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sabato 6 settembre 2014

GIOVANNI DE LORENZO


Giovanni De Lorenzo

Figlio di un ufficiale di carriera dell'Arma di artiglieria, seguì ancora bambino il padre dalla natia Sicilia a Genova, dove si laureò in ingegneria navale. Successivamente divenne ufficiale di artiglieria. Durante la seconda guerra mondiale, col grado di tenente colonnello partì per la Russia con l'ARMIR, come vice-capo dell'ufficio operazioni.
Dopo l'8 settembre 1943 divenne partigiano, operando dapprima sul fronte alpino, poi nella Roma occupata, quale comandante del Centro R del Servizio Informazioni Militare; come tale, entrò in rapporti diretti e riservati con i vertici del CLN e del CLNAI, dai quali vennero poi molti importanti esponenti della politica repubblicana.


L'incarico al SIFAR (1955-1962)

Nel 1955 assunse il comando del SIFAR. Nel Servizio portò a compimento un annoso processo di trasformazioni strutturali e di indirizzo che dalle ceneri del precedente, esiguo e disordinato Servizio Informazioni Militari (SIM) generarono un organismo corposo, ordinato ed in parte finalmente anche efficiente. I rapporti tra De Lorenzo e Gronchi, presidente della Repubblica, furono stretti e frequenti (i loro mandati furono peraltro quasi contemporanei). Forse oltre le previsioni istituzionali.
Giovanni de LorenzoSecondo il giornalista Renzo Trionfera, Enrico Mattei, favorevole ad un secondo mandato per il Presidente uscente (con cui aveva intessuto amicizia quando era ministro dell'industria ed egli lottava per non chiudere l'Agip), avrebbe offerto un miliardo di lire a Gronchi per corrompere alcuni elettori al fine di rieleggerlo. De Lorenzo, sempre secondo questa tesi, sarebbe stato colui che si sarebbe materialmente occupato della distribuzione delle bustarelle. Ma la vicenda era molto più complessa: il presidente uscente Gronchi, sponsor storico dell'ascesa di Mattei, competeva per il Quirinale con Segni e, con minori chances e solo come eventuale outsider, con Fanfani, allora presidente del Consiglio. Il 28 marzo del 1962 il Sifar di De Lorenzo annotava che Giuseppe Saragat aveva promesso all'Internazionale Socialista che Mattei sarebbe stato ridimensionato, anzi defenestrato, e che la non rielezione di Gronchi sarebbe stata condizione opposta dal leader socialdemocratico a Fanfani, "non proprio sfavorevole" ad un ricambio al vertice dell'Eni (Fanfani aveva ripetutamente sfoggiato notevoli virtuosismi dialettici per "spiegare" agli americani il cosiddetto "neoatlantismo" matteiano).
Un deputato vicino a Segni, Vincenzo Russo, fece pressione su Mattei affinché questi non favorisse la rielezione di Gronchi: Mattei sparì da Roma per alcuni giorni.Gronchi, come si sa, non fu rieletto, ma si è supposto che abbia continuato ad avere rapporti privilegiati con De Lorenzo, visto che il 22 luglio dello stesso anno inviò il suo segretario Emo Sparisci ad avvisare Mattei che l'OAS aveva ricevuto incarico di "convincere" il condottiero dell'Eni a desistere dalla lotta contro le "sette sorelle", informazione che solo dal Sifar poteva provenire al politico.
Tecnicamente ed operativamente, il Sifar funzionava molto bene sotto questo comando. Ricevuti ausilii tecnologici e istruttori da Servizi di paesi alleati, De Lorenzo siglò con questi accordi riservati come il Piano Demagnetize, nei quali il Sifar assumeva un ruolo, vista la portata, in precedenza riservato alle sole autorità politiche governative.
Iniziava per il generale italiano una fase in cui avrebbe assunto in proprio una sorta di "delega" alla sicurezza nazionale, scavalcando il governo, in genere poco interessato, e manlevando il Quirinale (altro polo istituzionale costituzionalmente interessato) dall'occuparsi dei dettagli.
Come l'ENI di Mattei in campo economico, così il Sifar di De Lorenzo in campo militare e strategico: entrambi sopperivano alla scarsa dedizione dei politici eletti per la gestione di materie vitali con l'accentramento di poteri in capo a due condottieri in molte cose simili.
E, se a differenza del settore economico-petrolifero l'indirizzo di gestione strategica non era così nitidamente distinto da interessi potenziali di paesi terzi, come l'ENI, invece, anche il Sifar agiva con piena efficienza.
Non solo il Servizio disponeva di ottime informazioni dall'esterno, che a volte poteva addirittura scambiare con servizi omologhi di paesi alleati (fatto con pochi ed episodici precedenti nella storia delle varie organizzazioni di intelligence italiane), ma aveva informazioni estremamente particolareggiate su tutto quanto riguardava l'interno.
A posteriori si seppe infatti che durante il suo lungo comando (sette anni), De Lorenzo aveva iniziato una gigantesca opera di schedatura degli esponenti più in vista di tutte le istituzioni e di tutti i gruppi sociali (ma sarebbe più opportuno dire che aveva "ripreso" e abbondantemente superato una tradizione delle polizie nazionali che con l'OVRA di Arturo Bocchini e con l'archivio segreto di Benito Mussolini aveva già operato schedature di vasta portata).
Vi erano stati tentativi di ripristino di questa attività con Mario Scelba, ma nulla a paragone di quanto sarebbe successo con De Lorenzo.
Dopo il suo passaggio al Servizio, fu detto umoristicamente da Andreotti, in Italia di ignoto era rimasto solo il Milite: politici, sindacalisti, imprenditori, uomini d'affari, intellettuali, religiosi (Papa compreso, in tutto circa 4.500) e naturalmente militari (tutti gli ufficiali superiori, nessuno escluso), furono indagati, così come tutti gli stranieri, e su ciascuno si raccolsero notizie circa frequentazioni, preferenze religiose e politiche, abitudini pubbliche e private.
Avrebbe fatto non poco rumore, in seguito, la scoperta che di Saragat si fossero minuziosamente catalogate addirittura le marche e le quantità (non esigue) di alcoolici usualmente ingeriti. L'indagine, che veniva estesa anche alle amicizie dei soggetti osservati (secondo alcune stime, già 157.000 erano i "titolari" di fascicoli individuali), avrebbe quindi raccolto dati, direttamente o indirettamente su una quota davvero ingente della popolazione.
Dai circa duemila fascicoli stilati poco dopo la sua nomina, si passò ai circa 17.000 del 1960, finché nel 1962 il numero dei fascicoli ammontava a 117.000, stimati in 157.000 dalla commissione Beolchini; il giudizio (politico) della commissione sulla qualità delle schedature sarebbe stato in realtà poco lusinghiero, avendole definite forzosamente enfatizzate su difetti e chiacchiericci e sottintendendone quindi finalità ricattatorie. I fascicoli furono fatti distruggere da Andreotti nel 1974, al suo ritorno al ministero della Difesa. Divenuto generale di divisione, restò a capo del Servizio per effetto di un'intervenuta legge (che Montanelli definì ad personam) grazie alla quale il comando del Servizio veniva equiparato a comando di grande unità, consentendogli di conservarne la guida e di ricavarne vantaggi di carriera, come la possibilità di accedere a comandi prestigiosi.




