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martedì 25 giugno 2013

PRINCIPE ALLIATA DI MONTEREALE



Principe Alliata di Montereale


Il principe don Giovanni Francesco Stefano Ippolito Oliviero Agilulfo Pio Giacomo Orazio Maria Brasilino Alliata di Montereale e Villafranca

meglio conosciuto come Gianfranco (Rio de Janeiro, 26 agosto 1921 – Roma, 20 giugno 1994), figlio di don Giovanni (nato a Trapani il 13 agosto 1877, deceduto a Rio de Janeiro il 20 gennaio 1938, ministro plenipotenziario di 1ª classe) e di donna Olga dei conti Matarazzo, nacque in Brasile, dove la famiglia aveva vasti possedimenti.
Laureato in giurisprudenza, dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia del 1943 aderì al movimento separatista. Capo della componente agraria del Movimento Indipendentista Siciliano, fu indicato da Gaspare Pisciotta come uno dei mandanti della strage di Portella della Ginestra del 1º maggio 1947, ma le accuse non furono mai provate.
Nel 1946 è eletto al consiglio comunale di Palermo.                                         
Il 30 aprile 1947 fu eletto deputato all'Assemblea regionale siciliana ma si dimise nel 1948 perché eletto deputato alla Camera, nella prima legislatura, per il Partito Nazionale Monarchico, nel collegio unico nazionale.
Ha dilapidato un patrimonio in una vita piena di donne e tavoli da gioco oltre che di massoneria. Di disponibilità finanziarie comunque ne ha sempre avute. 
Riconfermato alla Camera nel 1953, nel 1956 passa al Partito Monarchico Popolare, con cui viene rieletto nella terza legislatura, stavolta nel collegio di Palermo. Lascia il PMP nel 1959 per aderire al Partito Democratico Italiano. Non rieletto nel 1963. Consigliere comunale a Bologna dal 1956 al 1960.
È stato vice presidente del Partito nazionale monarchico e presidente regionale per la Sicilia dello stesso Partito; vice presidente del Partito monarchico popolare e vice presidente dell'Unione monarchica italiana
Nel 1970 una "soffiata" gli permette di sfuggire alla cattura ordinata dalla Procura della Repubblica di Roma nell'ambito dell'inchiesta sul fallito golpe del principe Junio Valerio Borghese e di rifugiarsi all'estero.
Secondo i giudici Alliata avrebbe partecipato alla stesura del progetto politico-militare ed avrebbe richiesto collaborazione ai boss di Cosa Nostra, che tramite Luciano Leggio, pero' rifiuteranno.
Verra' poi prosciolto e tornera' tranquillamente in Italia. 
Compare poi fra i destinatari di un avviso di garanzia inviato dalla magistratura di Padova che indaga sull'attivita' del gruppo neofascista la Rosa dei Venti
Fu Gran Maestro della loggia massonica di Piazza del Gesù.
Aderì alla Loggia P2 (tessera n. 361). Fu Sovrano Gran Commendatore a vita del Rito Scozzese Antico e Accettato dell’osservanza massonica di Piazza del Gesù e Gran Maestro della Serenissima Gran Loggia Nazionale degli Antichi Liberi e Accettati Muratori (ALAM).
Costituì l’Associazione Nobili del Sacro Romano Impero.
Nel 1993 fu promotore a Roma di una lista alle Comunali per le prime elezioni dirette del sindaco.
Morì a Roma, mentre era agli arresti domiciliari per un'indagine della Procura di Palmi per aver fatto parte di un "gruppo massonico occulto".





sabato 22 giugno 2013

MARIO SCELBA





Nacque a Caltagirone nel 1901; Membro della prima ora del Partito Popolare, con le elezioni del 1948 diventò deputato al Parlamento Italiano.
Fu ministro dell'interno dal 2 febbraio 1947 al 7 luglio 1953 (dall'11 luglio al 18 settembre 1952 fu sostituito da Giuseppe Spataro perché colpito da malattia), dal 10 febbraio 1954 al 6 luglio 1955 e dal 26 luglio 1960 al 21 febbraio 1961. È stato il 4º Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana dal 10 febbraio 1954 al 6 luglio 1955.
Mario Scelba conosceva Don Sturzo sin dalla più tenera età, e ne divenne segretario particolare nel 1921. Durante il Ventennio esercitò la professione di avvocato civilista, e divenne amico di Alcide de Gasperi.
Nel 1943, sbarcati gli alleati in Sicilia, contribuì a scrivere il primo documento programmatico del partito, “le Idee ricostruttive della Democrazia cristiana”.



Le elezioni del 1948
In vista delle elezioni del 1948 preparò lo Stato al possibile scoppio di una guerra civile, rafforzando la polizia, espungendo da essa elementi considerati (dal punto di vista   di dubbia fedeltà, conseguenti ad arruolamenti provvisori avvenuti sul finire della guerra (Polizia Partigiana).
Dopo le elezioni divenne meno acuto il pericolo di insurrezione generale armata delle sinistre. Si passò al tempo delle manifestazioni, violente ma in genere non armate. Nell'Italia di quegli anni, le manifestazioni erano organizzate soprattutto dai partiti Comunista e Socialista, per cui Scelba si fece rapidamente fama di nemico e persecutore del comunismo.
Con le elezioni del 1948 diventò frattanto deputato al Parlamento Italiano, dove fu costantemente rieletto fino al 1968, quando passò al Senato.
La percezione da parte dei simpatizzanti del Partito Comunista e del Partito Socialista di essere oggetto di una repressione mirata, era motivata anche dal fatto che la repressione delle manifestazioni avveniva di norma in modo molto cruento: la cronaca di quei sei anni riporta in tutto circa 150 morti fra scioperanti e manifestanti vari e migliaia di feriti ad opera delle forze di polizia, in particolare della "Celere", preposta alle operazioni di ordine pubblico.
Scelba fu colui che coniò, il 6 giugno 1949 a Venezia, nel corso del terzo congresso nazionale della Democrazia Cristiana, il termine Culturame.
Scelba esercitò grande fermezza nei confronti di don Zeno Saltini protagonista di grandi iniziative a favore degli orfani e dei diseredati, tra le quali Nomadelfia, ma le cui idee progressiste avrebbero potuto essere confuse con l'applicazione degli ideali comunisti. La sua opposizione a don Zeno e a Nomadelfia venne pesantemente criticata sia dagli intellettuali della sinistra che da quelli cattolici:
« In questo paese dove centinaia di enti parassitari succhiano lo Stato, dove si buttano via miliardi per finanziare esposizioni inutili, manifestazioni balorde e stagioni vuote, non s' è trovato niente per aiutare don Zeno e Nomadelfia che mantenevano 700 bambini dispersi e privi di famiglia. Peggio. Quando la situazione precipitò, per essere sicuri che non potessero più sfuggire di mano, che non potessero più rialzare la testa, s' impose per loro la forma più odiosa e peggiore: la liquidazione coatta. Un bel giorno la polizia arrivò a Nomadelfia. I ragazzi furono tolti alle mamme adottive, caricati coi loro fagotti sui camion, e sparpagliati per tutta l'Italia in istituti diversi, da dove scrivono ancora lettere accorate, e di tanto in tanto scappano. »
(Filippo Sacchi, La Stampa, 17 dicembre 1953)

