerio Fioravanti, al quale si lega in modo forte, e di Franco Anselmi. In breve diviene un personaggio carismatico di uno dei gruppi fondanti dei Nar: quello cosiddetto dell'Eur. Pur partecipando solo marginalmente a scontri, sparatorie ed episodi della miniguerra che ha insanguinato la capitale intorno al 1977 fra estremisti di destra e di sinistra, Carminati gode di grandissimo prestigio. Probabilmente perché è la persona dell'ambiente di destra maggiormente legata già allora alla malavita romana, alla nascente Banda della Magliana. »
(Un attimo...vent'anni di Daniele Biacchessi)
Valerio Fioravanti, che lo considera come "uno che non voleva porsi limiti nella sua vita spericolata, pronto a sequestrare, uccidere, rapinare, partecipare a giri di droga, scommesse, usura" ritiene quindi, il suo profilo criminale, adatto per un percorso di lotta armata che i suoi NAR intendono seguire, tanto da coinvolgerlo in molte azioni criminose, oltre che utilizzarlo come intermediario con la malavita romana, grazie alle diverse conoscenze che nel corso degli anni Carminati aveva accumulato, alla sua dimestichezza con gli ordigni esplosivi e alla disponibilità di materiale esplodente che poteva vantare in quegli anni.
Il 27 novembre 1979 partecipa, assieme a esponenti dei NAR e di Avanguardia Nazionale come Valerio Fioravanti, Domenico Magnetta, Peppe Dimitri e Alessandro Alibrandi, alla rapina ai danni della filiale della Chase Manhattan Bank di piazzale Marconi all'EUR. Successivamente parte del bottino, consistente in traveller cheque, verrà riciclato da Carminati e Alibrandi i quali lo affidarono nelle mani di Franco Giuseppucci, boss della Banda della Magliana che, nell'organizzare l'operazione di ripulitura, venne poi arrestato con l'accusa di ricettazione, nel gennaio del 1980.
Sempre nel 1979, Carminati assieme ad altri militanti neri, si attivò per la liberazione di Paolo Aleandri, un giovane neofascista orbitante nella galassia dei Nar a cui Franco Giuseppucci, boss della Banda della Magliana, aveva affidato in custodia un borsone pieno di armi mai riconsegnate che, utilizzate da vari esponenti della destra eversiva, erano andate disperse. Aleandri, più volte sollecitato, non era più stato in grado di restituirle ed era stato quindi rapito, il 1º agosto, dagli uomini della Magliana. A quel punto Carminati e altri militanti si attivarono rimediando altre armi (due mitra MAB modificati e due bombe a mano) in sostituzione delle originali andate perdute e dopo 31 giorni di prigionia, Aleandri venne liberato.
Quei due mitra modificati entrarono poi far parte dell'arsenale che la banda della Magliana nascose nei sotterranei del Ministero della Sanità e uno dei due venne addirittura riconosciuto, dal pentito Maurizio Abbatino, tra quelli rinvenuti sul treno Taranto-Milano, nel tentativo di depistaggio legato alla strage alla stazione ferroviaria di Bologna del 2 agosto 1980.
Il 13 gennaio 1981, infatti, in una valigetta rinvenuta su quel treno, contenente un fucile da caccia, due biglietti aerei a nome di due estremisti di destra, del materiale esplosivo T4 dello stesso tipo utilizzato per la strage di Bologna venne rinvenuto anche un mitra Mab proveniente dal deposito/arsenale della banda all'interno del Ministero della Sanità Analizzando proprio quell'arma, gli inquirenti poterono risalire ai legami tra la Banda e la destra eversiva dei Nuclei Armati Rivoluzionari. Per questa vicenda, il 9 giugno 2000, nel processo di primo grado, Carminati venne condannato a 9 anni di reclusione assieme al generale del Sismi Pietro Musumeci, al colonnello dei carabinieri Giuseppe Belmonte, al colonnello del Sismi Federigo Mannucci Benincasa e a Licio Gelli. Dell'episodio vennero infine ritenuti responsabili, con sentenza definitiva, i soli Musumeci e Belmonte, mentre Carminati verrà poi assolto in appello.
Mino Pecorelli
Secondo alcuni pentiti Carminati effettuò, per conto della Magliana, anche un altro omicidio affidato ai NAR, quello cioè del giornalista Mino Pecorelli, direttore del settimanale Osservatorio Politico O.P., iscritto alla loggia P2 e uomo vicino ai servizi segreti. Pecorelli fu assassinato con tre colpi di pistola calibro 7,65 a Roma, la sera del 20 marzo 1979 e secondo Antonio Mancini, pentito della Magliana interrogato l'11 marzo 1994: "fu Massimo Carminati a sparare assieme ad Angiolino il biondo (Michelangelo La Barbera, ndr). Il delitto era servito alla Banda per favorire la crescita del gruppo, favorendo entrature negli ambienti giudiziari, finanziari romani, ossia negli ambienti che detenevano il potere."
Dopo tre gradi di giudizio, però, nell’ottobre del 2003, la Corte di cassazione emanò però una sentenza di assoluzione "per non avere commesso il fatto" sia per i mandanti che per gli esecutori materiali dell'omicidio (Carminati e La Barbera), valutando le testimonianze dei pentiti come non attendibili e lasciando il caso (ancora oggi) irrisolto.
Massimo Carminati venne arrestato il 20 aprile 1981 quando, colpito da mandato di cattura per le azioni con i Nar, venne catturato nel tentativo di fuggire all’estero in compagnia dei due avanguardisti Domenico Magnetta e Alfredo Graniti. Arrivati nei pressi del valico del Gaggiolo (in provincia di Varese) e con l'intento di espatriare clandestinamente in Svizzera, i tre sono bloccati dalla polizia che li aspettava alla frontiera (probabilmente grazie ad una soffiata di Cristiano Fioravanti, fresco di pentimento) e che apre il fuoco su di loro, convinti che nell’auto ci fossero i capi superstiti dei Nar: Francesca Mambro, Giorgio Vale e Gilberto Cavallini. Mentre gli altri due se la cavano illesi, Carminati verrà ferito gravemente e perderà poi l'occhio sinistro e l'uso di una gamba.
Il 28 maggio 1982 viene rinviato a giudizio insieme ad altri 55 neofascisti del gruppo dei NAR a cui, il gruppo il giudice istruttore, contesta diversi capi di imputazione che vanno dalla strage alla rapina, all'omicidio, alla violazione della legge sulle armi, al danneggiamento doloso. Ad agosto di quell'anno viene però scarcerato per motivi di salute ma tornerà ben presto in carcere, il 6 ottobre, con altri 21 militanti neofascisti accusati di banda armata e associazione sovversiva.