Comandante dei Carabinieri (1962-1965) 
Il 15 ottobre 1962 fu nominato Comandante generale dei Carabinieri, in un frangente internazionale di massima allerta (nell'imminenza della crisi di Cuba) e, per quanto riguarda l'Italia, solo pochi giorni dopo l'apertura del Concilio Vaticano II (che registra una certa freddezza fra Santa Sede e USA) e pochi giorni prima della morte di Mattei, che aveva da poco ottenuto un indiretto appoggio dall'Osservatore Romano.
Ottenuta quasi a fil di lama, strappata al generale Aloja per il decisivo parere del PCI, la nomina di De Lorenzo pareva incontrare il gradimento generale: delle sinistre, dei moderati e dei conservatori. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, Fanfani inviò subito in missione riservatissima ed urgente il fidato Ettore Bernabei, presidente della RAI, a conferire con Arthur Schlesinger, ufficialmente per trattare dei rapporti Stati Uniti-Vaticano.
Suo vice sarebbe stato quel Giorgio Manes con cui presto sarebbe entrato in urto e che poi avrebbe redatto una nota relazione accusatoria sui fatti dell'estate del 1964. Al comando generale di viale Romania, De Lorenzo si insediò con piglio e decisione, determinato a mettere ordine in una gigantesca struttura disorganizzata. Il suo comando è certamente quello più noto della storia dell'Arma ed è forse anche quello più ricco di significato, avendo apportato alla Benemerita innovazioni di primaria importanza fra le quali la reimpostazione in chiave militare dell'apparato.
Dal suo nuovo incarico riuscì a mantenere sempre un ruolo di primo piano nella vita della Repubblica, continuando ad avere contatti continui con il SIFAR ed il Quirinale. Ne sono testimonianza gli eventi svoltisi nel luglio 1964 in seguito alla crisi del Governo Moro I. Il giorno 15 De Lorenzo venne infatti ricevuto dal Presidente della Repubblica Antonio Segni nell'ambito delle consultazioni per la formazione del nuovo Governo. Segni lo ricevette (in realtà insieme ad altri militari a lui superiori) per sapere se a suo giudizio delle eventuali elezioni anticipate avrebbero potuto turbare l'ordine pubblico. De Lorenzo rispose che "la situazione è controllata e controllabile senza fare nulla, senza fare piani". Di piani, nello specifico di piani di contingenza, De Lorenzo si intendeva bene, essendo considerato il massimo artefice della programmazione e dello sviluppo del Piano Solo.


Capo di Stato Maggiore dell'Esercito (1965-1967) 

Nel dicembre 1965 fu promosso Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Italiano, ancora una volta con il gradimento delle sinistre. La sua nomina fu infatti vista con favore oltre che da Aldo Moro, anche da esponenti della sinistra moderata come Pietro Nenni e Giuseppe Saragat (i quali si fidavano di un ex partigiano come De Lorenzo), ma fu invisa a qualche generale (come Paolo Gaspari, comandante della regione militare meridionale, che si dimise stilando una lettera estremamente polemica e che ebbe una moderata circolazione negli ambienti militari superiori).


Scontro Aloja - De Lorenzo

Passato (22 dicembre 1965) Giuseppe Aloja dal ruolo di comandante di Stato Maggiore-Esercito a quello (più importante) di capo di Stato Maggiore-Difesa (mentre allo S.M. Esercito gli subentrava De Lorenzo), ne approfittò per allargare a tutte e tre le forze armate l'esperienza dei corsi di ardimento, da lui stesso patrocinati inizialmente nel solo esercito, con accese reazioni da parte della stampa di sinistra.
Questo avvenimento scatenò peraltro un aspro conflitto tra i due generali, che avrebbe determinato il definitivo declino militare di De Lorenzo.
Un prodromo di tali ostilità fu rappresentato dal cosiddetto scandalo delle "mine d'oro": un curioso "pellegrinaggio" di mine da un capo all'altro del suolo nazionale, messo in atto per avvantaggiare talune imprese preposte allo sminamento.
Emerse il nome del generale Aldo Senatore, uomo assai vicino ad Aloja, e l'indiscrezione, come sarà dimostrato più tardi, scaturiva dal ricco "fondo documentale SIFAR" (dove regnava Allavena, alleato di De Lorenzo). In aprile 1966, De Lorenzo osò sconfessare la linea Aloja —che malgrado le polemiche non desisteva dai "suoi" corsi di ardimento— abolendoli per quanto riguardava l'esercito (di cui De Lorenzo, ricordiamo, era da poco divenuto capo di stato maggiore). Tale "insubordinazione" fu bollata dal furente Rauti come una "bordata neutralista".
Al di là degli antagonismi personali, Aloja appariva l'araldo di una concezione —emersa dal Parco dei Principi,— che teorizzava la necessità di un più avanzato (anche psicologicamente) approntamento delle forze che avrebbero difeso l'Occidente in uno scontro di cui si presentiva l'imminenza, laddove De Lorenzo, pur essendo un indubbio "falco atlantico", non riteneva che le misure di sicurezza già esistenti richiedessero una speciale intensificazione. Nel maggio 1966 trapelò la notizia dell'improvvido acquisto dagli USA di carri M60A1, un tank inadatto al trasporto ferroviario per la sua mole incompatibile con le nostre gallerie.
Poiché tale fornitura militare era stata approvata da Andreotti ed Aloja, si trattava di un altro "siluro" del SIFAR, ma a cadere sarà la testa di Allavena: solo figuratamente, perché il generale destituito venne contemporaneamente riassegnato al Consiglio di Stato, dopo un infruttuoso tentativo di riciclarlo nella Corte dei conti. Ad ogni modo, la permanenza di Allavena al Consiglio di Stato terminerà nel 1967, per aver egli asportato numerosi fascicoli del servizio, prima di passare il testimone al suo successore, ammiraglio Eugenio Henke.
Il nuovo assetto del servizio segreto, nel frattempo ridenominato Servizio Informazioni Difesa (SID), non consentiva più di mantenere il coperchio sulle attività di dossieraggio care a De Lorenzo, che abbiamo ampiamente descritto. In particolare, gli risultò fatale il fatto di aver sistematicamente spiato e schedato lo stesso Capo dello Stato. Il 15 aprile 1967, dopo che aveva rifiutato un'uscita di scena più discreta ed onorevole,De Lorenzo fu destituito dall'incarico di capo dello Stato Maggiore dell'esercito.
Nello stesso momento —essendo divenute parzialmente conoscibili le conclusioni della commissione Beolchini — suscitò notevole scalpore la rivista L'espresso titolando a caratteri cubitali, in copertina:
«14 luglio 1964: complotto al Quirinale. Segni e De Lorenzo preparavano il colpo di Stato.»
De Lorenzo poté comunque re-inventarsi un ruolo pubblico come parlamentare del partito monarchico, mentre —come abbiamo anticipato circa il "suicidio" del colonnello Rocca— la commissione parlamentare d'inchiesta, lungamente osteggiata dai democristiani, fu punteggiata da svariate morti singolari di testimoni (il 27 aprile 1969, quella del generale Ciglieri in uno strano incidente stradale; il 25 giugno dello stesso anno, il generale Manes colto da malore prima di aprir bocca in commissione).
Com'era anche prevedibile, la commissione parlamentare non approdò a risultati concreti,
e tese a ridimensionare la gravità delle anomalie riscontrate. Tra l'altro, in quella sede veniva disposta la distruzione dei trentaquattromila fascicoli illegali, ma evidentemente alle parole non seguirono i fatti fino al 1974, quando Andreotti ordinò di bruciarli davvero, e non si sa se in ogni caso ne siano circolate delle copie abusive anche molto tempo dopo.
I più stretti collaboratori di De Lorenzo, anche quelli di cui era emerso il coinvolgimento in azioni poco ortodosse, furono invece tutti promossi ad importanti ruoli di comando nell'Arma dei carabinieri.