Scelba ed Andreotti


La repressione politica nel secondo dopoguerra
Secondo Giuseppe Carlo Marino, docente ordinario dell'Università di Palermo, storico e scrittore, Scelba, divenuto Ministro dell'Interno il 2 febbraio 1947, diede il via ad una politica repressiva antidemocratica verso gli scioperi causando numerose vittime e feriti nel corso della sua funzione pubblica. Sempre secondo il parere di tale studioso, l'avversione a idee di giustizia sociale di stampo socialcomunista in nome di una priorità di ordine economico portò a violare le libertà costituzionali di opinione e assemblea agli appartenenti alle formazioni sindacali e delle sinistre.
Secondo Elena Aga-Rossi, ordinario di storia contemporanea presso l'Università dell'Aquila, invece, la riorganizzazione della polizia da lui effettuata avrebbe permesso una riduzione dei delitti politici e un miglioramento della sicurezza dei cittadini.






L'evoluzione successiva 
Il suo nome è legato anche a quella che venne definita all'epoca dalle opposizioni la "Legge truffa", il tentativo di modificare in senso maggioritario la legge proporzionale vigente dal 1946, introducendo un premio di maggioranza consistente nell'assegnazione del 65% dei seggi della Camera dei deputati alla lista o a un gruppo di liste apparentate in caso di raggiungimento del 50% più uno dei voti validi. La Legge n° 148 del 31 marzo 1953 passò con i soli voti della maggioranza democristiana - con Scelba ministro dell'Interno - ma non ebbe effetti pratici, dal momento che alle elezioni politiche dello stesso anno la Democrazia Cristiana e le liste a essa apparentate non ottennero la maggioranza assoluta.
Scelba lasciò la Presidenza del Consiglio (era anche ministro ad interim degli Interni) dopo l'elezione a Presidente della Repubblica di Giovanni Gronchi, nel 1955. Ritrovò brevemente il ministero degli Interni nel luglio 1960, in occasione del governo varato da Fanfani, dopo l'episodio increscioso del governo Tambroni con i gravi fatti di Genova del 30 giugno 1960 e quelli contestuali di Roma e Reggio Emilia, che aveva creato, tra l'altro, il sospetto della minaccia di colpo di stato in chiave reazionaria.
Ostile al centrosinistra, dopo l'avvento del primo governo Moro nel quale per la prima volta entravano a far parte i socialisti decise di assumere una posizione defilata. Nel 1966 fu invitato a far parte del terzo governo Moro, sempre di centrosinistra, ma rifiutò l'offerta. Nel 1969 fu eletto Presidente del Parlamento Europeo, carica che avrebbe mantenuto fino al 1971, e presidente del Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana, incarico che avrebbe lasciato nel 1973. Costantemente rieletto, fece parte del Senato della Repubblica dal 1968 al 1979, anno in cui si ritirò dalla vita politica.
Fra le personalità a lui maggiormante legate, il futuro Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro.
I suoi funerali si tennero, alla presenza dei massimi dirigenti della Democrazia Cristiana del tempo, il 31 ottobre 1991 nella chiesa di San Gioacchino nel quartiere Prati, a Roma.
A seconda dei punti di vista è stato considerato o l'uomo che, riorganizzando le forze dell'ordine, ha salvato lo Stato democratico dal presunto sovversivismo attribuito al Partito Comunista Italiano e dal revanscismo neofascista, oppure l'uomo simbolo della repressione poliziesca del dissenso negli anni cinquanta.



Scelba e la strage di Portella della Ginestra 
Dopo la strage di Portella della Ginestra, avvenuta il 1 maggio 1947, il suo nome venne fatto da Gaspare Pisciotta, luogotenente di Salvatore Giuliano, e da altri banditi in relazione ai gravissimi fatti avvenuti in Sicilia. Da diversi storici è stato investigato quale elemento chiave delle connessioni di potere che in un modo o in un altro avrebbero contribuito alla strage medesima e che, al fine di eliminare definitivamente ogni traccia, avrebbero poi deciso l'uccisione del capobanda di Montelepre, avvenuta il 5 luglio 1950.
Ricostruzioni e ipotesi su quei fatti risultano, fra le tante, nell'opera Il binomio Giuliano-Scelba di Carlo Ruta (1995), in Salvatore Giuliano di Giuseppe Casarrubea (2001) e in Segreti di Stato di Paolo Benvenuti (2003).
Tuttavia non fu mai portata alcuna prova e nulla fu mai accertato.

Legge Scelba 
Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n°143 il 23 giugno 1952, la legge n° 645 (più comunemente chiamata "Legge Scelba") vieta l'apologia del regime fascista e del Partito Nazionale Fascista, classificate come reato.



