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giovedì 9 gennaio 2014

SALVATORE "CICCHITEDDU" GRECO


Salvatore Greco  (Ciaculli, 13 gennaio 1923 – Caracas, 7 marzo 1978) era considerato un esponente di massimo prestigio all'interno di Cosa Nostra e per questo venne incaricato di guidare la "Commissione" creata nel 1957. Il suo soprannome "Cicchiteddu" significa "uccellino" in siciliano per via della sua bassa statura, anche se nei rapporti degli inquirenti dell'epoca era indicato erroneamente con il soprannome "Ciaschiteddu" (piccolo fiasco).
Era figlio di Giuseppe Greco, capo della cosca mafiosa di Ciaculli, che era imparentato alla lontana con il suo omonimo Giuseppe Greco, detto Piddu u' tenente, che controllava il vicino paese di Croceverde-Giardina.
Nel 1946 Piddu ‘u tenente si vendicò di un torto subito facendo uccidere Giuseppe Greco e suo fratello Pietro, rispettivamente padri di "Cicchiteddu" e del suo cugino omonimo Salvatore Greco, soprannominato "l'ingegnere" o "Totò il lungo": questi due omicidi diedero inizio ad un violento conflitto tra i Greco di Ciaculli e quelli di Croceverde-Giardina. La reazione dei Greco di Ciaculli non si fece attendere e poco dopo vennero uccisi due uomini di Piddu ‘u tenente. Dopo tutti questi fatti di violenza si arrivò al culmine di tutta la vicenda: il 17 settembre 1947, le due fazioni si affrontarono con bombe a mano e mitra nella piazza di Ciaculli; ci furono cinque morti, uno dei quali venne finito a coltellate dalla madre e dalla sorella di "Cicchiteddu".
Tutti questi avvenimenti costarono a Piddu u' tenente la convocazione da parte degli altri boss della mafia che lo obbligarono a riportare la situazione di pace fra le due fazioni. La pace era fortemente voluta anche da Antonino Cottone, capo della cosca di Villabate che fece intervenire il boss Joe Profaci, che da Brooklyn si precipitò a Palermo per porre fine allo scontro: la pace fra le due famiglie rivali fu raggiunta assumendo "Cicchiteddu" e il cugino Salvatore Greco "l'ingegnere" nell'azienda agrumaria di Piddu u' tenente, che produceva i famosi mandarini di Ciaculli, controllava la vendita all'ingrosso degli agrumi da loro prodotti, stabiliva il prezzo anche con la violenza e monopolizzava pure le forniture di acqua agli agrumeti della Conca d'Oro insieme al socio Antonino Cottone.


Lotta per il controllo dei mercati generali
Nel 1955 "Cicchiteddu" entrò in contrasto con Gaetano Galatolo, capo della cosca dell'Acquasanta, in seguito allo spostamento dei mercati generali di Palermo dal quartiere della Zisa all'Acquasanta: infatti Galatolo si rifiutava di sottostare ai prezzi imposti da "Cicchiteddu" e dal suo socio Antonino Cottone e di dividere con loro anche il racket del pizzo sui prodotti ortofrutticoli venduti all'ingrosso. Per questa sua opposizione, Galatolo venne ucciso e seguì un violento conflitto che vedeva contrapposte le cosche di Ciaculli-Croceverde e dell'Acquasanta, di cui rimasero vittime anche Cottone e il vicecapo di Galatolo, Nicola D'Alessandro, assassinato a colpi di lupara dopo aver preso il posto del suo capo; nel periodo successivo il conflitto venne risolto perché "Cicchiteddu" si accordò con Michele Cavataio, nuovo capo dell'Acquasanta, per dividersi i racket dei mercati generali.

A capo della "Commissione"
Nel periodo successivo "Cicchiteddu" e il cugino Salvatore Greco "l'ingegnere" si associarono ai mafiosi Angelo La Barbera, Rosario Mancino, Antonino Sorci, Pietro Davì, Tommaso Buscetta e Gaetano Badalamenti, con cui si occuparono del contrabbando di sigarette e stupefacenti, mantenendo contatti con il corso Pascal Molinelli e il tangerino Salomon Gozal, indicati dalle indagini dell'epoca come i maggiori fornitori di sigarette ed eroina alle cosche siciliane.
"Cicchiteddu" venne sospettato di essere presente alla riunione fra mafiosi siciliani e americani tenutasi fra il 12 ed il 16 ottobre 1957 presso l'Hotel delle Palme di Palermo. Joseph Bonanno, Lucky Luciano, John Bonventre, Frank Garofalo, Santo Sorge e Carmine Galante erano fra i mafiosi americani presenti mentre fra i siciliani erano presenti, oltre ai cugini Greco, Gaspare Magaddino, Giuseppe Genco Russo, Angelo La Barbera, Cesare Manzella e Calcedonio Di Pisa.
Uno dei risultati di queste riunioni fu la costituzione della "Commissione", a capo della quale venne eletto "Ciaschiteddu" per via del suo prestigio e della sua autorevolezza.
Secondo il pentito Tommaso Buscetta, "Cicchiteddu" fu tra i mafiosi coinvolti nell'omicidio di Enrico Mattei, il controverso presidente dell'ENI che morì in un misterioso incidente aereo il 27 ottobre 1962.