L'attività politica

Alle elezioni politiche del 19 maggio 1968 De Lorenzo fu eletto alla Camera dei deputati tra le file del Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica. Nel 1971 aderì al gruppo del Movimento Sociale Italiano, fino al 1972.



mercoledì 4 dicembre 2013

OMICIDIO WILMA MONTESI




Wilma Montesi Sabato 11 aprile 1953, giorno della vigilia di Pasqua, sulla spiaggia di Torvaianica, presso Roma, venne rinvenuto il corpo della ragazza romana ventunenne , scomparsa il 9 aprile precedente.
La Montesi era una ragazza di origini modeste, figlia di un falegname e nata nel 1932 a Roma, dove risiedeva in via Tagliamento. Al momento della sparizione era fidanzata con un agente di polizia in servizio a Potenza e in procinto di sposarsi. Era una ragazza considerata molto bella, con qualche aspirazione ad entrare nel mondo del cinema e dello spettacolo, il cui centro si trovava presso la capitale, a Cinecittà, e da tutti descritta come tranquilla e serena, impegnata a mettere a punto il corredo in vista delle imminenti nozze, programmate per il Natale successivo.
Il corpo fu rinvenuto da un manovale, Fortunato Bettini, che stava facendo colazione presso la spiaggia. Il corpo appariva riverso supino sulla battigia, parzialmente immerso in acqua dalla parte della testa. La donna era parzialmente vestita, e gli abiti erano zuppi d'acqua: non aveva più indosso le scarpe, la gonna, le calze e il reggicalze.




Alla notizia del ritrovamento i giornali dedicarono ampi articoli: il padre della vittima, Rodolfo Montesi, venne a conoscenza del fatto tramite la stampa, il giorno successivo al ritrovamento.
Dalla ricostruzione degli ultimi movimenti della ragazza emerse che questa non era rientrata a casa per cena la sera del 9 aprile, contrariamente alle proprie abitudini. La madre, insieme all'altra figlia, Wanda, aveva trascorso il pomeriggio al cinema assistendo alla proiezione del film La carrozza d'oro ed affermò che Wilma aveva declinato l'invito ad unirsi a loro, perché non le piacevano i film con Anna Magnani, aggiungendo che forse sarebbe uscita per una passeggiata. Al rientro, le due donne constatarono che Wilma era assente, ma - stranamente - aveva lasciato in casa alcuni gioielli di modesto valore, dono del fidanzato, che abitualmente indossava quando usciva.
La portiera dello stabile in cui vivevano i Montesi affermò di averla vista uscire intorno alle 17.30 e di non averla più vista in seguito.
Alcuni testimoni affermarono di aver visto la Montesi sul treno che da Roma portava ad Ostia: tra questa e Torvaianica vi sono una ventina di chilometri, un po' troppi per essere percorsi a piedi. Il titolare di un chiosco di cartoline situato nei pressi della spiaggia di Ostia sostenne di aver conversato con una giovane apparentemente somigliante alla Montesi, che aveva acquistato una cartolina illustrata ed accennato all'intenzione di spedirla al fidanzato a Potenza.





L'ipotesi scartata del suicidio e la chiusura del caso
Il corpo venne portato presso l'Istituto di Medicina Legale di Roma, dove venne condotta l'autopsia: i medici affermarono che la probabile causa della morte sarebbe stata una «...sincope dovuta ad un pediluvio», concludendo che, con molta probabilità, la sfortunata ragazza aveva approfittato della gita al mare per mangiare un gelato (i cui resti furono rinvenuti nello stomaco) e fare un pediluvio in acqua di mare per alleviare una fastidiosa irritazione ai talloni di cui - a detta dei familiari - soffriva da qualche tempo. Per fare ciò, la Montesi si sarebbe sfilata scarpe e calze e, molto probabilmente, anche gonna e reggicalze, per poi immergersi in acqua, venendo tuttavia colta da un malore che il medico legale ricollegò al fatto che la ragazza si trovasse nei giorni del ciclo mestruale. Una volta scivolata in acqua priva di sensi, la Montesi sarebbe annegata.


La distanza tra Ostia (il presumibile ultimo avvistamento della ragazza) e il punto del ritrovamento venne giustificato sostenendo che fosse stato dovuto una complessa combinazione di correnti marine. Dall'autopsia emerse che la ragazza era ancora illibata e non aveva subito violenza (come evidenziato dal fatto che il volto era ancora perfettamente truccato e lo smalto sulle unghie delle mani intatto); in seguito tuttavia un altro medico, il professor Pellegrini, affermò che la presenza di sabbia nelle parti intime della ragazza poteva essere spiegata solo come conseguenza di un tentativo di violenza. Non vennero rinvenute tracce di stupefacenti o di alcool nel suo corpo.

Cresce lo scandalo
L'ipotesi dell'incidente fu considerata attendibile dalla polizia, che chiuse il caso. I giornali, invece, si mostravano scettici.
Il Roma, quotidiano monarchico napoletano, il 4 maggio cominciò ad avanzare l'ipotesi di un complotto per coprire i veri assassini, che sarebbero stati alcuni potenti personaggi della politica; l'ipotesi presentata nell'articolo Perché la polizia tace sulla morte di Wilma Montesi?, a firma Riccardo Giannini, ebbe largo seguito.
Piero Piccioni
A capo di questa campagna dei media, vi erano prestigiose testate nazionali, quali il Corriere della Sera e Paese Sera, e piccole testate scandalistiche, quali Attualità, ma la notizia si diffuse su quasi tutte le testate locali e nazionali.
Il 24 maggio del 1953 un articolo di Marco Sforza, pubblicato sulla rivista comunista Vie Nuove, creò molto scalpore: uno dei personaggi apparsi nelle indagini e presumibilmente legati alla politica, sinora definito "il biondino", venne identificato nella persona di Piero Piccioni. Piccioni era un noto musicista jazz (noto col nome d'arte Piero Morgan), fidanzato di Alida Valli e figlio di Attilio Piccioni, Vicepresidente del Consiglio, Ministro degli Esteri e massimo esponente della Democrazia Cristiana.
Il nome di "biondino" era stato attribuito al giovane da Paese Sera, in un articolo del 5 maggio, in cui si raccontava di come il giovane avesse portato in questura gli indumenti mancanti alla ragazza assassinata. L'identificazione con Piero Piccioni era un fatto noto a tutti i giornalisti, ma nessuno ne aveva mai svelata l'identità al grande pubblico. Su Il merlo giallo, testata di destra, era addirittura apparsa già ai primi di maggio una vignetta satirica in cui un reggicalze, tenuto nel becco da un piccione, veniva portato da quest'uccello in questura, un chiaro riferimento all'uomo politico e al delitto.
La notizia suscitò clamore perché venne pubblicata poco prima delle elezioni politiche del 1953.

Attilio Piccioni
Piero Piccioni e lo scandalo politico
Piero Piccioni querelò per diffamazione il giornalista e il direttore del periodico Vie nuove, Fidia Gambetti. Sforza venne sottoposto ad un duro interrogatorio. Lo stesso PCI, movimento di riferimento del giornale e unico beneficiario "politico" dello scandalo, disconobbe l'operato del giornalista, che venne accusato di "sensazionalismo" e minacciato di licenziamento.
Nemmeno sotto interrogatorio Sforza citò mai direttamente il nome della fonte da cui ufficialmente veniva la notizia, limitandosi ad affermare che provenisse da «...ambienti dei fedeli di De Gasperi».
Anche il padre del giornalista, un influente docente di filosofia all'Università degli Studi di Roma "La Sapienza", suggerì al figlio di ritrattare, consiglio vivamente sostenuto anche dal celeberrimo "principe del foro" Francesco Carnelutti, che aveva preso le parti dell'accusa per conto di Piccioni.
L'avvocato di Sforza, Giuseppe Sotgiu (già presidente dell'Amministrazione provinciale di Roma ed esponente del PCI) si accordò col collega, e il 31 maggio Sforza ritrattò le sue affermazioni. Come ammenda, versò 50.000 lire in beneficenza alla "Casa di amicizia fraterna per i liberati dal carcere", ed in cambio Piccioni lasciò cadere l'accusa.
Nonostante che nell'immediato lo scandalo per la DC apparisse così escluso, ormai il nome di Piccioni era stato citato ed in seguito sarebbe ritornato alla ribalta.
Intanto, durante l'estate, il caso sparì dalle pagine di cronaca.