venerdì 21 giugno 2013

BERNARDO MATTARELLA





Bernardo Mattarella (Castellammare del Golfo, 15 settembre 1905 – Roma, 1 marzo 1971) è stato un politico italiano,  il principale avversario del separatismo siciliano e più volte Ministro della Repubblica. È il padre di Piersanti e Sergio anch'essi uomini politici.
Di umili origini, si laureò in giurisprudenza a Palermo dove visse fino al 1948 quando si trasferì a Roma. Antifascista. Nel 1941-1943 partecipò a Roma alle riunioni clandestine guidate da Alcide De Gasperi da cui nacque la Democrazia Cristiana.
Nei primi due governi del Comitato di liberazione nazionale, presieduti da Ivanoe Bonomi e composti da tre ministri e tre sottosegretari per ciascuno dei sei partiti del CLN (1944 – 1945), ricoprì la carica di Sottosegretario alla Pubblica Istruzione. Nel 1945, con De Gasperi Segretario nazionale, divenne Vice Segretario della Democrazia Cristiana, insieme ad Attilio Piccioni e a Giuseppe Dossetti.
Alle elezioni dell'Assemblea Costituente del 2 giugno 1946 fu eletto per la DC nella circoscrizione elettorale della Sicilia Occidentale e fece parte dell'Ufficio di Presidenza della Costituente come Questore. Il 18 aprile 1948 alle elezioni del primo parlamento repubblicano, Mattarella fu rieletto nella medesima circoscrizione, nella quale sarà sempre eletto.
Nel quinto Governo De Gasperi (1948) fu nominato Sottosegretario ai Trasporti, carica che mantenne anche nel sesto e settimo degli esecutivi guidati dallo statista trentino.
Costituitosi l'ottavo Governo De Gasperi il 16 luglio 1953, ebbe affidato il Ministero della Marina Mercantile. Caduto questo gabinetto dopo appena 12 giorni e formatosi il Governo Pella il 18 agosto 1953, ebbe l'incarico di Ministro dei Trasporti che mantenne anche nel successivo Governo Fanfani, che cadde il 30 gennaio 1954 a soli 12 giorni dalla sua costituzione. Nel successivo governo guidato da Mario Scelba, ebbe riaffidato lo stesso ministero. Il 6 luglio 1955 nacque il primo Governo Segni e Mattarella passò dai Trasporti al Commercio con l'Estero. Adone Zoli, costituito il suo governo il 18 maggio 1957, lo volle Ministro delle Poste e Telecomunicazioni. Nella terza Legislatura fu Presidente della Commissione Trasporti della Camera dei deputati e componente della direzione nazionale della Democrazia Cristiana, per poi tornare al governo, come Ministro dei Trasporti, nel quarto Governo Fanfani (21 febbraio 1962).
Dopo le elezioni politiche del 1963 si formò il primo Governo Leone, durato in carica dal 21 giugno al 5 novembre 1963, nel quale Mattarella fu Ministro per l'Agricoltura e le Foreste. Nel secondo governo della quarta Legislatura (primo Governo Moro) entrato in carica il 4 dicembre 1963 ritornò al Ministero del Commercio con l'Estero, che mantenne anche nel successivo secondo Governo Moro che rimase in carica fino al 21 gennaio 1966.
Nel successivo governo Moro Mattarella non fu nominato Ministro per motivi di equilibrio tra le correnti democristiane, come affermato da Moro in una lettera con cui ringraziava Mattarella per il lavoro svolto al governo. Mattarella divenne Presidente della Commissione Difesa della Camera dei deputati e rientrò nella direzione nazionale della D.C. E mantenne questi due incarichi fino alla sua morte, a seguito di una malattia durata alcuni mesi.
Alle politiche del 1968, a meno di tre anni dalla morte, fu eletto per l'ultima volta alla Camera dei deputati.

L'atteggiamento nei confronti della Mafia 
La sentenza del Tribunale di Roma del 21.6.1967, confermata dalla Corte d'appello e dalla Corte di cassazione, afferma: “Mattarella ha espresso sempre in modo inequivoco la sua condanna del fenomeno mafioso” e “non è mai entrato in contatto con l' ambiente mafioso da lui invece apertamente e decisamente osteggiato nel corso di tutta la sua carriera politica”.
Nel 1943 fu il primo a entrare in contatto epistolare con don Luigi Sturzo, ancora negli Stati Uniti. In una lettera del 24 maggio 1944 manifestava a Sturzo l'allarme per l'azione del separatismo siciliano, scrivendogli: ”È comunque un movimento che occorre seguire e vigilare continuamente, anche per l'elemento poco buono da cui è circondato, la mafia, riportata dai feudatari separatisti all'onore della ribalta politica". In altra lettera del 29 giugno 1946, poco dopo il voto per l'Assemblea Costituente, Bernardo Mattarella così scriveva a Luigi Sturzo: “La lotta elettorale è stata dura e faticosa, ma ci dato anche il grande risultato del pieno fallimento della mafia... I separatisti, che ne dividevano con i liberali i favori, sono stati miseramente sconfitti”. In un articolo del 3 giugno 1944 su “Popolo e Libertà”, il giornale che dirigeva, Bernardo Mattarella, pubblicò un articolo in cui attaccava il leader dei separatisti, accusandolo di avere l'appoggio della mafia e scrivendo: “Ha sulla coscienza la triste responsabilità di avere riunito attorno a sé, cercando di ripotenziarla, l'organizzazione più pericolosa e sopraffattrice che abbia afflitto, per lunghi anni, le nostre contrade.”
Nel 1958, in una lunga intervista sugli strumenti per sconfiggere la mafia – su Il Giornale del Mezzogiorno del 27 novembre 1958 - espresse opinione favorevole all'istituzione di una commissione di inchiesta sulla mafia, che venne istituita anni dopo.
Al processo per la strage di Portella della Ginestra Mattarella fu accusato da Gaspare Pisciotta di essere implicato nella strage. La sentenza della Corte di assise di Viterbo che concluse quel processo dichiarò infondate le accuse di Pisciotta, componente della banda Giuliano e tra gli autori della strage. Anche il Pubblico Ministero nella sua requisitoria al processo di Viterbo aveva definito inaffidabile Pisciotta che aveva fornito nove diverse versioni della strage e inattendibili le sue accuse contro Scelba e Mattarella. Tali le giudicò anche l'Ufficio istruzione presso la Corte di Appello di Palermo su denunzia presentata dall'on. Giuseppe Montalbano, del PCI, contro tre deputati monarchici e che escludeva coinvolgimenti degli onn. Scelba e Mattarella. Del resto che l'atteggiamento di Pisciotta facesse parte di una manovra organizzata per depistare era stato dichiarato nel corso del processo dalla stessa madre di Giuliano e da alcuni componenti della banda e fu confermato, davanti alla Commissione parlamentare antimafia, sia da questi ultimi nel marzo 1966 sia, nel giugno 1972, dai due membri della banda che avevano seguito Pisciotta in quella manovra.
Mattarella sarebbe stato tra coloro che accolsero Joe Bonanno quando arrivò all'aeroporto di Fiumicino a Roma nel 1957. Questa circostanza è falsa. Essa è contenuta in un libro di memorie del Bonanno, invero piuttosto romanzato, scritto, come si legge nella presentazione, da un terzo: vi si narra del viaggio che il Bonanno fece in Italia, nel settembre 1957, al seguito del direttore del giornale “Il progresso italo americano” F. Pope. Come risulta da quel giornale essi arrivarono a Roma il 13 settembre di quell'anno e l'on. Bernardo Mattarella non era affatto presente. È facile verificarlo sia sul giornale di Pope che su giornali italiani. Del resto, quello stesso giorno, Mattarella, allora Ministro delle Poste, si trovava in altra e lontana città d'Italia per inaugurare un'opera pubblica.
Il sociologo Danilo Dolci lo accusò nel 1965, con un dossier presentato in una conferenza stampa (riprodotto nel libro Chi gioca solo del 1966) di collusioni con la mafia. Mattarella lo querelò, concedendogli facoltà di prova e, dopo un dibattimento durato circa due anni, con l'escussione di decine di testimoni e l'acquisizione di un'amplissima documentazione, e durante il quale Dolci chiese che gli venisse applicata l'amnistia varata nell'anno precedente, questi fu condannato per diffamazione a due anni di reclusione, che non scontò per effetto dell'indulto approvato l'anno precedente. Nella sentenza del Tribunale di Roma del 21.6.67, già citata e confermata in Appello e in Cassazione, è scritto: “Nulla di quanto attribuito al parlamentare siciliano può dirsi rimasto in piedi”. “Ha in sostanza Mattarella portato a conoscenza del Tribunale, obiettivamente documentandolo, l'atteggiamento di insuperabile contrarietà alla mafia assunto e mantenuto nel corso di tutta la sua carriera politica”. “Nulla di quanto contenuto nel dossier che ha costituito la base del massiccio attacco nei riguardi di Mattarella ha trovato quindi conforto e riscontro sul piano della prova, dimostrandosi le dichiarazioni raccolte dagli imputati – Dolci e il suo collaboratore Alasia – nient'altro che il frutto di irresponsabili pettegolezzi, di malevoli dicerie se non addirittura di autentiche falsità”.”Basse, infondate insinuazioni, quindi, calunniose interpretazione di fatti ed avvenimenti, interessate strumentalizzazione di testimonianze che lungi dal fare la storia di un ambiente e di un personaggio, come incautamente asserito dal Dolci nel corso della conferenza stampa, possono al più favorire la peggiore confusione delle idee, intralciare se non addirittura fuorviare il corso degli accertamenti, condurre a infondati giudizi nei confronti di uomini e di cose”.