I legami con la Banda della Magliana
Dopo gli anni della militanza politica e, successivamente, della commistione fra eversione politica e malavita comune, preferendo alla lotta ideologica obbiettivi legati all'utilità economica, Carminati finì per convogliare tutti i suoi sforzi nella criminalità organizzata che, in quella seconda metà degli anni settanta era contraddistinta, nella capitale, da una pressoché totale egemonia da parte della Banda della Magliana.
Già nel 1977, soprattutto frequentando il bar Subrizi in via Fermi o più spesso il bar di via Avicenna, nella zona di Ponte Marconi e ritrovo dei criminali della Banda della Magliana, Carminati entra in contatto con i boss Franco Giuseppucci e Danilo Abbruciati che, grazie anche alla sua fama di duro e per la sua spregiudicatezza ed il coraggio dimostrato nelle azioni, lo prendono sotto la loro ala protettiva sia per coinvolgerlo nelle proprie attività illecite che per la possibilità di ricercare un terreno comune di reciproco beneficio e di scambio di favori. Inizialmente alla base di questa cooperazione vi furono alcune attività di reinvestimento di proventi provenienti da rapine di autofinanziamento che gli estremisti effettuarono con Fioravanti e soci, in modo da poterli investire in altre operazioni illecite quali l'usura o lo spaccio di droga.
« Franco Giuseppucci era un accanito scommettitore e, per tale sua passione, frequentatore di ippodromi, sale corse e bische, ambienti nei quali non disdegnava di prestare soldi "a strozzo", dietro interessi aggirantisi attorno al 20-25 per cento mensili. Il denaro che riceveva dal Carminati, consentiva ai due di ripartire tra loro il provento degli interessi: al Carminati veniva corrisposta una "stecca" del 10-15 per cento. Dal momento che il denaro riciclato in tal modo veniva conteggiato sulla base di lire 10 milioni per volta, il Carminati, per ogni dieci milioni di lire veniva a percepire mensilmente dal Giuseppucci, da un milione ad un milione e mezzo di lire, fermo restando che Franco Giuseppucci garantiva la restituzione del capitale. Sempre Franco Giuseppucci aveva messo il Carminati in contatto con Santino Duci, titolare di una gioielleria in via dei Colli Portuensi, il quale ricettava i preziosi provento di rapine ad altre gioiellerie ed orefici, liquidando al Carminati il contante che questi, col metodo sopra specificato, riciclava e reinvestiva mediante lo stesso Giuseppucci. »
(Interrogatorio di Maurizio Abbatino del 3 dicembre 1992)
Per contro, Carminati e gli altri, si adoperarono in azioni di recupero crediti, danneggiamenti e di vero e proprio killeraggio, nei confronti di alcuni personaggi entrati in conflitto con gli affari della Magliana.
« I contatti avvennero in epoca precedente alla morte di Franco Anselmi. Successivamente essi furono mantenuti dal gruppo che faceva capo ad Alessandro Alibrandi, Massimo Carminati e Claudio Bracci (...) e ricordo, in particolare, che quelli della Magliana davano indicazione dei luoghi e persone da rapinare anche al fine di dare il corrispettivo di attività delittuose compiute per loro conto dagli stessi giovani di destra. Ricordo infatti che Alibrandi e gli altri due avevano la funzione di recuperare i crediti di quelli della Magliana e di eliminare alcune persone poco gradite. Tali persone da eliminare gravitavano nell'ambiente delle scommesse clandestine di cavalli: in particolare il Carminati mi disse, presumibilmente intorno al febbraio '81, di aver ucciso due persone: una di queste era stata "cementata" mentre l'altra era stata uccisa in una sala corse »
(Interrogatorio di Cristiano Fioravanti)
Secondo le rivelazioni del pentito Walter Sordi, ad esempio, nell'aprile del 1980 Carminati, Alibrandi e Claudio Bracci uccisero con tre colpi di pistola calibro 7,65 il tabaccaio romano Teodoro Pugliese, omicidio ordinato dalla Banda perché d'intralcio nel traffico di stupefacenti gestito da Giuseppucci.
« A uccidere Teodoro Pugliese sono stati Alessandro Alibrandi, Massimo Carminati e Claudio Bracci. Me l'ha raccontato proprio Alessandro, secondo il quale il delitto fu commesso per conto di Franco Giuseppucci, uno della banda della Magliana che era in stretti rapporti d'affari con loro, in particolare con Carminati. Entrarono in due, Alibrandi e Carminati, vestiti con degli impermeabili chiari, trovarono Pugliese e un'altra persona. Uno dei due chiese un pacchetto di sigarette, il tabaccaio si girò e loro spararono tre colpi di pistola, Alessandro mi ha detto che l'hanno colpito alla testa e al cuore. Poi sono saliti a bordo di una macchina, e durante la fuga hanno avuto un incidente, ma sono riusciti ad arrivare ugualmente al punto in cui si doveva fare il cambio auto. So che la pistola usata era una Colt Detective. »
(Interrogatorio di Walter Sordi da Ragazzi di malavita di Giovanni Bianconi)
Con il passare del tempo, poi, Carminati verrà affiliato definitivamente al gruppo criminale della Magliana e, durante questo periodo ottenne addirittura il controllo congiunto, per conto dei NAR, del deposito di armi della Banda nascosto negli scantinati del Ministero della Sanità, in Via Liszt, all'EUR e rinvenuto poi, dalla polizia nel corso di una perquisizione, il 25 novembre del 198].
« A Massimo Carminati venne consentito, in un secondo momento, di accedere liberamente al Ministero. La decisione di consentire l'accesso con maggiore libertà al Carminati, venne presa da me, nell'ottica di uno scambio di favori tra la banda e il suo gruppo. Le armi custodite nel deposito della Sanità appartenevano a tutte le componenti della banda, rispondeva pertanto unicamente a esigenze di sicurezza limitare alle persone che ho indicato il libero accesso al Ministero, anche per non creare dei problemi ulteriori all'Alesse. »
(Interrogatorio di Maurizio Abbatino del 3 dicembre 1992)

