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mercoledì 16 dicembre 2015

ANGLETON




James Jesus Angleton 

detto the Kingfisher (9 dicembre 1917 – 12 maggio 1987) è stato un agente segreto statunitense. È stato a lungo il capo del controspionaggio della CIA. Se il Generale William Joseph Donovan può essere definito il padre della CIA, dal suo canto Angleton è considerato la "madre" della intelligence statunitense.

Pur essendo uno dei più importanti cacciatori di spie della Guerra Fredda, Angleton non riuscì a smascherare la più famosa talpa sovietica del tempo, il britannico Kim Philby, che peraltro era suo amico. Amante della poesia, ed in particolare di Ezra Pound e Thomas Eliot, Angleton coltivò anche altri hobby quali la pesca, la gemmologia e la coltivazione di orchidee. Servì sotto importanti direttori della CIA quali Allen Dulles e Richard Helms.

Nato nell'Idaho da James Hugh Angleton, ufficiale di cavalleria, e da Mercedes, messicana, si trasferì con la famiglia negli anni Trenta in Italia, dove il padre diresse la filiale dell'azienda americana NCR. Questa esperienza gli permise di imparare l'italiano e di interessarsi quindi in seguito alle vicende del Paese. Dopo aver completato gli studi tra Malvern, Yale ed Harvard fu subito arruolato nell'Office of Strategic Services (OSS). Durante il primo periodo della guerra, dal 1941 al 1943, servì a Londra presso il Secret Intelligence Service britannico, al controspionaggio ed al servizio decrittazione. In particolare ebbe un ruolo attivo nella battaglia dell'Atlantico contro l'arma subacquea del Reich.

In Italia

Dal 1943 è in Italia come agente operativo ed al termine del conflitto diviene capo del controspionaggio a Roma, avvalendosi di numerose risorse già del Servizio Informazioni Militare. Nel maggio 1945 si occupò in particolare del salvataggio del principe Junio Valerio Borghese, ex comandante della Flottiglia MAS, che dopo un primo incontro rimasto infruttuoso l'8 maggio,acconsentì infine a farsi trasferire da Milano a Roma l'11 dello stesso mese.
Prima della nascita della CIA, nel 1947, Angleton fa ritorno a Washington, dove lascia la carriera militare con il grado di Maggiore. Torna a Roma alla fine degli anni Quaranta ricoprendo il ruolo di capostazione CIA. Le sue varie esperienze in Italia servono a forgiare il sistema di sicurezza ed intelligence statunitense in Italia. Secondo fonti americane, Angleton ebbe un importante ruolo nel trasferire esperti e conoscenze del programma atomico italiano negli Stati Uniti, nello stabilire una duratura alleanza con la Mafia siciliana, avvalendosi dei contatti italo-americani, nel riammettere nel sistema di sicurezza e controspionaggio italiano elementi del passato regime al fine di evitare la vittoria delle sinistre
All'inizio degli anni Cinquanta, Angleton torna a Washington per gestire le relazioni con i servizi dei paesi occidentali. In questo modo prende il controllo su tutte le informazioni prodotte dai pochi servizi che sono riusciti ad infiltrare l'URSS: inglesi, italiani, israeliani e specialmente tedeschi Organizzazione Gehlen. Nel 1954 diventa capo del controspionaggio interno e si occupa a pieno regime della caccia alle spie sovietiche nell'ambito della ricerca atomica statunitense. Con questo incarico individua due talpe di basso livello di Mosca, il diplomatico britannico Donald Maclean e l'agente della NSA Jack Dunlap, mentre si lascia sfuggire tutte le altre. Negli anni Sessanta si occupa della controversa defezione di due ufficiali del KGB, Anatoliy Golitsin e Yuri Nosenko che passeranno il tempo ad accusarsi di essere falsi pentiti dando due opposte versioni sul coinvolgimento sovietico nell'uccisione di John Kennedy. Dal 1963 è il responsabile dell'attuazione dell' "Operazione CHAOS" (un'operazione "False flag") preposta alla sconfitta del comunismo ma che violava le leggi USA. Col passare degli anni controlla sempre più uffici, mettendo il naso in ogni attività della CIA senza mai apparire come il responsabile quando avviene l'inevitabile fallimento. Restano fuori dal suo controllo le attività clandestine in Vietnam cioè l'operazione Phoenix, il cui successo proietta ai vertici della compagnia il responsabile William Colby. Fin dagli anni '60 insinua che numerosi leader occidentali siano agenti del KGB. Le accuse più famose riguardarono il britannico Harold Wilson, lo svedese Olof Palme, i canadesi Lester Pearson e Pierre Trudeau e il tedesco Willy Brandt. Ad un certo punto sospetta anche il Segretario di Stato Henry Kissinger. Questo stato di cose genera il caos nell'agenzia, paralizzandone le attività. Quando Angleton accusa anche dei collaboratori del Presidente Gerald Ford, il Direttore della CIA William Colby ha il via libera per pensionare su due piedi l'onnipotente collega con molti suoi collaboratori. Ci vorranno anni per riorganizzare la compagnia, ricostruire la sezione URSS e per trovare le vere talpe. Angleton muore nel 1987.