' VI DICO I NOMI DEI PADRI DELLA MAFIA'
Repubblica 1996
Bernardo Mattarella, ministro della Repubblica e uomo d' onore. Girolamo Bellavista, principe del Foro e uomo d' onore. Giovanni Musotto, docente di Diritto Penale e uomo d' onore. Calogero Volpe, sottosegretario alle Finanze e uomo d' onore, Casimiro Vizzini, senatore della Repubblica e uomo d' onore... L' ultimo pentito racconta la storia "segreta" di Cosa Nostra, fa i nomi dei suoi più illustri affiliati degli Anni Cinquanta e Sessanta, spiega con dovizia di particolari il ruolo di ministri e avvocati al servizio delle "famiglie" della Sicilia occidentale. E' la verità di Francesco Di Carlo, il boss di Altofonte che i procuratori di Palermo definiscono "il nuovo Buscetta".... 

sabato 15 giugno 2013

GASPARE PISCIOTTA





Rosalia Pisciotta (la sorella): «Quali caffè e caffè. Ci misero la stricnina nella medicina a me' frati quando tornò da Viterbo. Cretinu pure lui. ' A Palermo parlerò' , diciva. E parlava dei potenti. Sbaglio grande. O riferiva tutto allora e si liberava in quell' aula, o si stava zittu». 
(da corriere della sera 2007)


Gaspare Pisciotta (Montelepre, 5 marzo 1924 – Palermo, 9 febbraio 1954) era compagno e amico del bandito siciliano Salvatore Giuliano e considerato il vice di Giuliano nella banda omonima. È noto per essere stato uno dei partecipanti alla strage di Portella della Ginestra del 1º maggio 1947. È considerato il responsabile dell'uccisione del bandito Salvatore Giuliano.

Pisciotta a destra con un giovane Salvatore Giuliano


Origini 
Gaspare Pisciotta nacque a Montelepre nella Sicilia occidentale nel 1924. Contrariamente a quanto è largamente ritenuto, lui e Salvatore Giuliano non erano cugini ma si conobbero da bambini e diventarono amici da ragazzi. Mentre Giuliano rimase a Montelepre durante la guerra, Pisciotta si arruolò nell'esercito e fu catturato mentre combatteva contro i tedeschi. Fu rilasciato nel 1945, malato di tubercolosi, e ritornò in Sicilia dove si unì alla campagna separatista di Giuliano, diventando uno dei membri fondatori della banda.





Arresto
Poco dopo la morte di Salvatore Giuliano, avvenuta il 5 luglio 1950, Pisciotta fu catturato e incarcerato. In carcere fece la sorprendente rivelazione che fu lui ad uccidere Giuliano nel sonno, un'affermazione che contraddiceva la versione delle forze dell'ordine che Giuliano fosse stato ucciso dal capitano dei Carabinieri Antonio Perenze in uno scontro a fuoco a Castelvetrano. Sosteneva di aver ucciso Salvatore Giuliano dietro istruzioni del Ministro dell'Interno Mario Scelba e di aver raggiunto un accordo con il colonnello Luca, comandante delle forze anti-banditismo in Sicilia, di collaborare, a condizione che non fosse condannato e che Luca sarebbe intervenuto in suo favore qualora fosse stato arrestato.
Al processo per il massacro di Portella della Ginestra, Pisciotta dichiarò: "Coloro che ci avevano fatto le promesse si chiamavano così: il deputato DC Bernardo Mattarella, il principe Alliata, l'onorevole monarchico Marchesano e anche il signor Scelba… Furono Marchesano, il principe Alliata, l'onorevole Mattarella a ordinare la strage di Portella della Ginestra… Prima del massacro incontrarono Giuliano…". Ciononostante Mattarella, Alliata e Marchesano, in un processo sul loro supposto ruolo nell'evento, furono dichiarati innocenti dalla Corte di Appello di Palermo. Durante il processo Pisciotta non poté confermare le accuse presenti nella documentazione di Giuliano nella quale questi nominava il Governo Italiano, gli alti ufficiali dei Carabinieri e i mafiosi coinvolti nella sua banda. E ancora: “Servimmo con lealtà e disinteresse i separatisti, i monarchici, i democristiani e tutti gli appartenenti a tali partiti che sono a Roma con alte cariche, mentre noi siamo stati scaricati in carcere. Banditi, mafiosi e carabinieri eravamo la stessa cosa”.