I processi e le condanne
Il lungo curriculum criminale di Carminati maturato all'ombra dei NAR e della Banda della Magliana, anche in virtù della sua figura di anello di congiunzione tra la criminalità romana ed i gruppi eversivi di estrema destra, fu oggetto di diversi processi nei confronti dell'estremista nero, alcuni dei quali riguardanti i misteri più controversi della Repubblica Italiana e da cui, Carminati, uscì praticamente quasi sempre indenne.
Successe nel caso del procedimento per l'omicidio del giornalista Mino Pecorelli o in quello per il tentativo di depistaggio legato alla strage alla stazione ferroviaria di Bologna in cui, in entrambi i casi, venne assolto per non aver commesso il fatto.
Stessa sorte nel processo per l'omicidio di Fausto e Iaio (Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci), i due militanti di sinistra assassinati a Milano, la sera del 18 marzo 1978, con 8 colpi di pistola. Con Carminati vennero indagati altri due neofascisti romani, Claudio Bracci e Mario Corsi per i quali, il 6 dicembre 2000, il Giudice delle Udienze preliminari del Tribunale di Milano, Clementina Forleo decretò l'archiviazione del procedimento a loro carico mettendo così la parola fine a un’inchiesta durata 22 anni e indirizzata, sin dall'inizio, negli ambienti dell'estremismo neofascista ma che, come recitano le conclusioni di quel documento: "pur in presenza dei significativi elementi indiziari a carico della destra eversiva ed in particolari degli attuali indagati, appare evidente allo stato la non superabilità in giudizio del limite appunto indiziario di questi elementi, e ciò soprattutto per la natura del reato delle pur rilevanti dichiarazioni."
Nel processo che, invece, vide alla sbarra l'intera Banda della Magliana, iniziato a Roma, il 3 ottobre del 1995 e in cui 69 appartenenti al clan furono chiamati a rispondere a reati quali traffico di sostanze stupefacenti, estorsioni, riciclaggio, omicidio, rapina e soprattutto associazione a delinquere di stampo mafioso, il pubblico ministero Andrea De Gasperis chiese, per Carminati, una pena pari a 25 anni di carcere. Istruito grazie alle rivelazioni del pentito Maurizio Abbatino che, la mattina del 16 aprile 1993, portarono in carcere boss, seconde linee e fiancheggiatori dell'organizzazione capitolina, nella maxi-operazione di polizia denominata "Colosseo", dopo due gradi di giudizio, il 27 febbraio 1998, Carminati venne condannato a 10 anni di reclusione.