Alla figura di Angleton è liberamente ispirato il personaggio principale del film The Good Shepherd.



Negli anni '80 il giornalista investigativo americano David C. Martin ha sospettato, portando molti indizi, che Angleton sia stato in realtà un filo-comunista dai tempi della sua amicizia con Philby. Senza mai contattare i russi che non lo avrebbero nemmeno sospettato, avrebbe agito da solo per distruggere la CIA dall'interno con operazioni sempre più complesse, paranoiche ed inefficienti che generavano il caos nella CIA: richiesta di arruolare ex-nazisti, tentativi di avere rapporti esclusivi con Italia, Germania ed Israele, lettura di tutta la corrispondenza americana coll'estero, intercettazione di tutte le telefonate di Berlino est, caccia a continue spie introvabili senza mai trovare quelle vere (identificate tutte da altri uffici).





venerdì 13 marzo 2015

MAURO DE MAURO




« De Mauro ha detto la cosa giusta all'uomo sbagliato, e la cosa sbagliata all'uomo giusto. »
 (Leonardo Sciascia)


Mauro De Mauro 

nasce a Foggia nel1921, figlio di un chimico e di un'insegnante di matematica, fu sostenitore del fascismo ed allo scoppio della seconda guerra mondiale s'arruolò volontario. Militò nella Xª Flottiglia MAS di Junio Valerio Borghese; dopo l'8 settembre 1943, aderì alla Repubblica Sociale Italiana. Restò legato al principe anche dopo la guerra ed in suo onore chiamò la seconda figlia Junia.
In seguito ad un incidente stradale mentre guidava una motocicletta riportò lesioni con esiti permanenti in termini di menomazioni fisiche (aveva il naso ricucito ed era claudicante). Sull'origine di queste menomazioni fisiche circolarono però anche altre versioni: secondo alcune sarebbero state causate da un violento pestaggio subito da un gruppo di partigiani, secondo altre a malmenarlo sarebbero stati addirittura alcuni commilitoni fascisti a causa di un presunto tradimento.
Nell'estate del 1945 fu arrestato a Milano dagli Alleati e rinchiuso prima a Ghedi poi nel Campo di concentramento di Coltano, dal quale riuscì a fuggire nel settembre successivo.


Il dopoguerra

Trasferitosi a Palermo con la famiglia (suo fratello minore Tullio De Mauro, linguista e in seguito Ministro della Pubblica Istruzione) dopo la seconda guerra mondiale, lavorò presso giornali come Il Tempo di Sicilia, Il Mattino di Sicilia e poi a L'Ora, rivelandosi un ottimo cronista. Nel 1962 aveva seguito la morte del presidente dell'Eni Enrico Mattei e nel settembre del 1970 si stava nuovamente occupando del caso, in seguito all'incarico ricevuto dal regista Francesco Rosi per il suo film Il caso Mattei, che sarebbe in seguito uscito nel 1972.
De Mauro aveva pubblicato, sempre su L'Ora, il 23 ed il 24 gennaio 1962 il verbale di polizia, risalente al 1937 e caduto nel dimenticatoio, in cui il medico siciliano Melchiorre Allegra, tenente colonnello medico del Regio Esercito durante la prima guerra mondiale, affiliato alla mafia nel 1916 e pentito mafioso dal 1933, elencava tutta la struttura del vertice mafioso, gli aderenti, le regole, l'affiliazione, l'organigramma della società malavitosa. Tommaso Buscetta, davanti ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, quindici anni dopo la morte del giornalista, ebbe ad affermare che: "... De Mauro era un cadavere che camminava. Cosa Nostra era stata costretta a 'perdonare' il giornalista perché la sua morte avrebbe destato troppi sospetti, ma alla prima occasione utile avrebbe pagato anche per quello scoop. La sentenza di morte era solo stata temporaneamente sospesa".