Principe Alliata di Montereale
Bernardo Mattarella
Mario Scelba 1947

Fu condannato all'ergastolo e ai lavori forzati; gran parte degli altri 70 banditi incontrarono la stessa sorte. Altri erano in libertà, ma uno per uno scomparirono tutti. Quando Pisciotta si accorse di essere stato abbandonato da tutti e fu condannato, dichiarò che avrebbe raccontato tutta la verità, in particolare su chi firmò la lettera che fu recapitata a Giuliano il 27 aprile 1947, che commissionava il massacro di Portella della Ginestra in cambio della libertà per tutti i membri della banda, e che Giuliano distrusse immediatamente.
La madre di Salvatore Giuliano sospettò Pisciotta come un potenziale traditore del figlio prima che lo stesso fosse assassinato, benché Giuliano le avesse scritto: "...noi ci rispettiamo come fratelli...". Se la testimonianza di Pisciotta fu vera, Giuliano non sospettò nulla fino alla sua morte.

Prigionia e morte 
In prigione, Pisciotta capì che la sua vita era in pericolo. Venne scritto che egli disse: “Uno di questi giorni, mi uccideranno” tanto che rifiutò di dividere la cella con qualcuno prima della sentenza del processo. Secondo alcuni, Gaspare aveva un piccolo passero al quale faceva mangiare il cibo prima di mangiarlo a sua volta, per paura di essere avvelenato, e non mangiava il cibo del carcere ma soltanto quello preparato da sua madre e che gli veniva recapitato in cella. In ogni caso la mattina del 9 febbraio 1954, Gaspare prese un preparato vitaminico che egli stesso sciolse nel caffè. Quasi immediatamente venne colpito da lancinanti dolori addominali e, nonostante fosse stato portato immediatamente all'infermeria della prigione, morì nel giro di quaranta minuti. La causa del decesso, secondo gli esiti dell'autopsia, fu dovuta all'ingestione di 20 mg di stricnina.
Sia il Governo italiano che la mafia furono indicati come i mandanti dell'uccisione di Pisciotta, ma nessuno venne processato per la sua morte. La madre di Gaspare, Rosalia, scrisse una lettera aperta alla stampa il 18 marzo di quell'anno denunciando il possibile coinvolgimento di politici corrotti e della mafia nell'uccisione del figlio, dicendo: “Sì, è vero che mio figlio Gaspare non potrà più parlare e molta gente è convinta di essere al sicuro; ma chissà, forse qualche altra cosa può venir fuori”. Gaspare Pisciotta si suppone abbia potuto scrivere una autobiografia in carcere, alla quale la madre probabilmente si riferiva e che il fratello Pietro provò a far pubblicare. Questo documento andò però smarrito ed il suo contenuto rimase sempre un segreto.

Portella della Ginestra una tesi recente
Una recente tesi più grave attribuisce, invece, la strage ad una coincidenza di interessi tra i post-fascisti, che durante la guerra avevano combattuto nella Xª Flottiglia MAS di Junio Valerio Borghese, i servizi segreti USA (preoccupati dell'avanzata social-comunista in Italia), ed i latifondisti siciliani.
« I rapporti desecretati dell' OSS e del CIC (i servizi segreti statunitensi della Seconda guerra mondiale), che provano l'esistenza di un patto scellerato in Sicilia tra la cosiddetta “banda Giuliano” e elementi già nel fascismo di Salò (in primis, la Decima Mas di Junio Valerio Borghese e la rete eversiva del principe Pignatelli nel meridione) sono il risultato di una ricerca promossa e realizzata negli ultimi anni da Nicola Tranfaglia(Università di Torino), dal ricercatore indipendente Mario J. Cereghino e da chi scrive. »
(da Edscuola, Dossier a cura del prof. Giuseppe Casarrubea)






sabato 2 marzo 2013

JUNIO VALERIO BORGHESE







Junio Valerio Scipione Ghezzo Marcantonio Maria dei principi Borghese


noto semplicemente come Junio Valerio Borghese (Roma, 6 giugno 1906 – Cadice, 26 agosto 1974) è stato un militare e politico italiano, membro della nobile famiglia Borghese. Ufficiale della Regia Marina, durante la seconda guerra mondiale, avendo iniziato la carriera militare giovanissimo all'Accademia Navale di Livorno, specialista dei sommergibilisti, entrò a far parte della Xª Flottiglia MAS di cui divenne poi comandante e divenne noto per alcune audaci imprese nel Mediterraneo. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 proseguì la guerra combattendo al fianco dei tedeschi contro l'esercito anglo-americano sempre al comando del troncone della Xª Flottiglia MAS rimasto al nord. Aderì alla Repubblica Sociale Italiana svolgendo altresì la funzione di sottocapo di Stato Maggiore della Marina Nazionale Repubblicana. Nel dopoguerra si fece promotore del fallito "Golpe Borghese".

L'inizio della carriera militare

« Sembrava un leader nato, un condottiero, un capitano di ventura, come nella tradizione delle antiche repubbliche. » (Ammiraglio Franco Maugeri)
Attratto dalla vita militare, nel 1922 venne ammesso ai corsi della Regia Accademia Navale, dalla quale uscì nel 1928 con il grado di guardiamarina;  fu solo nel 1935 che ricevette il primo incarico di sommergibilista, partecipando alla guerra d'Etiopia, dapprima imbarcato a bordo del sommergibile Tricheco e successivamente del Finzi.

La guerra civile spagnola e la seconda guerra mondiale

Nel 1937 assunse, infine, il primo comando: con il sommergibile "Iride" prese parte alla guerra civile spagnola.
In seguito il sommergibile "Iride" fu incorporato ufficialmente della flotta nazionalista spagnola e il suo nome venne cambiato da Iride in Gonzalez Lopez e poi L.3.
In seguito all'esperienza della guerra civile spagnola venne decorato l'8 aprile 1939 della medaglia di bronzo al Valor militare.
Trasferito successivamente presso la base di Lero, nel Dodecaneso, vi rimase fino all'entrata in guerra dell'Italia, il 10 giugno 1940 dove era comandante del sommergibile Vettor Pisani e prese parte alla battaglia di Punta Stilo del 9 luglio. Ma il "Vettor Pisani" si dimostrò estremamente obsoleto e non fu più utilizzato in azioni belliche. Nell'agosto fu inviato a Memel, allora territorio tedesco, ad un corso per sommergibilisti atlantici dove si addestrò a bordo di un U-Boot. Qui, probabilmente conobbe l'ammiraglio tedesco Karl Dönitz.