Sviluppi recenti
Carminati è attualmente indagato per il furto al caveau della Banca di Roma interno al Palazzo di Giustizia di Piazzale Clodio, a Roma, avvenuto il 17 luglio del 1999 e compiuto da una banda composta da circa 23 persone, compresi i complici interni, che trafugarono da 147 cassette di sicurezza di "proprietà" di dipendenti del palazzo, oltre a 50 miliardi di lire, anche documenti riservati che sarebbero serviti per ricattare alcuni magistrati.
Nel maggio del 2012 Carminati è di nuovo tornato alla ribalta delle cronache nell'ambito dell'inchiesta sul calcioscommesse per il quale vennero indagati e arrestati alcuni calciatori italiani. Il suo nome è emerso nel corso delle indagini su Giuseppe Sculli, centrocampista del Genoa e nipote del boss Giuseppe Morabito, detto u tiradrittu e legato alla criminalità organizzata calabrese.





Il 2 dicembre 2014 viene arrestato insieme ad altre 27 persone con l'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso nell'ambito dell'inchiesta Mondo di Mezzo della procura di Roma riguardante le infiltrazioni della sua organizzazione mafiosa nel tessuto imprenditoriale, politico ed istituzionale della città, attraverso un sistema corruttivo finalizzato ad ottenere l’assegnazione di appalti e finanziamenti pubblici dal Comune e dalle aziende municipalizzate, con interessi anche nella gestione dei centri di accoglienza degli immigrati e nel finanziamento di cene e campagne elettorali (tra cui quella dell'ex sindaco Gianni Alemanno che figura tra gli indagati).







UPDATE: Processo Mafia Capitale, parla Carminati





DOCUMENTI





domenica 7 aprile 2013

STRAGE DI BOLOGNA




La strage di Bologna è, al d là degli esecutori materiali,  il crocevia in cui si incontrano servizi, malavita e massoneria deviata.


La strage di Bologna

compiuta sabato 2 agosto 1980 alla stazione ferroviaria di Bologna, è uno degli atti terroristici più gravi avvenuti in Italia nel secondo dopoguerra. Come esecutori materiali furono individuati dalla magistratura alcuni militanti di estrema destra, appartenenti ai NAR, tra cui Giuseppe Valerio Fioravanti. La strage uccise 85 persone e ne ferì oltre 200.

Arresto Fioravanti



L'esplosione e la reazione della città

Il 2 agosto 1980 alle 10:25, nella sala d'aspetto di 2ª classe della stazione di Bologna, affollata di turisti e di persone in partenza o di ritorno dalle vacanze, un ordigno a tempo, contenuto in una valigia abbandonata, esplose, causando il crollo dell'ala ovest dell'edificio. L'esplosivo, di fabbricazione militare, era posto nella valigia, sistemata a circa 50 centimetri d'altezza su di un tavolino portabagagli sotto il muro portante dell'ala ovest, allo scopo di aumentarne l'effetto; l'onda d'urto, insieme ai detriti provocati dallo scoppio, investì anche il treno Ancona-Chiasso, che al momento si trovava in sosta sul primo binario, distruggendo circa 30 metri di pensilina, ed il parcheggio dei taxi antistante l'edificio.
L'esplosione causò la morte di 85 persone ed il ferimento o la mutilazione di oltre 200.
La città reagì con orgoglio e prontezza: molti cittadini, insieme ai viaggiatori presenti, prestarono i primi soccorsi alle vittime e contribuirono ad estrarre le persone sepolte dalle macerie e, immediatamente dopo l'esplosione, la corsia di destra dei viali di circonvallazione del centro storico di Bologna, su cui si trova la stazione, fu riservata alle ambulanze ed ai mezzi di soccorso.
Dato il grande numero di feriti, non essendo tali mezzi sufficienti al loro trasporto verso gli ospedali cittadini, i vigili impiegarono anche autobus, in particolare quello della linea 37, auto private e taxi. Al fine di prestare le cure alle vittime dell'attentato, i medici ed il personale ospedaliero fecero ritorno dalle ferie, così come i reparti, chiusi per le festività estive, furono riaperti per consentire il ricovero di tutti i pazienti.
L'autobus 37 divenne, insieme all'orologio fermo alle 10:25, uno dei simboli della strage.
Nei giorni successivi la centrale Piazza Maggiore ospitò imponenti manifestazioni di sdegno e di protesta da parte della popolazione e non furono risparmiate accese critiche e proteste rivolte ai rappresentanti del Governo, intervenuti il giorno 6 ai funerali delle vittime celebrati nella Basilica di San Petronio. Gli unici applausi furono riservati al presidente Sandro Pertini, giunto con un elicottero a Bologna alle 17.30 del giorno della strage, che in lacrime affermò di fronte ai giornalisti: «non ho parole, siamo di fronte all'impresa più criminale che sia avvenuta in Italia».