Il rapimento

Il giornalista da qualche mese era stato trasferito dalla redazione "Cronaca" a quella dello "Sport" de L'Ora, quando venne rapito la sera del 16 settembre del 1970, mentre rientrava nella sua abitazione di Palermo. Il rapimento avvenne un paio di giorni prima della celebrazione delle nozze della figlia Franca. De Mauro fu visto l'ultima volta dalla figlia Franca mentre posteggiava la macchina davanti la sua abitazione di via delle Magnolie.


La figlia, nell'attesa che il padre raccogliesse le sue vettovaglie dal sedile della macchina, entrò nell'androne per chiamare l'ascensore, vedendo però che il padre non la raggiungeva uscì nuovamente dal portone e vide suo padre, circondato da due o tre persone, risalire in macchina e ripartire senza voltarsi per salutarla. Ella riuscì a cogliere soltanto la parola «amunì» detta da qualcuno a suo padre poco prima di mettere in moto e ripartire senza lasciare traccia.
La sera successiva l'auto venne ritrovata a qualche chilometro di distanza in via Pietro D'Asaro, con a bordo piccole vettovaglie che il giornalista aveva acquistato rincasando. L'auto fu ispezionata con cura, il cofano fu aperto dagli artificieri, ma non furono reperiti elementi utili al rintraccio. Furono allestiti posti di blocco e si disposero minuziose ricerche, ma dello scomparso non si seppe più nulla.