Adriana Bisaccia e l'ipotesi dei "Capocottari"
Ugo Montagna
Il 6 ottobre 1953, sul periodico scandalistico Attualità, il giornalista e direttore della testata, Silvano Muto, pubblicò un articolo, La verità sul caso Montesi. Muto aveva condotto un'indagine giornalistica nel "bel mondo" romano, basandosi sul racconto di un'attrice ventitreenne che sbarcava il lunario facendo la dattilografa, tal Adriana Concetta Bisaccia. La ragazza aveva raccontato al giornalista di aver partecipato con Wilma ad un'orgia, che si sarebbe tenuta a Capocotta, presso Castelporziano e non distante dal luogo del ritrovamento. In quell'occasione avevano avuto modo di incontrare alcuni personaggi famosi, principalmente nomi noti della nobiltà della capitale e figli di politici della giovane Repubblica Italiana.
Stando al racconto della Bisaccia, la Montesi avrebbe assunto un cocktail letale di droga ed alcool, e avrebbe avuto un grave malore. Il corpo esanime sarebbe stato trasportato da alcuni partecipanti all'orgia sulla spiaggia, dove fu abbandonato. Tra i nomi citati nell'articolo, vi erano Piero Piccioni e il marchese Ugo Montagna, proprietario della tenuta di Capocotta. I partecipanti all'orgia, definiti dalla stampa "capocottari", rappresentavano l'alta società romana, ed era facile vedere dietro l'operato delle forze dell'ordine un disegno volto a proteggere questi personaggi.
Muto fu perseguito dal procuratore capo di Roma, Angelo Sigurani, per aver diffuso «...notizie false e tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico», ma la notizia fu ripresa da tutti i giornali e divenne l'ipotesi largamente più considerata per la risoluzione del caso.
Querelato anche da Montagna, Muto in principio ritrattò parzialmente le proprie tesi, affermando che erano prodotti dell'immaginazione, salvo poi rinnegare la ritrattazione. Anche la Bisaccia, impaurita e forse minacciata, smentì le sue dichiarazioni e il testo di Muto.

La deposizione di Moneta Caglio
Dopo il racconto della Bisaccia, una seconda ragazza rilasciò un'altra deposizione compromettente. La donna, Maria Augusta Moneta Caglio Bessier d'Istria, detta Marianna, Annamaria o il cigno nero (per via del lungo collo e dell'abito nero che indossava quando venne ritratta la prima volta), era figlia di un notaio di Milano e come la Bisaccia stava cercando di "arrivare" al mondo del cinema. Proprio a Roma era diventata amante del Montagna, marchese di san Bartolomeo, e personaggio attorno a cui ruotava il mondo dei VIP romani. Già la ragazza aveva incontrato il procuratore Sigurani due volte ed in entrambe le volte aveva reso una deposizione sulla vicenda, sempre ignorata.
Andreotti e Piccioni
La Caglio affermava che la Montesi fosse diventata la nuova amante di Montagna e di essere a conoscenza della verità dei fatti: tornata dal padre a Milano, si rivolse allo zio, parroco di Lomazzo, per chiedere istruzioni su come agire. Il sacerdote indirizzò la ragazza da un sacerdote gesuita, padre Alessandro Dall'Oglio, al quale la Caglio consegnò un memoriale in cui confermava la responsabilità di Piccioni e Montagna secondo quanto scritto dai giornali.
Tramite l'opera di Dall'Oglio, il documento arrivò ad Amintore Fanfani, allora Ministro degli Interni, e contribuì a far sospendere il processo per il giornalista Silvano Muto: ormai la teoria non era più la bizzarra invenzione di un giornalista provocatore. Una copia del memoriale venne inviata dalla Caglio anche al Papa. Il memoriale fu presentato anche a Giulio Andreotti, che in un articolo intitolato La congiura contro Piccioni? Falsità così lo rammenta: «Quando un padre gesuita venne al Viminale a farmi leggere l'esposto di una sua penitente (o qualcosa di simile) [...] lessi le prime due righe e gli dissi che non solo non lo trasmettevo a De Gasperi, ma lo classificavo tra quelle perdite di tempo che a Roma diciamo che servono a Natale a fare ora per la Messa di Mezzanotte»

Moneta Caglio

Una parte della Democrazia Cristiana tuttavia tendeva a screditare la testimonianza sulla base di presunti legami tra la Caglio e una corrente interna alla DC stessa ed avversa a Piccioni.

Ripartono le indagini
In seguito alla diffusione del memoriale, la Caglio venne interrogata segretamente da Umberto Pompei, colonnello dei carabinieri, che ebbe con lei due incontri. Dal memoriale emergeva anche il nome del capo della polizia Tommaso Pavone, a cui Montagna e Piccioni si sarebbero rivolti in cerca di protezione.
Il 2 febbraio 1954 L'Avanti pubblicò una nota secondo cui il nome di Piccioni sarebbe stato fatto da Giorgio Tupini, in quel momento sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e figlio del ministro Umberto Tupini, in una mossa a sfondo politico. Intanto, Piccioni padre fu confermato al ministero degli esteri del nuovo governo.
Nel frattempo Pompei aveva indagato sui personaggi coinvolti: il 10 marzo riferì in un rapporto, che Montagna era stato un agente dell'OVRA e un informatore dei nazisti, attività che avevano portato al suo arricchimento. La notizia, seppur poco pertinente con il caso, suscitò grande scalpore e contribuì alla fama di Silvano Muto. Lo stesso giorno, durante un'udienza in aula sull'argomento, i parlamentari comunisti protestarono urlando «Pavone, Pavone» a fronte delle richieste di fiducia nelle istituzioni avanzate da Scelba.
Il giorno successivo, Pavone si dimise dalla carica e il governo affidò al ministro Raffaele De Caro un'indagine sull'operato della polizia nella vicenda.

La stampa e il Partito
Pietro Nenni il 14 marzo 1954 dalle colonne dell'Avanti! ribatté alla teoria innocentista che vedeva gli esponenti della DC come vittime di un complotto, sottolineando come da tempo una parte della stampa, la Chiesa e alcuni organi privati stessero mobilitandosi contro la sinistra parlamentare allo scopo di screditarla e indebolirla.
Palmiro Togliatti su l'Unità invocava una «...lotta contro l'omertà e la corruzione [...] in qual modo il regime clericale possa giungere ad un crollo»: il riferimento al caso Montesi e alla DC era palese e le allusioni al fascismo e alla sua caduta, presenti nell'articolo, erano chiari richiami al coinvolgimento di Montagna nel regime fascista.
Paese Sera il 17 marzo 1954 pubblicò uno scoop sensazionale: una foto del presidente del Consiglio Scelba ritratto insieme a Montagna alle nozze del figlio di un deputato democristiano e la tesi della "pastetta" politica prese sempre più piede.
Il Giornale d'Italia annunciò in un articolo l'emissione di un mandato di cattura nei confronti di Ugo Montagna, che letta la notizia si recò spontaneamente in carcere. Agli ufficiali carcerari, tuttavia, non risultava alcun ordine di carcerazione e Montagna venne congedato.