Struttura dell'ordigno

La bomba era composta da 23 kg di esplosivo, una miscela di 5 kg di tritolo e T4 detta "Compound B", potenziata da 18 kg di gelatinato (nitroglicerina ad uso civile).



Indagini giudiziarie 

Cossiga
Nell'immediatezza dell'attentato la posizione ufficiale sia del Governo italiano, al Francesco Cossiga, che delle forze di polizia fu quella dell'attribuzione dello scoppio a cause fortuite, ovvero all'esplosione di una vecchia caldaia sita nel sotterraneo della stazione; tuttavia, a seguito dei rilievi svolti e delle testimonianze raccolte sul luogo dell'esplosione, apparve chiara la natura dolosa dell'esplosione, rendendo palese una matrice terrorista, che contribuì ad indirizzare le indagini nell'ambiente del terrorismo nero.
lora presieduto dal Senatore democristiano
Già il 26 agosto 1980 la Procura della Repubblica di Bologna emise ventotto ordini di cattura nei confronti di militanti di estrema destra dei Nuclei Armati Rivoluzionari: Roberto Fiore e Massimo Morsello (futuri fondatori di Forza Nuova), Gabriele Adinolfi, Francesca Mambro, Elio Giallombardo, Amedeo De Francisci, Massimiliano Fachini, Roberto Rinani, Giuseppe Valerio Fioravanti, Claudio Mutti, Mario Corsi, Paolo Pizzonia, Ulderico Sica, Francesco Bianco, Alessandro Pucci, Marcello Iannilli, Paolo Signorelli, PierLuigi Scarano, Francesco Furlotti, Aldo Semerari, Guido Zappavigna, GianLuigi Napoli, Fabio De Felice, Maurizio Neri. Vengono subito interrogati a Ferrara, Roma, Padova e Parma. Tutti saranno scarcerati nel 1981.
Fasi principali del processo:
19 gennaio 1987: inizio del processo di primo grado
25 ottobre 1989: inizio del processo d'appello
18 luglio 1990: pronuncia della sentenza, gli imputati sono tutti assolti dall'accusa di strage
12 febbraio 1992: le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione dichiarano che il processo d'Appello dev'essere rifatto, in quanto la sentenza viene definita illogica, priva di coerenza, non ha valutato in termini corretti prove e indizi, non ha tenuto conto dei fatti che precedettero e seguirono l'evento, immotivata o scarsamente motivata, in alcune parti i giudici hanno sostenuto tesi inverosimili che nemmeno la difesa aveva sostenuto
ottobre 1993 inizia il secondo processo d'appello
16 maggio 1994: pronuncia della sentenza che conferma l'impianto accusatorio del processo di primo grado
23 novembre 1995: pronuncia della sentenza della Corte di Cassazione che conferma quella del secondo processo d'Appello.


Depistaggi e disinformazione

Licio Gelli, Maestro Venerabile della loggia massonica P2, condannato per il depistaggio delle indagini
Vi furono svariati episodi di depistaggio, organizzati per far terminare le indagini, dei quali il più grave è quello ordito da parte di alcuni vertici dei servizi segreti del SISMI, tra i quali Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte (affiliati alla loggia P2), che fecero porre in un treno a Bologna, da un sottufficiale dei carabinieri, una valigia piena di esplosivo, dello stesso tipo che fece esplodere la stazione, contenente oggetti personali di due estremisti di destra, un francese e un tedesco. Musumeci produsse anche un dossier fasullo, denominato "Terrore sui treni", in cui riportava gli intenti stragisti dei due terroristi internazionali in relazione con altri esponenti dell'eversione neofascista, tutti legati allo spontaneismo armato, senza legami politici, quindi autori e allo stesso tempo mandanti della strage.
Francesco Cossiga, il 15 marzo 1991, al tempo della sua presidenza della Repubblica, affermò di essersi sbagliato a definire "fascista" la strage alla stazione di Bologna e di essere stato male informato dai servizi segreti. Attorno a questa strage, come era già avvenuto per la Strage di piazza Fontana nel 1969, si sviluppò un cumulo di affermazioni, controaffermazioni, piste vere e false, tipiche di altri tragici avvenimenti della cosiddetta strategia della tensione.