Le indagini e le piste

Dopo il sequestro, un commercialista di Palermo, Antonino Buttafuoco, entrò nella vicenda con un ruolo che non è mai stato pienamente chiarito, ma che comunque limpido non è mai parso, e per questa sua intromissione nel caso il professionista è stato al centro di indagini e procedimenti. Conosceva direttamente De Mauro e dopo la sua sparizione ne contattò la famiglia e per circa un paio di settimane chiese ai familiari ciò che sapevano in merito alla scomparsa del loro congiunto. Dopo circa una ventina di giorni fu destinatario di un ordine di cattura che fu commentato dal pubblico ministero che l'aveva emesso con le parole «in questa vicenda c'è dentro fino al collo»; dopo un paio di mesi però il commercialista sarebbe stato scarcerato per mancanza di indizi.
All'arresto si era giunti a causa di indizi che volevano il Buttafuoco legato da un rapporto d'amicizia all'avvocato Vito Guarrasi (già in rapporti con Enrico Mattei e non solo), di cui si è ipotizzato un ruolo di "gestione" del caso De Mauro malgrado, secondo il pentito Gaetano Grado fosse «amico di De Mauro e Mauro De Mauro si confidava con lui». Buttafuoco inoltre era strettamente legato al boss mafioso Luciano Leggio e gli fu anche attribuita la paternità di un nastro registrato che fu fatto pervenire al giornale L'Ora, nel quale si affermava che De Mauro era vivo.
Le indagini sulla sparizione del giornalista furono seguite sia dai carabinieri, secondo i quali sarebbe stato eliminato da Cosa Nostra in seguito ad indagini sul traffico di stupefacenti, sia dalla polizia, che ritenne piuttosto che la sua sparizione fosse collegata alle sue ricerche sul caso Mattei (l'aereo caduto era decollato da Catania il 27 ottobre 1962), anche in seguito, il giorno stesso del suo rapimento, alla sparizione dal cassetto del suo ufficio di alcune pagine di appunti e di un nastro registrato con l'ultimo discorso tenuto da Mattei a Gagliano Castelferrato. Principale investigatore per l'Arma fu Carlo Alberto Dalla Chiesa, per la polizia Boris Giuliano; anni dopo entrambi caddero, in circostanze diverse, per mano della mafia.
Carlo Alberto Dalla Chiesa e Boris Giuliano furono i principali investigatori, rispettivamente per i Carabinieri e per la Polizia, che si occuparono del caso De Mauro; entrambi furono in seguito assassinati dalla mafia, Giuliano nel 1979 e Dalla Chiesa nel 1982.
Si trovarono invece, nel cassetto della sua scrivania al giornale, degli appunti di De Mauro nei quali il giornalista citava i nomi di Eugenio Cefis (successore di Mattei all'ENI), di Guarrasi, di altri dirigenti dell'ENI e di alcuni esponenti politici siciliani; secondo il De Sanctis, che ne scrisse nel 1972, questi appunti sarebbero rimasti in qualche modo nell'ombra per qualche tempo. Nel cassetto fu rinvenuto anche un taccuino in cui era scritto: "Colpo di Stato! Colpo di Stato continuato - uomini anche mediocri ma di rottura - La guerra è un anacronismo", in presumibile riferimento al golpe Borghese.
verzotto graziano
Graziano Verzotto
L'ipotesi di un movente legato all'eliminazione del presidente dell'ENI era quella seguita dalla questura, e più volte si sono incrociate le strade giudiziarie dei processi che hanno riguardato il caso Mattei ed il caso De Mauro; è da quest'ultimo che si ricava l'informazione che il questore Ferdinando Li Donni aveva ordinato alla Digos di indagare su Vito Guarrasi e sul presidente dell'Ente Minerario Siciliano Graziano Verzotto. Verzotto era stato incontrato da De Mauro due giorni prima della scomparsa. Secondo Giuseppe Lo Bianco, autore con Sandra Rizza di un libro in cui lega il caso De Mauro ai casi di Mattei e Pier Paolo Pasolini, il presidente dell'EMS avrebbe indicato in Cefis un possibile mandante dell'omicidio di Mattei; e Verzotto, suggerisce Lo Bianco, poteva essere ben informato, essendo fra l'altro finanziatore di agenzie di stampa che avevano pubblicato il libro Questo è Cefis. L'altra faccia dell'onorato presidente, di Giorgio Steimetz, cui aveva attinto Pasolini per il suo Petrolio.
La figura di Guarrasi, che occhieggia qua e là nella vicenda e da più parti viene di tanto in tanto richiamata, è stata pesantemente accostata all'ipotetico personaggio detto "Signor X", il cui ruolo sarebbe piuttosto legato alla strategia per l'eliminazione di Mattei e forse anche di De Mauro. Un elemento che consentirebbe secondo Giorgio Galli di identificare il Signor X per Vito Guarrasi consisterebbe in un nastro magnetico sul quale era stato registrato un incontro fra l'avvocato e due investigatori della polizia, il dirigente della Squadra Mobile Nino Mendolia e Bruno Contrada (allora capo della sezione investigativa della stessa Mobile, poi arrestato il 24 dicembre 1992 e condannato in via definitiva a 10 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa); l'incontro avrebbe avuto luogo il 12 ottobre 1970, una settimana prima dell'arresto di Buttafuoco, ed il nastro recava sul suo involucro la dicitura "conversazione tra Mendolia e X".
Un altro nastro magnetico assume rilievo nella vicenda: si tratta di un nastro che lo stesso giornalista si era procurato e che avrebbe contenuto registrazioni di alcune fasi della manifestazione cui Enrico Mattei aveva partecipato a Gagliano il giorno prima della sua morte. Secondo i familiari, il giornalista riascoltava quel nastro, datogli da un gaglianese, con metodicità quasi ossessiva, ripetutamente fermandolo per riascoltarne alcuni passaggi. Il nastro non è più stato ritrovato. Ma De Mauro ne aveva trascritto brani e preso appunti, ed uno degli appunti recitava «Primo tempo arrivo ore 15, poi ultimo momento anticipato ore 10 perché notizia Tremelloni»: il riferimento era ad un appuntamento imprevisto fra Mattei ed il ministro Roberto Tremelloni, e l'importanza del dato consiste nel fatto - di comune accezione presso gli inquirenti - che solo potendo conoscere in anticipo gli spostamenti del presidente dell'ENI (che non faceva mai sapere in anticipo cose del genere) si sarebbe potuto sabotargli l'aereo. Dunque a Gagliano si sapeva di Tremelloni, si sapeva che questo appuntamento aveva costretto Mattei a programmare il volo per il pomeriggio, e così a Gagliano si poteva già desumere che si sarebbe potuto "agire" sull'aereo. A queste conclusioni, secondo diversi analisti, poteva essere pervenuto De Mauro lavorando al film di Rosi, ricavando per deduzione quelle informazioni che, come ebbe a confidare a colleghi, avrebbero fatto "tremare l'Italia".
In relazione al fatto che il golpe Borghese già nel 1971 fosse stato reso di pubblica nozione dal ministro dell'interno Franco Restivo (amico di famiglia dei De Mauro), e che avessero preso subito a circolare voci di un collegamento fra il rapimento del giornalista e l'iniziativa del principe, Galli comunque sottolineò che la procura di Pavia, nelle indagini sull'incidente di Bascapè, mettesse in risalto come il caso De Mauro potesse risultare più opportunamente collegato al golpe Borghese che non al caso Mattei: nel contesto di manovre politiche di rilievo, con campagne politiche in corso per il Quirinale, il caso Mattei era innominabile, mentre il golpe Borghese non recava imbarazzo politico ad alcuno dei contendenti. E lo stesso autore, ricordando che De Mauro aveva investigato sulle ragioni della mancata partenza sull'aereo di Mattei, all'ultimo momento, del presidente della Regione siciliana, Giuseppe D'Angelo, "era un giornalista troppo professionale per accogliere notizie nelle bische della mafia".
Più volte si è tentato di trovare il luogo dove si presumeva fosse stato nascosto il corpo di De Mauro, ma nessuna di queste ricerche ha dato esito positivo.