Verso il processo
Il magistrato della sezione istruttoria della Corte d'appello di Roma, Raffaele Sepe, cominciò le indagini processuali, esumando la salma della Montesi e ordinando perizie ed interrogatori. Molte delle accuse a personaggi secondari e solo vagamente correlati alla vicenda caddero, ma da questa fase parve emergere un disegno preciso che avrebbe legato Piccioni, Montagna e i vertici delle forze dell'ordine romane.
Il 26 marzo 1954 il caso Montesi fu ufficialmente riaperto dalla Corte d'Appello di Roma. Piero Piccioni e Ugo Montagna furono arrestati, rispettivamente con l'accusa di omicidio colposo e di uso di stupefacenti il primo, e di favoreggiamento il secondo: furono inviati al carcere di Regina Coeli (Piero Piccioni otterrà la libertà provvisoria dopo tre mesi di carcere preventivo). Con loro venne arrestato il questore di Roma, Saverio Polito, imputato di favoreggiamento, e altri nove personaggi coinvolti nei fatti vennero imputati, tra cui il principe Maurizio d'Assia.
Il 19 settembre 1954 lo scandalo era tale che Attilio Piccioni si dimise dalle cariche ufficiali.

La pista dello "Zio Giuseppe"
Nonostante tutto però, i genitori di Wilma Montesi erano certi dell'innocenza di Piero Piccioni. E il 30 settembre su Il Messaggero il giornalista Fabrizio Menghini (che aveva seguito il caso con continuità) avanzò la velata ipotesi che vi potessero anche essere indizi in un'altra direzione, ovvero indizi che avrebbero potuto accusare il giovane zio della vittima, Giuseppe Montesi. Il giovane sarebbe stato molto attaccato alla ragazza, se non addirittura invaghito di lei, e possedendo un'auto avrebbe potuto portarne il cadavere sul luogo del ritrovamento.
L'ipotesi venne avanzata con tono sarcastico, ma fu presa seriamente dall'opinione pubblica per via delle parole del leader socialdemocratico Giuseppe Saragat, che su'La Giustizia affermò che il caso era vicino ad una svolta drammatica e alla rivelazione del colpevole.
Anche il comportamento evasivo di Giuseppe Montesi contribuì a rendere credibile una tesi basata su mere illazioni: inizialmente, infatti, egli non volle dire dove si trovava la notte dell'omicidio. In seguito, nell'interrogatorio coi giudici, Giuseppe Montesi ammise che stava trascorrendo la serata con la sorella della sua fidanzata.

Lo scandalo Sotgiu
Sotgiu
Liliana Grimaldi moglie di Sotgiu
Il 16 novembre 1954 un ulteriore scoop scosse il caso: due giornalisti di Momento Sera, impegnati in un'inchiesta sulla morte di Pupa Montorzi (una ragazza morta per abuso di droga in una situazione apparentemente simile allo scenario "capocottaro" ipotizzato per il caso Montesi) scoprirono una casa d'appuntamenti a Roma in via Corridoni 15. Durante un appostamento, notarono Giuseppe Sotgiu, uomo politico di spicco del Partito Comunista ed avvocato difensore di Silvano Muto. Sotgiu venne fotografato mentre entrava nel bordello in compagnia della moglie ed emerse che questa vi si recava per copulare con alcuni giovani, tra i quali un minorenne, consenziente il marito. Il fatto intaccò pesantemente la credibilità dei principali accusatori.

La conclusione del caso
Il 20 giugno 1955 Piccioni, Montagna e Polito vennero rinviati a giudizio da Sepe presso la Corte di Assise, iscritti tra gli imputati per un processo penale sulla vicenda. Il 21 gennaio 1957 a Venezia si aprì il dibattimento.
Montagna negò di aver conosciuto la Montesi, e Polito, ormai in pensione, confermò la tesi ufficiale dell'incidente in mare.
Alida Valli depose in favore di Piccioni, confermando che i giorni precedenti il decesso della Montesi, Piero Piccioni era con lei a Ravello. Il musicista lasciò quella località lo stesso 9 aprile, rientrando nella sua casa di Roma poco dopo le 14 e poche ore dopo si trovava nello studio di un noto clinico per una visita alla gola, ove lamentava un forte dolore. Dietro suggerimento del medico si era messo a letto e ci rimase anche il giorno successivo, come potevano testimoniare l'infermiere, che gli fece l'iniezione quella sera stessa, un medico che lo visitò il giorno dopo e gli amici che si recarono in visita a casa sua. L'alibi comunque era già noto agli inquirenti nella fase istruttoria.
Alle 00.40 del 28 maggio il tribunale riconobbe gli imputati innocenti e li assolse con formula piena.





Muto, Bisaccia e Moneta Caglio a processo
Il processo a Muto (difeso anch'egli da Sotgiu) e alla Bisaccia per le accuse di calunnia si concluse con una condanna a dieci mesi per quest'ultima, con pena sospesa grazie alla "condizionale". Anche la Moneta Caglio fu sottoposta a processo, ma non venne condannata.


La verità sulla vicenda è ancora ignota.



Piero Piccioni anni 70










martedì 19 novembre 2013

ENRICO CUCCIA



Enrico Cuccia

nacque a Roma (Roma, 24 novembre 1907) da genitori siciliani, la famiglia paterna era originaria arbëreshë di Mezzojuso. La SUA famiglia ha origini greco-albanesi, MA e Perfettamente Integrata Nella buona borghesia di Palermo. Un amico di famiglia "Guido Jung, classe 1876, gocce di sangue ebraicotriestino ... suggerisce Un Papà Beniamino Cuccia ... di Trasferirsi in Roma ... agevolandolo nell'assunzione al Ministero delle Finanze. DOPO Aver conseguito la laurea in Giurisprudenza, Cuccia fu assunto dall'IRI Nella sede distaccata di Londra.
Nell'ottobre del 1932 diviene "impiegato del servizio operazioni Finanziarie e Cambi con l'estero" Presso la Banca d'Italia.
Nel giugno del 1934, Guido Jung trasferisce Cuccia all'IRI, gestito da Alberto Beneduce. "Se Jung proviene Dalle schiere liberali Beneduce ha Alle spalle delle Nazioni Unite Passato socialriformista, corroborano da alte Cariche Nella massoneria ... Il napoletano Beneduce e Il massimo, e sempre ascoltato, consigliere economico del duce Che lo riceve quotidianamente. Ministro delle Finanze ( Jung ndr) e presidente dell'IRI (Beneduce ndr) Viaggiano comunque in perfetta sintonia (...).
E Sicuramente velleitario il Tentativo dell'Italia dei Primi anni Trenta di stabilire ONU rapporto privilegiato con Gli STATI UNITI D'America del ... A farsene Carico non e Il Governo, bensi quell'establishement economico Che ha Messo le querelare Competenze al servizio del fascismo , pur non condividendone l 'ideologia antiliberale. Se Jung ha da rassicurare i circoli finanziari colomba forte e L'influenza ebraica, ONU Beneduce toccano i Massoni ". 
Galli ha scritto: "[Cuccia] Crede in Dio, e osservante, ma la SUA Fede e Laica, calvinista, lontana anni luce da OGNI forma di clericalismo e d'ingerenza della Chiesa nda Pubblici affari: Nessun prete-trafficante varcherà mai la Soglia di via Filodrammatici ".