Comandante dello Sciré

Promosso capitano di corvetta, nel 1940 fu designato al reparto incursori della 1ª Flottiglia MAS, dove divenne comandante del sommergibile Scirè.
Dopo gli insuccessi iniziali il comando dell'intero reparto incursori fu affidato al capitano di fregata Vittorio Moccagatta e il 15 marzo 1941 fu costituita la Xª Flottiglia MAS dotata di un comando centrale e da due reparti d'assalto, uno costituito dai mezzi di superficie affidato a Giorgio Giobbe e l'altro affidato a Borghese costituito dai mezzi subacquei: anche con il suo contributo furono pianificati e realizzati tutti i progetti per il forzamento della rada di Gibilterra, di Alessandria d'Egitto e il non realizzato forzamento del porto di New York.




Il progetto d’attacco a New York

Dopo il successo dell'Impresa di Alessandria Borghese dovette lasciare il comando del sommergibile "Scirè" per potersi dedicare completamente al reparto subacqueo della Xª. Nel 1942 viaggiò in Europa per raccogliere informazioni che potessero aiutare a compiere altre azioni belliche. A Parigi incontrò Karl Doenitz con il quale intendeva pianificare delle operazioni. In seguito incontrò anche gli uomini della X MAS ad Algeciras. Nell'estate ritornò a Parigi dove ebbe un nuovo colloquio con Doenitz ma non ottenne risultati, pertanto decise che eventuali azioni sarebbero portate a termine solo da mezzi italiani. Iniziò a prendere in considerazione l'idea di un attacco contro New York, non tanto per un possibile successo militare quanto per una vittoria morale.
Fu scelto il sommergibile atlantico "Leonardo da Vinci") della base BETASOM di Bordeaux come mezzo avvicinatore. Il sommergibile avrebbe dovuto trasportare fino alla foce dell’Hudson un piccolo sommergibile tascabile tipo CA (fu inviato via treno a Bordeaux, per l’operazione, il CA 2) in un apposito “pozzo” ricavato al posto del cannone prodiero. 
La missione fu rinviata in seguito alla perdita del Da Vinci il 23 maggio 1943 e poi annullata a seguito dell'armistizio di due mesi dopo. (cui sarebbero dovute seguire analoghe incursioni contro Città del Capo e Freetown).

Comandante della Xª MAS

Il 1º maggio 1943 Borghese fu promosso capitano di fregata e assunse il comando della Xª Flottiglia MAS. Uno dei primi incarichi che impartì fu quello di inviare il tenente di vascello Luigi Ferraro in missione ad Alessandretta dove, nei mesi di giugno e luglio, ottenne risultati incredibili riuscendo da solo ad affondare tre navi Alleate.
La caduta di Mussolini il 25 luglio 1943 fermò buona parte delle operazioni.

La Repubblica Sociale Italiana

Il periodo di Salò
« In ogni guerra, la questione di fondo non è tanto di vincere o di perdere, di vivere o di morire; ma di come si vince, di come si perde, di come si vive, di come si muore. Una guerra si può perdere, ma con dignità e lealtà. La resa ed il tradimento bollano per secoli un popolo davanti al mondo. » (Junio Valerio Borghese)
Dopo la nascita della Repubblica Sociale Italiana, l'ammiraglio Antonio Legnani, nuovo sottosegretario alla Marina, inserì la Decima Mas nell'organico della Marina Nazionale Repubblicana, sebbene essa agisse di fatto in maniera del tutto autonoma. Contrasti invece nacquero nel novembre 1943 con il capitano di vascello Ferruccio Ferrini successore di Legnani nel frattempo deceduto in un incidente automobilistico. I contrasti con i vertici politici e militare della Repubblica Sociale (contrasti che condussero al suo arresto con l'accusa di essere a capo di una congiura tesa a rovesciare Mussolini), le sue forze furono impegnate su tutti i fronti più importanti, a partire da quello di Anzio e Nettuno.





I militari della Decima furono tutti volontari), provenienti dalle più diverse armi delle Forze Armate Repubblicane.
L'attività della Xª MAS non si limitò alle incursioni navali contro le forze nemiche, ma si estese alla costituzione di reparti di terra che assunsero al termine del conflitto le dimensioni di una vera e propria divisione di fanteria leggera. Negli ultimi mesi del 1944 le azioni di alcuni gruppi degli appartenenti al corpo crearono preoccupazione anche nelle stesse autorità dell'RSI: il prefetto di Milano, Mario Bassi, si lamentò con il Duce per i "furti, rapine, provocazioni gravi, fermi, perquisizioni, contegni scorretti in pubblico" commessi da appartenenti alla Decima, evidenziando come questi causassero preoccupazione nella popolazione, anche per l'apparente impunità che li caratterizzava, chiedendo che la formazione venisse allontanata dalla città.





Junio Valerio Borghese passa in rassegna


La smobilitazione della Xª Mas e il salvataggio di Borghese

Piazzale Fiume Milano 26 aprile 1945, Borghese ordina l'ammainabandiera e smobilita la Xª MAS
Il 25 aprile 1945 la Xª MAS con Borghese rimase acquartierata nella caserma di piazzale Fiume in Milano. Si svolsero nel frattempo febbrili trattative tra il capitano Gennaro Riccio, comandante del "Distaccamento Milano" della Xª MAS e un maggiore in rappresentanza del generale Raffaele Cadorna presentatosi come "Mario Angleton". In base agli accordi, poi sottoscritti anche da Cadorna, si organizzò il trapasso con la nuova autorità cittadina rappresentata dal Corpo Volontari della Libertà.