Dichiarazioni dei collaboratori di giustizia

Secondo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta, i boss mafiosi Stefano Bontate, Gaetano Badalamenti e Luciano Leggio furono coloro che organizzarono l'uccisione di De Mauro: «il rapimento di Mauro De Mauro […] è stato effettuato da Cosa Nostra. De Mauro stava indagando sulla morte di Mattei e aveva ottime fonti all'interno di Cosa Nostra. Stefano Bontate venne a sapere che De Mauro stava avvicinandosi troppo alla verità - e di conseguenza al ruolo che egli stesso aveva giocato nell'attentato - e organizzò il "prelevamento" del giornalista in via delle Magnolie. De Mauro fu rapito per ordine di Stefano Bontate che incaricò dell'operazione il suo vice Girolamo Teresi […]. Era stato "spento" un nostro nemico e si dette per scontato che Stefano Bontate, Gaetano Badalamenti e Luciano Liggio avessero autorizzato l'azione».
Un altro collaboratore, Antonino Calderone, dichiarò che la sparizione di De Mauro faceva parte di una serie di azioni eversive attuate da esponenti mafiosi in seguito al fallito Golpe Borghese, in cui si poteva inquadrare anche l'uccisione del procuratore Pietro Scaglione (avvenuta il 5 maggio 1971). Secondo le dichiarazioni del pentito Francesco Di Carlo, De Mauro stava facendo troppe domande sul Golpe Borghese e per questo venne "prelevato" dai mafiosi Emanuele D’Agostino, Stefano Giaconia e Bernardo Provenzano, che lo portarono nella tenuta agricola di Stefano Bontate dove lo strangolarono e seppellirono il cadavere nella vallata del fiume Oreto. Secondo le affermazioni del collaboratore Francesco Marino Mannoia, i resti di De Mauro rimasero per alcuni anni sepolti sotto il ponte del fiume Oreto ma in seguito Bontate li fece rimuovere e poi vennero sciolti nell'acido.
Nel 2011 il collaboratore Rosario Naimo dichiarò che gli fu raccontato che De Mauro venne portato con una scusa nel fondo agricolo del boss Francesco Madonia e lì strangolato e il suo cadavere buttato in un pozzo.


Nuove indagini

Nel 2001 la Procura di Palermo riaprì le indagini sulla sparizione di De Mauro in seguito alle dichiarazioni di Francesco Di Carlo.
Il 20 settembre 2007 a Conflenti, in Calabria, viene riesumata una salma – la cui sepoltura risale al 1971 – che si pensava potesse essere quella di De Mauro. Ma nel marzo 2008 l'esame del DNA ha smentito l'ipotesi.


Processo

Nell'aprile del 2006 è iniziato il processo per l'omicidio di De Mauro, che vide come unico imputato il boss Salvatore Riina.
Il 22 aprile 2011, nella requisitoria, viene chiesto l'ergastolo per Riina, oltre all'isolamento diurno per tre anni. In data 10 giugno 2011 Totò Riina viene assolto, per "incompletezza della prova" (ex art. 530 c.p.p.), dalla Corte d'Assise di Palermo per l'omicidio De Mauro. Oltre un anno dopo, il 7 agosto 2012 viene deposita dalla Corte d'Assise la motivazione di quella sentenza di oltre 2.200 pagine, ove si ipotizza che il giornalista venne eliminato «perché si era spinto troppo oltre nella sua ricerca della verità sulle ultime ore di Enrico Mattei».
Il 23 aprile 2013 si è aperto davanti alla corte d'assise d'appello di Palermo il processo d'appello per il quale è stata richiesta la riapertura dell'istruttoria dibattimentale e l'esame del pentito Francesco Di Carlo in merito alle sue dichiarazioni rese in un libro intervista scritto col giornalista Enrico Bellavia sulle confidenze fattegli dal boss Salvatore Riina durante un summit nel corso del quale si sarebbe deciso il sequestro e l'omicidio del giornalista Mauro De Mauro.