Esperienza amministrativa regime Nel fascista

Nel 1936, fu Inviato dal sottosegretariato per Gli scambi e per le valute in Africa orientale italiana (AOI) con l'Incarico di Creazione e le Delegazioni del sottosegretariato e con Quello informale di stroncare Traffico ONU clandestino di valute.
Alberto Beneduce
Enrico Cuccia lavorò in Africa orientale italiana Insieme al Suo collega Giuseppe Ferlesch sotto le direttive di Alberto D'Agostino, capo della Direzione Generale delle valute del sottosegretariato, al vertice del quale C'era Felice Guarneri. Il Suo lavoro Venne accolto favorevolmente in Italia: il 1 luglio 1937, Ritornato in Italia per Qualche giorno, Enrico Cuccia fu Ricevuto Insieme a Guarneri da Benito Mussolini. Il giorno dopo l'incontro con il Duce, il Corriere della Sera Pubblico ONU articolo Nel Quale si leggeva Che:. "Il Duce ha elogiato il dottor Cuccia per il lavoro compiuto in circostanze particolarmente Difficili ..." Si trattava di segnale di un, sottinteso ma chiaro, destinato a Coloro Che premeditavano di attentare all'incolumità di Cuccia e in Particolare fu ONU Avvertimento Diretto al viceré d'Etiopia Rodolfo Graziani e al Suo entourage Che non avevano gradito le intromissioni del Giovane Funzionario in Una Gestione amministrativa Che Cuccia sospettava Fosse caratterizzato da graui all'irregolarità Finanziarie e da Una interessata tolleranza Nei Confronti dei Trafficanti di Valuta. Nonostante la Situazione disagiata e pericolosa Nella Quale visse Durante il Periodo di permanenza in Africa Orientale, nonostante le Difficoltà e Gli ostacoli, Cuccia operò con grande serietà e severità, stilando Relazioni Tecniche precise ed esaustive Che puntualmente inviava ONU D'Agostino, ricevendone predette predette Indicazioni e Continui incoraggiamenti.
Nel 1938, con le leggi Razziali, Le cose si mettono male per Jung, Che essendo ebreo Vienne emarginato. Beneduce invece Che E soltanto ... Massone Resta in sella e DEVE intervenire rendendo ufficiale il fidanzamento Tra Enrico Cuccia e SUA figlia, Che si chiama Libera Idea Socialista. Egli Invita l'amico Raffaele Mattioli, Amministratore Delegato della Comit, ad Assumere il futuro genero Enrico Cuccia, col rango di dirigente, a Milano, nell'ufficio di piazza Scala colomba gravitano Ugo La Malfa, Giovanni Malagodi, Cesare Merzagora, Adolfo Tino, "Vale a dire Una buona fetta della futura classe dirigente" liberal "che ritiene il fascismo Una dolorosa parentesi della storia".
Carlo Bombieri, collaboratore di Cuccia alla Comit, dadi Che Cuccia AVEVA "confini un'ambizione senza, spietata, incontenibile Qualche volta, quattr'occhi un, non esitava a manifestarla:. L'Aspirazione al Potere da Realizzare con il maneggio del Denaro, in Quanto Nei Confronti della Politica nutriva ONU assoluto Disprezzo Intellettuale, generalmente non si sbilanciava,.. (...) Detestava il fascismo ma Teneva in RISPETTO il Concetto di Autorità AVEVA Una Concezione castale della Società, retta da Onu "uomo forte" Con un'eccezione: il Papato di Roma non andava a genio Gli ".

Antifascismo Durante la Seconda guerra Mondiale

Durante la Seconda guerra Mondiale si Reco Spesso in Svizzera allo Scopo di sostenere la Resistenza, per la quale anche operò da staffetta con la COPERTURA fornitagli dal Fatto di Essere ONU Funzionario di banca di alto Livello; Un viaggio in Una Lisbona Nel 1942 si FECE latore di ONU Messaggio segreto degli oppositori filobritannici Adolfo Tino e Ugo La Malfa al conte Sforza, in esilio NEGLI STATI UNITI: se ne FECE TRAMITE il diplomatico statunitense George Kennan.

Nascita di Mediobanca

Mattioli
Fino dal 1944, Enrico Cuccia Seguì la vicenda di Mediobanca, quando Mattioli propongono ONU "ente Specializzato per i cosiddetti Finanziamenti a medio Termine" (in Sostanza, ONU modo per Superare la legge bancaria del 1936). In Un convegno tenutosi Nel 1986 Enrico Cuccia descrisse con precisione le Difficoltà incontrate Nella Realizzazione del Progetto, il Che AVEVA Richiesto Oltre 18 mesi di laboriose trattative, SIA per trovare dei partner di di Che accettassero di Entrare Nel Capitale del nuovo istituto Sia per Superare le obiezioni di chi, arrivato il governatore della Banca d'Italia Luigi Einaudi, temeva il Che Dietro questo Progetto vi Fosse di Fatto il ritorno della Comit alla Struttura della banca mista: Perché Ecco Cuccia organizzò il lavoro dell'Istituto Che Gli Venne Affidato da ONU lato senza Tariffa una azioniste Meno delle Bin, ma dall'altro lato tenendo le medesime largamente all'oscuro delle Decisioni Che la banca Stava per prendere, apprendendole generalmente ONU Cose Fatte.


La Gestione di Mediobanca

Il 3 novembre 1944 FECE altera parte della Delegazione italiana, COMPOSTA Tra Gli Altri da Egidio Ortona e Raffaele Mattioli, il Che si reco a Washington con l'Obiettivo di richiedere al Governo statunitense Aiuti per la ricostruzione post-bellica italiana.
Nell'aprile 1946, Cuccia divenne il Direttore generale della nuova Società Mediobanca, posseduta da Credito Italiano, Comit e Banco di Roma. Nel 1949 diviene Amministratore Delegato anche.
Cuccia rassicurava l'Intero arco costituzionale: Gli americani, data il Suo Passato resistenzial-azionista, i comunisti Che lo ritengono Una longa manus di Mattioli, la DC e De Gasperi, Dati la SUA amicizia col cardinale Spellman.
"L'unico a non piaceva era cui Mario Scelba , (...) "Ossessionato" dalle ombre massoniche aleggianti nel Mondo Finanziario e in particolar modo su Coloro Che avevano gravitato Nel Partito d'Azione.
DOPO AVER Cercato di opporsi alla riconferma di Mattioli alla Comit, Scelba s'esercitò anche Nel boicottare Cuccia-Mediobanca; ma subi altro ONU smacco, Anche per l'Intervento di ... don Luigi Sturzo, il Che AVEVA Trovato ONU alleato Nel Giovane finanziere Nella lotta Che s'andava profilando con Enrico Mattei ... aedo dello statalismo economico.
La "guerra perduta" di Mario Scelba ... non impedi Che Attorno alla Comit e ancor Più Una Mediobanca continuasse ad aleggiare ... l'alone massonico " 
Mediobanca divenne in breve tempo il centro del mondo Finanziario e politico italiano. Il caso Più Importanti, Tra le numerose Grandi transazioni economico-Finanziarie gestite da Cuccia e da Mediobanca, fu Sicuramente la scalata alla Montedison di Giorgio Valerio da altera parte dell'ENI di Eugenio Cefis .
L'istituto costitui il perno di Sistema delle Nazioni Unite di Alleanze, Che Attraverso Partecipazioni incrociate e patti parasociali garantiva Stabilità degli Assetti proprietari dei maggiori Gruppi industriali. Mediobanca accrebbe Anche la gamma delle Sue Partecipazioni azionarie, Che diventarono veri certi fi cati di Garanzia per le Imprese Partecipa.
Un altro Aspetto Importanti dell'Azione di Cuccia fu l'Apertura Internazionale Che avvenne Nel 1955, DOPO contatti intensi con André Meyer della Lazard di New York. Nel Suo Viaggio statunitense del 1965 Antonio Maccanico Ebbe modo di apprezzare la considerazione che sì Avessé Una Wall Street per Enrico Cuccia, il cui Nome era all'epoca in Italia quasi del tutto sconosciuto al di fuori della ristretta cerchia degli addetti Ai Di Lavori.
Nel 1982 Cuccia Lascio la carica di Direttore generale, restando però Nel CDA Fino al 1988 divenne presidente onorario QUANDO, ma resto comunque Uno degli Uomini Più influenti, inavvicinabile Dai Giornalisti.
A Partire Dalla "morte" di Enrico Mattei (1962) SEMBRA Che in Italia regni un'assenza di strategie alternative economico-Finanziarie a Mediobanca. Chi ci ha provato (Sindona, Calvi) e Stato ... "sconfitto" ...