Condanne 

Lentamente e con fatica, attraverso una complicata e discussa vicenda politica e giudiziaria, e grazie alla spinta civile dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, si giunse ad una sentenza definitiva della Corte di Cassazione il 23 novembre 1995. Vennero condannati all'ergastolo, quali esecutori dell'attentato, i neofascisti dei NAR Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, che si sono sempre dichiarati innocenti, mentre l'ex capo della P2 Licio Gelli, l'ex agente del SISMI Francesco Pazienza e gli ufficiali del servizio segreto militare Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte vennero condannati per il depistaggio delle indagini.
Il 9 giugno 2000 la Corte d'Assise di Bologna emise nuove condanne per depistaggio: 9 anni di reclusione per Massimo Carminati, estremista di destra, e quattro anni e mezzo per Federigo Mannucci Benincasa, ex direttore del SISMI di Firenze, e Ivano Bongiovanni, delinquente comune legato alla destra extraparlamentare. Ultimo imputato per la strage è Luigi Ciavardini, con condanna a 30 anni confermata nel 2007. Anche lui continua a dichiararsi innocente.
Eventuali mandanti della strage non sono mai stati scoperti.


Ipotesi alternative 

A causa del protrarsi negli anni delle vicende giudiziarie e dei numerosi comprovati depistaggi, intorno ai veri esecutori e ai mandanti dell'attentato si sono sempre sviluppate numerose ipotesi e strumentalizzazioni politiche divergenti dai fatti processuali che hanno portato alle condanne definitive dei presunti esecutori materiali della strage.
Stando quanto riportato dai media nel 2004 e ripreso nel 2007, Francesco Cossiga, in una lettera indirizzata a Enzo Fragalà, capogruppo di Alleanza Nazionale nella commissione Mitrokhin, ipotizza un coinvolgimento palestinese (per mano del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e del gruppo Separat di Ilich Ramírez Sánchez, noto come "comandante Carlos") dietro l'attentato.Inoltre, nel 2008 Cossiga ha rilasciato un'intervista al Corriere della Sera in cui ribadiva la sua convinzione secondo cui la strage non sarebbe da imputarsi al terrorismo nero, ma ad un "incidente" di gruppi della resistenza palestinese operanti in Italia. Si dichiara altresì convinto dell'innocenza di Francesca Mambro e Giuseppe Valerio Fioravanti.
Tra il 1999 e il 2006, durante i lavori istruttori della Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi (XIII legislatura, 1996-2001) e poi della Commissione d'inchiesta concernente il «dossier Mitrokhin» e l'attività d'intelligence italiana (XIV legislatura, 2001-2006) sono emersi elementi inediti sui collegamenti internazionali del terrorismo italiano e sulle reti dei servizi segreti dell'ex blocco sovietico e dei principali Paesi arabi come Siria, Libano, Libia, Yemen del Sud e Iraq. Grazie a queste informazioni è stato possibile riannodare i fili di una trama occultata per 25 anni e scoprire i punti nevralgici di uno dei segreti più sensibili della Repubblica: – gli accordi con la dirigenza palestinese (cosiddetto «lodo Moro»); – i retroscena del traffico di armi tra l'Fplp e l'Italia; – le minacce al governo italiano per il sequestro dei missili di Ortona e l'arresto del capo dell'Fplp in Italia Abu Anzeh Saleh; – i legami di Abu Anzeh Saleh con il terrorista internazionalista Ilich Ramírez Sánchez, detto Carlos; – l'allarme dell'antiterrorismo italiano ai servizi segreti tre settimane prima della strage; – il fallimento delle manovre della nostra intelligence per evitare l'azione ritorsiva; – l'arrivo in Italia il 1º agosto 1980 del terrorista tedesco Thomas Kram legato al gruppo Carlos e ai palestinesi, e presente a Bologna il giorno della strage. A fronte di queste evidenze il 17 novembre 2005 la procura bolognese apre un procedimento contro ignoti (7823/2005 RG) Dossier.
È da tenere in considerazione il fatto che il 27 giugno 1980, ovvero 35 giorni prima della strage della stazione, da Bologna era partito l'aereo DC9 Itavia volo IH870 per Palermo, che fu misteriosamente Colonnello Gheddafi nel presumibile attacco subito nei cieli di Ustica il 27 giugno di quella stessa estate. Questo spiegherebbe la copertura successiva e la deviazione delle indagini sulla strage da parte dello Stato italiano. Tale ipotesi potrebbe anche coincidere con la tesi del terrorista Carlos.
abbattuto al largo di Ustica provocando la morte di 81 persone. Un fatto grave che nessuno ha mai spiegato chiaramente. Le versioni ufficiali hanno sempre tenuto le due stragi separate al punto che tuttora per l'opinione pubblica italiana i due fatti appaiono slegati da qualsiasi fattore o nesso comune. Esiste tuttavia la possibilità che alcuni servizi segreti(CIA, Mossad) avessero provocato la strage di Bologna al fine di mettere sotto pressione il governo italiano e il suo filoarabismo ("lodo Moro"), in quanto considerato ambiguo e controproducente agli interessi atlantici. Tale filoarabismo dello Stato italiano avrebbe suggerito la protezione del
C'è anche chi pensa che la Libia stessa abbia avuto una larga parte nella strage di Bologna quale ritorsione per l'attacco al Colonnello Gheddafi avvenuto presumibilmente a Ustica il 27 giugno del 1980.
Dalla sua cella, a Parigi, Carlos, pseudonimo del terrorista filo palestinese Ilich Ramírez Sánchez, affermò che «la commissione Mitrokhin cerca di falsificare la storia» e che «a Bologna a colpire furono CIA e Mossad», con l'intento di punire e ammonire l'Italia per i suoi rapporti di fiducia reciproca con l'OLP, che si era segretamente impegnato a non colpire l'Italia in cambio di una certa protezione.
Nel maggio 2007 il figlio di Massimo Sparti (malvivente legato alla banda della Magliana e principale accusatore di Fioravanti) dichiara «mio padre nella storia del processo di Bologna ha sempre mentito».
In un allegato pubblicato in fascicoli del settimanale di destra L'Italia Settimanale nel corso del 1994 intitolato "Storia della prima Repubblica" viene fornita una particolare ipotesi sulla strage; viene accomunata alla strage di Ustica (ne viene definita letteralmente il "bis"); poi viene paragonata al caso di Enrico Mattei e al caso Moro. Il testo prosegue con
« L'Italia dalla nascita della prima Repubblica è stata, come tutti sanno, un paese a sovranità limitata (...) ora, nel momento in cui, per questioni contingenti (...) ha fatto - raramente - scelte che si sono rivelate in contrasto con le alleanze di cui vi dicevo, ha compiuto, detto in termini politico-mafioso-diplomatici, uno "sgarro". E come nella mafia quando un picciotto sbaglia finisce in qualche pilone di cemento o viene privato di qualche parente (in gergo si chiama "vendetta trasversale"). Così è fra gli Stati: quando qualche paese sbaglia, non gli si dichiara guerra; ma gli si manda un "avvertimento", sotto forma di bomba, che esplode in una piazza, su di un treno, su una nave, ecc ecc »
Senza contestare le sentenze giudiziarie che hanno riconosciuto gli esecutori materiali, il testo vuole indicare i mandanti.
Il 19 agosto 2011 la Procura di Bologna pone sotto indagine due terroristi tedeschi, Thomas Kram e Christa Margot Frohlich, entrambi legati al gruppo del terrorista Carlos, i quali risulterebbero presenti a Bologna il giorno dell'attentato, seguendo così la pista del terrorismo palestinese, mai accettata dal presidente dell'Associazione famigliari vittime Paolo Bolognesi e invece ripetutamente riproposta da Francesco Cossiga.