Riconoscimenti

Ha vinto la prima edizione del Premiolino nel 1960 per l'inchiesta sulla delinquenza siciliana
È uno dei 2.007 giornalisti di tutto il mondo, uccisi per il lavoro che facevano, ricordati nel Journalist Memorial del Newseum di Washington, negli Stati Uniti.
Il 14 maggio 2013, nel giardino della memoria di Ciaculli, parco dedicato a tutti i caduti nella lotta contro la mafia, gli è stato dedicato un albero alla presenza del Sindaco di Palermo Leoluca Orlando, della figlia Franca De Mauro, del procuratore della Repubblica di Palermo Francesco Messineo, del presidente della corte d’appello di Palermo, del presidente regionale dell’Ordine dei giornalisti Riccardo Arena.
Il 16 settembre 2014 in viale delle Magnolie a Palermo, luogo del sequestro di Mauro De Mauro, è stata deposta una corona di fiori su iniziativa dell'Unci (Unione cronisti italiani) alla presenza dei familiani di De Mauro, della figlia Franca De Mauro, del nipote Alessandro, del Sindaco di Palermo Leoluca Orlando, del Prefetto di Palermo Dr.ssa Francesca Cannizzo, del Questore di Palermo Dr.ssa Maria Rosaria Maiorino, del Presidente dell'Odg Sicilia, Riccardo Arena.  Il 20 dicembre 2014 L’ Unci e l’Amministrazione comunale hanno collocato in viale delle Magnolie una lapide per ricordare l’assassinio del giornalista.

sabato 24 maggio 2014

LA ROSA DEI VENTI




La Rosa dei venti fu un'organizzazione segreta italiana di stampo neofascista legata al tentativo di colpo di Stato denominato "Golpe Borghese", ha annoverato nelle sue file esponenti di primo piano come Junio Valerio Borghese, Stefano Delle Chiaie e altri membri e simpatizzanti della destra eversiva italiana, oltre ad alti membri delle forze armate e dei servizi segreti.
L'esistenza dell'organizzazione fu portata alla luce da un'inchiesta incominciata nell'Ottobre 1974 della magistratura di Padova, nel nome del giovane magistrato Giovanni Tamburino.
Nello stesso mese Tamburino ordinò l'arresto di Vito Miceli, capo del Servizio Informazioni Difesa (ex SIFAR), ma la Corte di Cassazione renderà vano il lavoro del magistrato portando al trasferimento del dibattimento dalla città veneta a Roma.
Come sostiene il noto storico Paul Ginsborg, la scelta non sembra casuale dato che la magistratura romana si dimostra «meno tenace di Tamburino nel proseguire le indagini».
In un secondo momento inoltre, il pubblico ministero Claudio Vitalone invocherà il segreto di stato e sulla questione cadrà il silenzio.
Arnaldo Forlani a La Spezia (Novembre 1972) disse pubblicamente che vi erano prove che la vicenda fosse «il tentativo forse più pericoloso che la destra reazionaria abbia tentato e portato avanti dalla Liberazione ad oggi».
“Ricevetti un ordine di un mio superiore militare appartenente all’organizzazione di sicurezza delle forze armate, che non ha finalità eversive ma si propone di proteggere le istituzioni contro il marxismo. Questo organismo non si identifica con il SID. Mi risulta che non ne facciano parte solo militari ma anche civili, industriali e politici. soltanto un vertice conosce tutto e ai vari livelli si rinvengono dei vertici parziali. Tale organizzazione è militare, ma ce n’è una parallela di civili. Al vertice dell’organizzazione militare stanno senz’altro dei militari; non posso dire che si tratti della vecchia struttura di De Lorenzo: io posso conoscere un superiore e un inferiore a me, niente di più. (…) L’organizzazione serviva a garantire il rispetto del potere vigente e dei patti NATO sottoscritti riservatamente, nonché del regime sociale ed economico indotto da tali strutture. La filosofia ispiratrice è quella dell’appartenenza dell’Italia al blocco occidentale inteso come immutabile, mobilitato permanentemente contro il comunismo e finalizzato ad impedire l’ascesa alla direzione del paese da parte delle sinistre” (Amos Spiazzi, verbale 4 e 12 maggio 1974 )