26 aprile Borghese ordina l'ammainabandiera

La cerimonia in piazzale Fiume si concluse il 26 aprile 1945 alle 17.00 con lo scioglimento formale della Xª MAS a Milano. Borghese consegnò a tutti i marò cinque mesi di stipendio e, quando tutti ebbero lasciato la caserma, fu preso in consegna dalla polizia partigiana. Il 9 maggio fu contattato da un agente dei Servizi segreti italiani Carlo Resio e dall'agente dell'OSS James Angleton che lo informarono che l'ammiraglio Raffaele de Courten intendeva incontrarlo a Roma. In seguito, l'11 maggio, con l'aiuto dei servizi segreti americani, scortato da Resio e Angleton, fu trasferito a Roma, dove trascorse un breve periodo prima di essere ufficialmente arrestato dalle autorità americane il 19 maggio per essere trasferito nel campo di concentramento di Cinecittà. Secondo Renzo De Felice: "Gli americani erano interessati alla Xª Mas perché pensavano di utilizzare i suoi famosi maiali per la guerra contro i giapponesi. Gli inglesi fecero di più: una nave (ma forse le navi furono due) che, a operazioni belliche finite, trasportava dalla Iugoslavia armi per gli ebrei in Palestina, fu fatta saltare dai maiali della Xª".


Il processo

Rilasciato in ottobre, venne nuovamente arrestato dalle autorità italiane e trasferito da un luogo di detenzione all'altro, in attesa dell'inizio del processo. Grazie alla protezione accordatagli dai Servizi segreti statunitensi, con i quali era già in contatto da diversi mesi prima della fine della guerra, Borghese ottenne di essere giudicato di fronte ad una Corte d'Assise a lui tutt'altro che sfavorevole, pertanto la Corte di Cassazione dispose il trasferimento del processo alla corte di Roma, presieduta dal dottor Caccavale, ex vicepresidente dell'"Unione fascista per le famiglie numerose" ed amico del principe Gian Giacomo Borghese, ex gerarca fascista ed ex governatore fascista di Roma, parente stretto dell'imputato.
La Corte di Assise lo prosciolse già in istruttoria dall'accusa di crimini di guerra mentre il 17 febbraio 1949 lo ritenne colpevole di collaborazionismo con i tedeschi e fu condannato a due ergastoli per aver fatto eseguire ai suoi uomini «continue e feroci azioni di rastrellamento» ai danni dei partigiani che, di solito, si concludevano con «la cattura, le sevizie particolarmente efferate, la deportazione e l'uccisione degli arrestati», allo scopo di rendere tranquille le retrovie dell'esercito invasore, e per la fucilazione di otto partigiani a Valmozzola. A Valmozzola il 12 marzo 1944 un treno fu assaltato dai partigiani, furono uccisi due ufficiali del battaglione Lupo della Xª Flottiglia MAS Gastone Carlotti e Domenico Pieropan che si stavano recando in licenza e prelevati altri sei militari di cui due carabinier] che furono fucilati poco dopo. L'azione causò un imponente rastrellamento che portò all'arresto di nove partigiani che ad eccezione di uno furono fucilati per rappresaglia il 17.
Il dispositivo della sentenza, tuttavia, ridusse gli ergastoli a 12 anni di reclusione, dei quali 9 furono immediatamente condonati in virtù dei gesti di valore compiuti da Borghese - decorato di medaglia d'oro e croce di cavaliere dell'Ordine militare di Savoia - durante il servizio con la Regia Marina, per l'attività svolta alla salvaguardia delle industrie del Nord dalle distruzioni minacciate dai tedeschi e per la volontà di difesa della Venezia Giulia, nonché per l'opera assistenziale compiuta presso i campi di deportazione tedeschi. Tenendo inoltre conto dell'amnistia emanata da Palmiro Togliatti, la Corte dispose l'immediata scarcerazione del condannato, che aveva già scontato per intero, in regime di carcerazione preventiva, la pena residua.

Il dopoguerra e il tentato "Golpe Borghese"

Nel dopoguerra Borghese aderì al Movimento Sociale Italiano, di cui fu nominato presidente onorario nel 1951; inizialmente appoggiò Almirante, poi abbandonò il partito, che giudicava troppo debole, si avvicinò alla destra extraparlamentare e nel settembre 1968 fondò il Fronte Nazionale, allo scopo - secondo i servizi segreti - "di sovvertire le istituzioni dello Stato con disegni eversivi".
Nel dopoguerra Borghese costituì gruppi clandestini armati, in stretto collegamento con Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, due organizzazioni di estrema destra. Intanto nel 1963 la moglie, la principessa Daria Olsoufiev, era morta in un incidente stradale e Borghese aveva ottenuto l'incarico puramente onorario di presidente del Banco di Credito Commerciale e Industriale, che fu in seguito acquisito da Michele Sindona.
Nella notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970 promosse un colpo di stato, avviato e poi interrotto, con la collaborazione di altri dirigenti del Fronte Nazionale, paramilitari appartenenti a formazioni dell'estrema destra e di numerosi alti ufficiali delle forze armate e funzionari ministeriali.
« Italiani, l'auspicata svolta politica, il lungamente atteso colpo di stato ha avuto luogo. La formula politica che per un venticinquennio ci ha governato, e ha portato l'Italia sull'orlo dello sfacelo economico e morale ha cessato di esistere. Nelle prossime ore, con successivi bollettini, si saranno indicati i provvedimenti più importanti ed idonei a fronteggiare gli attuali squilibri della Nazione. Le forze armate, le forze dell'ordine, gli uomini più competenti e rappresentativi della nazione sono con noi; mentre, d'altro canto, possiamo assicurarvi che gli avversari più pericolosi, quelli che per intendersi, volevano asservire la patria allo straniero, sono stati resi inoffensivi. Italiani, lo stato che creeremo sarà un'Italia senza aggettivi né colori politici. Essa avrà una sola bandiera. Il nostro glorioso tricolore. Soldati di terra, di mare e dell'aria, Forze dell'Ordine, a voi affidiamo la difesa della Patria e il ristabilimento dell'ordine interno. Non saranno promulgate leggi speciali né verranno istituiti tribunali speciali, vi chiediamo solo di far rispettare le leggi vigenti. Da questo momento nessuno potrà impunemente deridervi, offendervi, ferirvi nello spirito e nel corpo, uccidervi. Nel riconsegnare nelle vostre mani il glorioso tricolore, vi invitiamo a gridare il nostro prorompente inno d'amore: Italia, Italia, Viva Italia! »
(Con queste parole - peraltro mai pronunziate - Junio Valerio Borghese avrebbe dovuto proclamare il buon esito del Golpe)
Le circostanze del fallimento di quello che è rimasto noto come il "Golpe Borghese" (o "Golpe dei Forestali") sono tuttora oscure e controverse. Fu Borghese in persona a impartire il contrordine, ma si rifiutò di spiegarne le ragioni persino ai suoi più fidati collaboratori. Il magistrato Claudio Vitalone ha ipotizzato che l'intervento armato sarebbe servito unicamente come premessa a una svolta autoritaria. In seguito alla desecretazione di documenti statunitensi, è stato reso noto che quantomeno i servizi segreti USA erano a conoscenza del Golpe.