LICIO GELLI

Gelli
"Fu un mozzicone di sigaretta". Secondo Gelli a generare tutta quella devastazione, in una calda mattinata di agosto, non fu una bomba ma "un mozzicone di sigaretta che è stata lanciata" e ha provocato il "surriscaldamento". Gelli, condannato per depistaggio delle indagini della strage, è convinto che i componenti del Nar Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, condannati come esecutori materiali della strage, "non ne hanno colpa". "Quella Mambro mi pare e quel Fioravanti mi sembra, non ne hanno colpa" dice Gelli nell'intervista rilasciata nel 2010 agli autori del film nella sua abitazione 'Villa Wanda' ad Arezzo. "Io credo sia stato un mozzicone di sigaretta che è stata lanciata" e quindi "c'è stato un surriscaldamento ed è esploso". Secondo il venerabile maestro della P2 "la bomba se c'era... qualche frammento si sarebbe trovato, no?".
"A posto con la coscienza". "Noi abbiamo facilitato lo Stato italiano per tanto tempo", prosegue Gelli nell'intervista. "Ci avevano riconosciuto e consentito di nominare il capo dei servizi segreti", e ha precisato: "Con la coscienza sono a posto". Secondo il leader della P2 "i giovani vanno istruiti, bisogna insegnargli anche a lavorare" perché "la memoria diluisce, si ossida, non dico che certe cose possano essere dissipate nell'oblio, ma si ossidano...non ci si ricorda più nulla".