Amos Spiazzi

Analisi storico-politica 
Si afferma oggi con sicurezza e senza perifrasi che la Rosa dei Venti sia stata un'organizzazione paragonabile a Gladio, una sorta di filiale locale di un servizio di intelligence NATO operante parallelamente —e su un piano superiore— rispetto ai servizi ufficialmente riconosciuti. Di questa realtà iniziatica si vuole vedere un riflesso nel provvedimento con cui nel 1978 la Corte di Cassazione tolse a Giovanni Tamburino la titolarità dell'indagine che minacciava di violare il mistero dell'apparato in esame. La vicenda investigativa nasce fortuitamente cinque anni prima.
Giampaolo Porta Casucci, un medico di La Spezia,[ un personaggio eccentrico che ostenta un folclore neonazista venuto inspiegabilmente a conoscenza di numerose informazioni sulla Rosa dei Venti, ne aveva dettagliatamente riferito alla questura della sua città, depositando una sorta di versione aggiornata del Piano Solo. L'approfondimento portò dapprima alla ribalta tre nomi di un certo spessore militare: generale Francesco Nardella, già comandante dell'Ufficio guerra psicologica di FTASE Verona; il suo successore in tale incarico tenente colonnello Angelo Dominioni; tenente colonnello Amos Spiazzi, vicecomandante del secondo gruppo artiglieria da campagna e comandante del relativo «Ufficio I». Sul piano giudiziario, si cominciò ad aprire uno squarcio di luce nel marzo del 1974, quando l'inquisito Roberto Cavallaro iniziò a collaborare con i giudici di Padova. Cavallaro nel 1972, dopo un breve idillio con l'MSI, era passato a posizioni più radicali, fondando (con altri) un'organizzazione di picchiatori della "Milano bene", che aveva un certo seguito soprattutto alla "Cattolica", il Gruppo Alfa. In quel momento usurpò la qualifica di magistrato militare, probabilmente con l'appoggio del SID. A suo dire, posto che la sua finta carriera si svolgeva a Verona, ovvero in una media città di provincia dove in teoria tutti si conoscono, ciò rappresentava la dimostrazione che le protezioni di cui beneficiava erano realmente valide. Fino al momento dell'arresto (novembre 1973) Cavallaro avrebbe partecipato a quello che lui chiamava colpo dello stato, agli ordini di un'imprecisata "organizzazione" che tirava le fila della Rosa dei Venti e di tanti altri gruppi eversivi di ogni colore, utilizzati prima di tutto come leve di provocazione (il disordine crea la necessità di riportare ordine). L'"organizzazione" —che non sappiamo se si potesse identificare con quello che tempo dopo la stampa battezzò "Supersid"o "Sid parallelo" — sarebbe nata contestualmente all'aborto del Piano Solo, ed avrebbe avuto una sorta di battesimo del fuoco nella controguerriglia in Alto Adige.
Forte di queste rivelazioni, Tamburino iniziò a torchiare Spiazzi, sino ad indurlo ad invocare un abboccamento riservato con Miceli, che però Tamburino avrebbe voluto trasformare in un confronto diretto tra i due ufficiali, reso tuttavia impossibile dal rifiuto di Miceli. Forse perché si era visto "scaricare" dai vertici dei servizi, Spiazzi uscì dall'ostinato riserbo mantenuto sino al momento, e rilasciò una serie di dichiarazioni che in gran parte concordavano con quelle di Cavallaro. In particolare confermò che l'"organizzazione" era «parallela alla struttura "I" ufficiale [ed era] sempre stata un'organizzazione in funzione anticomunista.»
Nella tarda primavera del 1973 Spiazzi —attraverso canali ufficiali della gerarchia militare e con il ricorso a comunicazioni in codice secondo standard NATO— avrebbe ricevuto l'ordine di mettersi dapprima in contatto con due imprenditori liguri, e poi di recarsi a prendere ordini successivi presso la cosiddetta Piccola Caprera, un luogo sul lago di Garda considerato un sacrario fascista. La telefonata in questione, proveniente da una caserma dei carabinieri di Vittorio Veneto, era stata inviata dal maggiore Mauro Venturi.
L'inchiesta giudiziaria fu lasciata arenare, poiché —si motivò— non era possibile raggiungere la prova che la famosa telefonata fosse davvero ascrivibile a Venturi. Di conseguenza, non fu approfondito l'aspetto di questo oscuro "organismo di sicurezza" (definizione di Spiazzi) che sarebbe stato sovrapponibile con i vertici degli Uffici "I" delle nostre forze armate, in sovranazionale coordinamento con gli analoghi comandi degli alleati NATO. I membri del comitato dovevano godere di un nulla osta sicurezza (NOS) di livello superiore al COSMIC, ufficialmente il livello N.O.S. di rango più elevato. Questa selettività ultra-istituzionale determinava strane situazioni, poiché talora personalità di massimo spicco istituzionale non erano considerate abbastanza affidabili, e di conseguenza il super-comitato poteva anche decidere di agire per provocare il "siluramento" politico del soggetto indesiderato.