Cuccia e la Massoneria

Se si prescinde Dalla possibile influenza del suocero Alberto Beneduce, Che Massone lo era Certamente, testimonianze serie sull'appartenenza di Cuccia alla massoneria ci vengono da Michele Sindona e Dalla Vedova di Roberto Calvi , la signora Clara. 
Galli Scrive: "In incontro ONU all'Hotel Pierre di New York, nell'estate del 1976, Sindona km Disse:" Mattioli ha Creato Mediobanca per togliersi Dai Piedi Cuccia Che e Persona pericolosa ... Lavora per Portare la finanza italiana sotto il Dominio della Grande Loggia "innanzi alla commissione Parlamentare d'inchiesta Sulla loggia massonica. P2 , Clara Calvi ha dichiarato: «Gli QUANDO (al marito Roberto nda) domandavo perchè Cuccia e Sindona, pur essendo Massoni, non andavano d'Accordo, mi rispondeva : "Appartengono a causa logge diverse» ". 
Maurizio Mattioli, il figlio di don Raffaele, ha detto al Galli: "Quando le Discussioni Politiche si facevano Più aspre ... l'ho sentito esclamare con rabbia:" Ci vorrebbe Clemenceau UN "... Un Riferimento al Clemenceau ... radicale, Massone legato al Grande Oriente di Francia, il Che AVEVA Chiesto Ai Fratelli La "discesa nell'arena" per affermare, Nella Società e Nella politica, i "Valori" delle logge? ".


Il caso Sindona

Sino alla Metà degli anni Cinquanta, Cuccia e Sindona si erano ignorati «sino a far nascere l'impressione di un'assurda gelosia fra siciliani ... L'incontro del disgelo avviene in Mediobanca ... poi ricambiato in via Turati ... Un Sindona Vienne offerto di "collaborare"; e lui Risolve magistralmente ONU Problema fiscale della Fidia ... E solista Una breve parentesi di pace: la rissa riesplode quando Marinotti Propone di cooptare Sindona Nel consiglio di Amministrazione della SNIA Viscosa DOPO Aver ottenuto il beneplacito di Tino (...).
Ma il guaio grosso scoppia quando Sindona Tenta di "bidonare" la Sofina, truccando i Bilanci. Però alla Sofina si TROVA provengono Direttore generale Paul Boel. Per TOGLIERE il figlio Dai guai il padre corre da Andrè Meyer, Suo amico fraterno, Che lo passa a Cuccia. "Vienne predisposta Una transazione, ma Sindona s'intestardisce.
La SUA provocazione mirata Appare: Dimostrare Che il banchiere di via Filodrammatici contava in patria Vienne scartina Una Una briscola. Messo alle strette Dalla Corte arbitrale di Ginevra, Sindona Sarà costretto a "conciliare" versando mezzo miliardo di penale. Poco per il Portafoglio, moltissimo per l'immagine. Non ammaestrato Dallo smacco, ci riprova. C'è in ballo l'Acquisizione dell'Americana McNeil & Libby ... Sindona, ignorando le sollecitazioni di Cuccia, anzichè rivolgersi a Meyer Che pretende di controllare la piazza di New York, opta per Un Altro filone della Finanza Ebraica, La Lehman Brothers.
Meyer, indignato, DOPO Aver sottoposto Sindona Una sorta di Processo Una Presso la Lazard di Parigi, sentenzia Che Debba Essere Messo al bando ... lo snodo Cruciale è qui: "scomunica" Nella comminata da Andrè Meyer e ratificata, a New York, in ONU vertice della Confraternita degli Gnomi, dove si decide Che Nella "provincia Italia" vi SIA spazio Unicamente per Mediobanca ".
Tuttavia si dissociano Sia i Lehman SIA Gli Hambro, ndr Anche ALCUNI Esponenti della Continental Illinois. Tra i consulenti legali di questa cordata anti-Meyer vi e Richard Nixon.
"Si Tratta di avvenimenti Importanti, Che dimostrano l'inesistenza, almeno in questa fase, di qualunque demarcazione tra" finanza laica "(Mediobanca) e" finanza cattolica "(Sindona). C'è Piuttosto Uno scontro di Tra Meyer-Lazard e il "resto degli Gnomi", Che però è Estremamente disarticolato (...).
Per Quasi un decennio nè la Banca d'Italia nè Gli industriali nè i "moralisti" Cesare Merzagora e Raffaele Mattioli prenderanno Apertamente Posizione Tra Cuccia e Sindona. Non Che rifiutino di cogliere le reali Dimensioni del contrasto (la conquista del monopolio della Gestione degli affari finanziari), il peccato lo vedono troppo bene, ma giudicano Che La soluzione Migliore ... sia il divide et impera.
D'altra parte ... Michele Sindona ... affascinava ... spadroneggiava Nei salotti milanesi ... Dicendo peste e corna di Cuccia, MA anche Facendo sfoggio di cultura; da Nietzsche allo Spengler del Tramonto dell'Occidente ... Cuccia Appare in difficolta. Lui Che non frequenta i salotti, quando Gli riferiscono dell'esibizionismo del rivale, si Limita a ribattere ... in inglese: inaffidabile, inaffidabile. Per chi CONOSCE la fraseologia degli Gnomi, nessuna accusa Finanziere PUÒ Suonare altrettanto nefasta. Ma perché si cominci a prenderne Atto occorre Che Sindona scivoli Silla SUA STESSA arroganza ".
Sindona, Una Partire dal 1967 cerca di espugnare le roccaforti causa del Potere economico italiano: l'Italcementi del cattolico ultraconservatore Carlo Pesenti, e la Bastogi. Ma Gli va male: Pesenti, oberato di debiti contratti Contratti, TROVA Solidarietà Inaspettatamente in Cuccia Allora sino Suo avversario, e grazie ONU TROVA Mediobanca i miliardi necessari per riacquistare le Azioni di Italcementi, senza doverle svendere, Venire pretendeva Sindona. Il Galli commenta: "Fosse davvero esistita Una" finanza cattolica "... Sindona sarebbe Stato Sicuramente sanzionato [per Aver aggredito il cattolicissimo Pesenti], ma questo non Accadde, e Pesenti MIGRO nell'Area cucciana".
Un tale punto INIZIA la partita Attorno alla Bastogi, l'offerta di Pubblico Acquisto (Opa) sindoniana scatta il 13 settembre 1971. "Per quattro giorni e Una pioggia di adesioni e delle Nazioni Unite coro di approvazioni. Ma al quinto giorno le adesioni si bloccano, per il boicottaggio dei Grandi azionisti. Cuccia ha Fatto intervenire Andrè Meyer. Sindona Corre in Roma-Capitale, ma PUÒ solista registrare Che persino Emilio Colombo, ... sul quale Faceva pieno affidamento, s'è schierato con Cuccia-La Malfa (...).
Sostenere che ... Sindona Fosse l'Espressione della "finanza bianca" E dunque, Almeno fino a Nightlife Bon Voyage questo punto, ... Una Distorsione della Realtà (...) "Sindona, ma DOPO lui Anche Roberto Calvi, rovinarono Una causa di erronee, spericolate operazioni sul Mercato dei Cambi ", ha Confermato Guido Carli (...).
La rottura definitiva Tra Cuccia e Sindona si consuma in Un salottino riservato del "Club 44" ... Qui pranza, solitamente il venerdì, la compagnia ... Sindona ..., Cuccia ..., Cefis. Finchè ONU venerdì Sindona si ritrova ... solo ... Pochi Minuti prima, in Mediobanca, Cuccia ha detto ONU Cefis Che Si e Stancato di sedersi col diavolo ".
Sindona Capisce Che Lo scontro è arrivato ad Un Punto di non ritorno, puo Contare oramai solista su Giulio Andreotti , su Anna Bonomi e su Gaetano Stammati (iscritto alla P2).
"Sconfitto, e pur costretto a riparare in America, Sindona non s'arrende ... Le prime Volte Iniziativa a coinvolgere Personalmente ... Cuccia risalgono alla primavera del 1977, Passano Attraverso la Minaccia di gran lunga rapire il figlio di Cuccia (. ..). Sindona conside Il presidente di Mediobanca Venire Uno dei peggiori Nemici (...). Le cronache dell'affare Sindona (a Partire Dagli Inizi degli anni Settanta sino alla morte, causata da Una tazzina di caffè avvelenato, Nel supercarcere di Voghera Nel marzo 1986) restano ... tuttora avvolte in Una pesante coltre di nebbia. Esattamente Venire era accaduto per "l'incidente" aereo di Enrico Mattei, e Venire accadrà per l'impiccagione di Roberto Calvi ... Resta la considerazione Che il destino ha sempre Assegnato Ai "grandi Nemici" di Enrico Cuccia Una tragica Uscita Dalla scena di questo mondo ".
Cuccia fu accusato da Michele Sindona di Essere il mandante di ONU complotto nda Suoi Confronti e di controllare segretamente il tribunale di Milano al Quale lui AVEVA Portato Documenti Una tesi Dimostrazione della SUA. Fu denunciato con l'accusa di falso in Bilancio e in Seguito prosciolto. Subi anche ONU attentato Che vide esplodere Sulla porta di casa del banchiere, in via Maggiolini, ONU ordigno probabilmente Lanciato lì da ONU emissario mafioso dello Stesso Sindona.
Testimonio Contro Michele Sindona Nel Processo sull'omicidio di Giorgio Ambrosoli , affermando Che l'imputato Gli Avessé confidato il Suo Progetto omicida. L'informazione fu Ricevuta nell'aprile del 1979 a New York, in Un incontro Diretto con Michele Sindona, MENTRE L'omicidio avvenne l'11 luglio dello Stesso anno: eppure Cuccia non avvertì le Autorità italiane né lo Stesso Ambrosoli. Alle Domande dei Magistrati rispose di Aver Mantenuto il silenzio per sfiducia nda Confronti dello Stato. Secondo il Suo legale Alberto Crespi, Cuccia Diede immediatamente Mandato a lui di Parlare con i Giudici Riguardo alle minacce di Sindona (le Quali Furono sottovalutate Dalla Procura) evitando di esporsi in prima persona temendo per l'incolumità dei Suoi figli. Questo Ricostruzione Vienne però smentita Dalla procura.