Buscetta: "Nel ' 70, mi incontrai con Salvatore Greco per un colpo di Stato in Sicilia. Da quel momento, dopo aver parlato, io e Greco andammo via. Liggio decise... di creare un clima di tensione nel mondo politico, per preparare il colpo politico. Ognuno decise quale fosse il politico da colpire. A Palermo fu colpito un fascista. L' obiettivo di Liggio fu il procuratore Scaglione. Perche' in quel momento Scaglione era interessato alle rivelazioni di una donna che aveva accusato Vincenzo Riina. Ma non e' vero che Scaglione era vicino agli uomini d' onore. La verita' e' che bisognava minare le basi dello Stato... Ci chiamo' Pippo Calderone per farci sapere che si stava preparando un colpo di Stato e che Borghese voleva utilizzare i mafiosi in Sicilia. Chi sapeva tutto era il colonnello Russo, faceva parte del colpo. Era incaricato di arrestare il prefetto di Palermo. Chi parlo' del golpe Borghese a Cosa Nostra sono i massonici. Abbiamo deciso di chiedere garanzie, perche' Borghese voleva l' elenco di tutti i mafiosi in Sicilia. Si mandarono Calderone e Di Cristina a Roma per incontrare Borghese. Ottennero di non consegnare i nomi e di far aggiustare i processi di Rimi e Liggio".
In seguito al fallimento del golpe, Borghese si rifugiò in Spagna dove, non fidandosi della giustizia italiana che nel 1973 revocò l'ordine di cattura, rimase fino alla morte, avvenuta in circostanze sospette a Cadice, il 26 agosto 1974. Lo stesso anno Borghese era stato in Cile con Stefano Delle Chiaie, per incontrare il generale Augusto Pinochet e il capo della polizia segreta cilena, Jorge Carrasco. È sepolto nella cappella di famiglia, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, a Roma.




Eredità del fascismo e legittimazione atlantica: l’anticomunismo antidemocratico

di Nicola Tranfaglia (*)

Ci sono due elementi fondamentali che hanno caratterizzato la storia dell’Italia repubblicana e di cui bisogna tener conto quando si vuole affrontare un tema importante come quello dell’anticomunismo. La collocazione geopolitica dell’Italia, paese di frontiera nella Guerra Fredda al confine fra il blocco occidentale e quello orientale, vicinissimo a una Jugoslavia che nell’immediato dopoguerra non è ancora nella posizione che avrà dopo, ma che è l’avamposto del blocco orientale; e l’attenzione con cui nello stesso tempo gli Stati Uniti guardano all’Italia perché, come era accaduto in precedenza, essa poteva rappresentare il punto debole dello schieramento occidentale.
Questo è un primo punto caratterizzante molto importante.
Se si leggono, come è capitato a chi scrive, i documenti americani e italiani che riguardano il periodo che va dal 1943 al 1947, cioè quelli relativi alla sconfitta dell’Italia, alla guerra che arriva sul territorio nazionale, alla Liberazione, e al travaglio per la fondazione della Repubblica e per la costituzione dei primi governi, ci si avvede con chiarezza come i servizi segreti americani abbiano avuto una particolare attenzione per il nostro paese, e come essi non si siano limitati a seguire in modo molto attento quello che succedeva, ma abbiano cercato di influenzarlo, interagendo con altri poteri, presenti nello sbarco in Sicilia e nella liberazione del paese.
Si può così misurare la forza della mafia e verificare come la leggenda della sua sconfitta grazie al fascismo e all’opera del prefetto Mori crolli di fronte al ruolo che la mafia ha avuto nello sbarco anglo-americano in Sicilia, nell’insediamento dei sindaci delle varie città siciliane e nella riorganizzazione della vita politica.
Nello stesso tempo si può documentare il ruolo molto attivo svolto in quegli anni dal Vaticano, anche grazie a un personaggio di grande importanza nella storia della Chiesa italiana quale sarà Giovanni Battista Montini, che in quel momento è il sostituto della Segreteria di Stato ed è delegato dal papa Pio XII a tenere i rapporti con i servizi segreti americani.
E poi si scopre che il capo dei servizi segreti americani in Sicilia è James Jesus Simon Angleton, destinato a divenire uno dei più importanti dirigenti della CIA nel secondo dopoguerra.
Questo personaggio stabilì uno dei patti fondamentali legati alla nascita della nostra democrazia. Fu Angleton infatti a salvare sul Lago di Garda Junio Valerio Borghese, a portarlo a Milano e a nasconderlo a casa di un partigiano, attraverso l’intercessione di uno degli esponenti principali del Partito d’Azione; quindi a condurre Borghese, travestito da ufficiale, a Roma e a premere affinché il suo processo si concludesse con una lieve condanna. Come puntualmente avvenne. In seguito fu sempre Angleton a reclutare dieci ufficiali della Decima Mas nei servizi segreti americani per le azioni anticomuniste.
Ricordo queste cose perché ci permettono di capire con quanta attenzione la situazione italiana fosse seguita dagli Stati Uniti, in quel momento già impegnati nella lotta con l’altra grande potenza uscita dalla Seconda guerra mondiale, cioè l’Unione Sovietica.

Portella della Ginestra una tesi recente

Una recente tesi più grave attribuisce, invece, la strage ad una coincidenza di interessi tra i post-fascisti, che durante la guerra avevano combattuto nella Xª Flottiglia MAS di Junio Valerio Borghese, i servizi segreti USA (preoccupati dell'avanzata social-comunista in Italia), ed i latifondisti siciliani.
« I rapporti desecretati dell' OSS e del CIC (i servizi segreti statunitensi della Seconda guerra mondiale), che provano l'esistenza di un patto scellerato in Sicilia tra la cosiddetta “banda Giuliano” e elementi già nel fascismo di Salò (in primis, la Decima Mas di Junio Valerio Borghese e la rete eversiva del principe Pignatelli nel meridione) sono il risultato di una ricerca promossa e realizzata negli ultimi anni da Nicola Tranfaglia(Università di Torino), dal ricercatore indipendente Mario J. Cereghino e da chi scrive. »
(da Edscuola, Dossier a cura del prof. Giuseppe Casarrubea)

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