La collaborazione di Spiazzi ebbe comunque termine, quando il generale Alemanno, capo Ufficio Sicurezza SID, gli ingiunse di "non coinvolgere altri". Questa chiusura fu accompagnata, di fatto, dalla messa in stato d'accusa formale dello stesso Miceli. Arrestato clamorosamente il 31 ottobre 1974 presso il Tribunale di Roma (dove aveva reso un interrogatorio avanti diversi magistrati per altra inchiesta), Miceli —che aveva accusato un malore mentre stava per essere rapidamente "tradotto" a Padova— riuscì ad evitare l'effettiva incarcerazione, mutandola in ricovero presso l'Ospedale Militare del Celio. La Cassazione intervenne il 30 dicembre 1974, ordinando il trasferimento dell'inchiesta alla Procura di Roma. Da lì a poco la vicenda giudiziaria si sarebbe presto arenata, disperdendosi in modo del tutto inconcludente. Una delle poche acquisizioni valide sul piano storico è l'asseverazione dell'azione dispiegata dalla Rosa dei Venti in Alto Adige. Insurrezionalisti come Norbert Burger e Peter Kienesberger vrebbero cooperato strettamente con il SIFAR.
Contestualmente, sarebbero stati attivi in Alto Adige numerosi funzionari dei servizi. Significativamente, gravitavano al contempo nella medesima area neofascisti vari, tra cui il già nominato Franco Freda, Carlo Fumagalli,esponente del Movimento di Azione Rivoluzionaria, l'ordinovista Elio Massagrande e Sandro Rampazzo. Anni dopo, rendendo un interrogatorio, Spiazzi avrebbe avuto a compiacersi dell'opera svolta in Alto Adige —che definì "pacificato" e preservato dai "germi distruttori" (contestazione, tensioni sociali...)— rammaricandosi un po' che tale azione —disturbata da interferenze dell'apparato garantista, per così dire— non avesse potuto dispiegare i suoi virtuosi effetti sull'intero territorio nazionale.
Ritornando all'indagato Miceli, questi riuscì a trascorrere poco tempo in carcere, giocando proficuamente la carta del silenzio, cui lo costringeva, a suo dire, il segreto politico-militare a riguardo di un "Super SID" che egli del resto non ebbe mai a smentire.
Solo nel 1983, il colonnello Spiazzi, ritenendosi esonerato dal segreto —invocato da Miceli— in relazione a situazioni che egli stesso non giudicava (o non giudicava più) pienamente legittime, svelò qualche maggior dettaglio sull'"organismo di sicurezza".
Apprendiamo così dell'esistenza di due livelli organizzativi: quello inferiore dei "nuclei sicuri", alimentati da persone che risultavano politicamente affidabili in forza di specifiche relazioni dei carabinieri ("modelli D"), sostanzialmente rappresentava una schiera di riserva, da allarmare eventualmente al bisogno; quello superiore, di alta segretezza, costituente una vera forza d'intervento per situazioni di grave perturbamento politico-sociale, con lo scopo dichiarato "per non restare alla finestra, ma per intervenire, per sedare la situazione, bloccarla e poi eventualmente decidere in merito".
La selezione dei partecipanti, secondo Spiazzi, era curata dai carabinieri, dagli ufficiali "I" e dai centri di mobilitazione, e —sul piano della pura attitudine operativa— mirava a cooptare elementi paramilitari, ovvero persone congedate dalle forze armate oppure anche solo "gente che ha ricevuto un addestramento di tipo particolare". Spiazzi proseguì spiegando come, in occasione del Golpe Borghese (Esigenza Triangolo), aveva fatto parte del contingente che stava per occupare Sesto San Giovanni, quando un repentino contrordine aveva trasformato l'atto insurrezionale in una semplice esercitazione. Ma la parte più esplosiva delle tardive rivelazioni Spiazzi riguarda ancora una volta l'Alto Adige. Precisò che gli era stato spiegato da un superiore che gli attentati erano utili ad "interessi di carattere globale", riferì di aver catturato personalmente "due carabinieri del SIFAR" mentre preparavano un attentato (i due soggetti gli erano poi stati sottratti da altri carabinieri ed agenti di polizia, e questo episodio aveva segnato la fine della sua avventura altoatesina). L'attentato a Georg Klotz ed Alois (o Luis) Amplatz sarebbe pure risultato dalla collaborazione di servizi italiani, nostre forze di polizia e autorità politiche.


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