“Strage di Bologna opera di Gheddafi” parla “il faccendiere”

30 gennaio
«Che fine ha fatto?» mi chiedo guardando la foto su un catalogo che sto per buttare. Il suo nome era comparso sui giornali nel 1982 con la qualifica di “faccendiere”. Le ultime tracce le trovo su internet: uscito dal carcere di Livorno, sta scontando gli ultimi mesi di pena presso la Pubblica Assistenza di Lerici.
Milena Gabanelli da “La Repubblica”

Francesco Pazienza
Francesco Pazienza ha scontato 10 anni per depistaggio alle indagini sulla strage di Bologna, altri 3 per il crac Ambrosiano e associazione a delinquere. Amico di Noriega, frequentatore dei servizi segreti francesi, americani e sudamericani, nel 1980 è a capo del Super Sismi. Braccio destro di Licio Gelli, il suo ambiente è il sottobosco di confine fra l´alta finanza e l´alta criminalità, l´alta politica e il Vaticano. Protagonista delle vicende più tragiche della storia italiana degli anni ‘80, è depositario di informazioni mai rivelate, altre raccontate a modo suo. Laureato in medicina a Taranto, non ha mai indossato un camice. Negli anni ‘70 vive a Parigi e fa intermediazioni d´affari per il miliardario greco Ghertsos. Poi l´incontro con il capo del Sismi, Santovito. Grandi alberghi, yacht, belle donne, sigari rigorosamente cubani e tagliasigari d´oro. Un´altra epoca. Adesso ha 62 anni e fuma le Capri, mentre cammina da uomo libero sul lungomare di Lerici.
Cominciamo dall´inizio: come avviene l´incontro con Santovito? «Me lo presentò l´ingegner Berarducci, oggi segretario generale dell´Eurispes. Santovito era suo zio, e mi chiese di fare il suo consulente internazionale». E perché Santovito le dà questo incarico senza conoscerlo prima? «Sa, io parlavo diverse lingue e avevo un sacco di relazioni in giro per il mondo. Normalmente non avviene così, ma all´epoca era quasi tutto improntato all´improvvisazione».
E in cambio cosa riceveva? «Rimborso spese. Siccome non avevo bisogno di soldi, era quello che volevo: se volevo andare a New York in Concorde, andavo in Concorde. Mi sembrava tutto molto avventuroso».
Si dice che lei sia stato determinante nella sconfitta di Carter contro Reagan. «La storia comincia con Mike Ledeen a Washington, che mi aveva presentato Santovito; lui dirigeva il Washington Quarterly e faceva capo ad una lobby legata ai repubblicani (e alla Cia-ndr). Così gli dico: “Guarda che quando c´è stata la festa per l´anniversario della rivoluzione libica, il fratello di Carter ha fraternizzato con George Habbash”, che era il capo del Flp. E a quel punto disse: “Se tu mi dai le prove, noi possiamo fare l´ira di Dio”».
Gheddafi E le prove come se le era procurate? «Attraverso un giornalista siciliano, Giuseppe Settineri, che io mandai con un microfono addosso ad intervistare l´avvocato Papa, che faceva il lobbista e aveva partecipato alla festa di Gheddafi. Lui raccontò per filo e per segno tutto quello che era successo. Le foto dei festini me le avevano fornite Michele Papa e Federico Umberto D´Amato, la testa degli affari riservati del Viminale». Il Viminale ha dunque interferito nelle elezioni di un paese alleato? «Sissignore, però la débacle ci sarebbe stata ugualmente, ma non in misura così massiccia».
Lei, che non è un militare, diventa capo del Super Sismi. Cos´era? «Il Super Sismi ero io con un gruppo di persone che gestivo in prima persona».
A gennaio 1981 sul treno Taranto-Milano viene piazzata una valigia con esplosivo della stessa composizione di quello usato nella stazione di Bologna… Ci sono dei documenti intestati a un francese e un tedesco, indicati dai servizi come autori di stragi avvenute a Monaco e Parigi. Si scoprirà poi che si trattava di depistaggio. «Il depistaggio è stato fatto dal Sismi per non fare emergere la vera verità della bomba di Bologna. Secondo l´allora procuratore Domenico Sica c´era di mezzo la Libia, e coinvolgerla in quel momento avrebbe voluto dire tragedia per la Fiat e per l´Eni. Vada negli archivi delle sedute parlamentari: il 4 agosto 1980, Spadolini in persona presentò un´interrogazione parlamentare in cui attribuiva la bomba di Bologna a origini straniere mediorientali».
Ma qual era l’interesse mediorientale? «L´Italia non poteva sottrarsi agli obblighi Nato, e quindi doveva fare un accordo con Malta, per proteggerla in caso di attacchi del colonnello Gheddafi. L´accordo fu firmato, e Gheddafi fece la ritorsione. Ustica porta la stessa firma. Me lo ha raccontato Domenico Sica. Quando tolgono il segreto di Stato la verità salterà fuori».