La morte

Nel 2000, Cuccia inizio a soffrire di Problemi cardio-respiratori e di insufficienza renale, il Che lo costrinsero a lunghe terapie e ricoveri, prima pressoterapia l'Ospedale Luigi Sacco di Milano, poi alla clinica fondazione Monzino di Meina. Trascorse i Suoi Ultimi Mesi Tra QUESTI nosocomi e le Sue Caso, una e Milano sul Lago Maggiore.
Morì nella notte del 23 giugno 2000. Per EVITARE UN eccessivo clamore mediatico, la famiglia decise di mantenere Uno stretto riserbo Sulle circostanze della morte SUA (Non è mai chiarito se il decesso Stato sopravvenne Nella SUA dimora di Meina o alla Fondazione Monzino) e decise di organizzare il funerale Già per l'indomani. Le esequie Furono officiare all'istituto delle Suore Poverelle di Meina, con la Partecipazione di pochissimi invitati, notabilmente l'Allora governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio, il Segretario in carica del Partito Repubblicano Italiano Giorgio La Malfa, l'Allora presidente di Mediobanca Francesco Cingano e L'amministratore delegato Vincenzo Maranghi, l'Allora presidente della Banca di Roma Cesare Geronzi, il costruttore Salvatore Ligresti e Cesare e Maurizio Romiti. La salma del banchiere fu poi tumulata Nel locale cimitero, pressoterapia la cappella di famiglia, ove Già riposava la moglie Idea, morta Nel 1996.
Poco DOPO la SUA morte il civico di via Filodrammatici dove ha sede Mediobanca fu ribattezzato dal comune di Milano "piazzetta Enrico Cuccia".

Il trafugamento della bara

Tra la sera del 14 e la prima mattina del 15 marzo 2001, una causa autotrasportatori piemontesi, Giampaolo Pesce e Franco Bruno Rapelli detto Crodino, Entrambi incensurati, approfittando di Un varco Lasciato aperto nel muro di cinta del camposanto di Meina, si introdussero al Suo interno e trafugarono la bara di Enrico Cuccia. Il Fatto Venne Scoperto Già l'indomani Dalla ex custode della locale villa della famiglia del banchiere, Ida Bentivegna, accortasi Che la lapide della Tomba Spaccata epoca in causa; la notizia Venne invece resa nota da solista il 18 marzo.
Le Indagini seguirono causa filoni: da UN lato il satanismo (la zona di epoca Meina Già Stata soggetta ad atti di profanazione di tombe perpetrati da sette sataniche) e dall'altro una richiesta di riscatto. Il 20 marzo fu spedita alla sede ANSA di Milano Una lettera di reclamo, in cui il mittente si autoaccusava del furto, affermando di Aver subìto graui Perdite Finanziarie per colpa di Investimenti su Titoli quotati a Piazza Affari e bollando Enrico Cuccia Come una delle cause della SUA Rovina. Vieni Condizione per la restituzione del feretro VENIVA domandato Che l'indice MIB30 risalisse a quota 50.000. Tale Messaggio non fu però ritenuto attendibile.
L'ipotesi del Tentativo di estorsione Prese Definitivamente piede allorchè, il 22 marzo, L'amministratore delegato dell'ACEA di Roma Paolo Cuccia (ritenuto erroneamente figlio del banchiere) ricevette Una lettera, spedita Dalla zona di Torino e malamente indirizzata Una via Momentana ( un Luogo di Nomentana), in cui per il riottenimento della bara si richiedeva il versamento di sei Milioni di franchi Svizzeri (circa 7 miliardi di lire) su ONU conto corrente cifrato aperto Presso la Banca Rotschild di Lugano. Allegate alla Lettera vi erano alcune foto Polaroid ritraenti la bara e la tomba aperta.
Dalla Lettera spedita una ea Paolo Cuccia e da Una successiva serie di Telefonate ARRIVATE all'ACEA Mediobanca per trattare il pagamento del riscatto (e partite da Una cabina telefonica STESSA, Tra i Comuni di Giaveno e Avigliana), verso fine marzo Gli inquirenti riuscirono a risalire ONU Giampaolo Pesce, Che Fu arrestato proprio MENTRE terminava un'ennesima Chiamata a Mediobanca. Tradotto in questura, Pesce FECE subito il Nome del Suo complice Rapelli, ndr Indico Il Luogo ove il feretro era nascosto: un fienile di Condove, in Val di Susa, non Lontano da casa SUA. Una volta recuperata, il 31 marzo, la salma fu riportata a Meina e ritumulata nia giorni dopo.
Rapelli, il Che si trovava in Inghilterra, fu poi arrestato il 1º aprile, al Suo ritorno a casa. I due sequestratori affermarono di Trovarsi in Condizioni di indigenza e di Aver DECISO di rubare la salma di Cuccia per caso, DOPO Aver letto il Suo Nome su ALCUNE riviste Economiche, avendo intuito Che la SUA famiglia Fosse Molto benestante. Il furto era Stato compiuto in Seguito riprese: la sera del 14 marzo i dovuti avevano abbattuto il muretto Che chiudeva la tomba, per poi Tornare a notte fonda a trafugare la bara (rompendo frattanto la lastra di marmo Che la copriva). Indi avevano Caricato la cassa su ONU pick-up, ma si erano accorti Che ESSA era troppo lunga, sicché la coprirono con Una Coperta e viaggiarono Fino al fienile Scelto Venire nascondiglio con il vano di Carico aperto.
Alla singolare vicenda e ispirato Anche il film L'ultimo Crodino Che per l'appunto riprende il soprannome del Rapelli.