La prima guerra di mafia
Nel 1962 "Cicchiteddu", insieme al cugino Salvatore Greco "l'ingegnere" e ai mafiosi Cesare Manzella ed Angelo La Barbera, finanziò una spedizione di eroina, che venne affidata a Calcedonio Di Pisa, capo della cosca della Noce, il quale aveva l'incarico di consegnare la droga ai corrieri americani; Di Pisa aveva però consegnato ai soci una somma inferiore a quella stabilita adducendo di essere stato truffato dai corrieri americani. In una riunione della "Commissione" che doveva decidere sul caso, si stabilì che Di Pisa non era colpevole di aver sottratto una parte dell'eroina, ma i fratelli La Barbera rimasero insoddisfatti della decisione. Qualche tempo dopo Di Pisa venne ucciso e ciò provocò un conflitto che divenne noto come «prima guerra di mafia», che vedeva contrapposti i cugini Greco a La Barbera; il conflitto si concluse il 30 giugno 1963, quando un'autobomba esplose nelle vicinanze della casa di "Cicchiteddu" a Ciaculli, uccidendo 7 carabinieri accorsi per disinnescare la bomba. L'indignazione per la strage di Ciaculli provocò la reazione delle autorità e numerosi mafiosi furono arrestati. "Cicchiteddu" era pure ricercato dalle forze dell'ordine e quindi fuggì a Caracas, in Venezuela.


strage di ciaculli  salvatore greco


Il 22 dicembre 1968, "Cicchiteddu" venne condannato in contumacia a dieci anni di carcere al processo di Catanzaro contro i protagonisti della prima guerra di mafia. In appello venne però assolto.
Salvatore La Barbera, mandante dell’omicidio, è uomo di peso nel sodalizio mafioso che controlla Palermo città ed anche la persona che introduce, su raccomandazione di Vito Ciancimino, la famiglia dei corleonesi ai “piani alti” della gerarchia di Cosa Nostra. Si sente in diritto di far pesare il proprio potere e rifiuta la decisione della Commissione, nata solo nel 1958 come processo di modernizzazione e potenziamento del potere mafioso in Sicilia, e da lì a pochi anni anche in altre zone del Paese. Ma non basta, lo sgarro alla cupola mafiosa è stato troppo eclatante e la Commissione decide di punire chi ha disubbidito, mettendo in discussione il potere di controllo di quella struttura che poi, successivamente, sarà conosciuta soprattutto con il nome di “cupola”. Salvatore La Barbera sparisce con un altro mafioso, Primo Vinti. Lupara bianca per ordine dei Greco che rappresentano in quel momento il vertice della struttura di coordinamento e comando di Cosa Nostra. Dopo la morte del fratello, certa anche se non verrà mai ritrovato il corpo, Angelo La Barbera decide di rispondere e Il 13 febbraio un’Alfa Romeo Giulietta imbottita di esplosivo rade al suolo la casa di Salvatore "Ciaschiteddu" Greco a Ciaculli. Greco è all’epoca capo della "Commissione" della mafia, e certo non può accettare che si metta in discussione direttamente il suo potere in maniera così evidente e infatti risponde il 19 aprile, mandando due killer in pieno giorno a riempire di colpi di mitra la pescheria Impero in via Empedocle Restivo appartenente ai clan rivali. Poi tocca al boss di Cinisi Cesare Manzella, alleato dei Greco, ucciso con un’autobomba davanti al cancello di ferro della sua piantagione di limoni. E il 30 giugno dello stesso anno un’altra autobomba esplode a Ciaculli, uccidendo sette uomini delle forze dell’ordine. La repressione causata da questa strage è un colpo al traffico di eroina con gli Stati Uniti. Lo Stato, sembra, alzare la testa. Molti mafiosi vengono arrestati e il controllo del traffico rimane nelle mani di pochi latitanti fra cui i cugini Greco, Pietro Davì, Tommaso Buscetta e Gaetano Badalamenti. La guerra si conclude soltanto il 10 dicembre 1969 con la morte del boss Michele Cavataio, uno dei protagonisti di questo conflitto, ucciso all’interno di un ufficio di Palermo da alcuni killer camuffati da agenti della guardia di finanza (conflitto a fuoco conosciuto come “la strage di viale Lazio”). La pace mafiosa ha un nome e un capo: il mercato dell’eroina e Salvatore Greco. E un clan emergente, quello dei corleonesi di Totò Riina alleato con Liggio, è ormai riconosciuto da tutta Cosa Nostra come quello con la migliore capacità militare.
Il posto di Salvatore Greco al vertice della Commissione viene preso dal cugino, Michele detto “il papa”, che si allea con Riina. Dopo dieci anni di tregua armata riesplode la guerra fra i clan. Anzi, “la mattanza”.

In Venezuela
Nel 1970 "Cicchiteddu" soggiornò sotto falso nome a Zurigo, Milano e Catania per partecipare ad alcuni incontri insieme a Tommaso Buscetta per discutere sulla ricostruzione della "Commissione" e sull'implicazione dei mafiosi siciliani nel Golpe Borghese.





Nel gennaio 1978 "Cicchiteddu" tornò in Sicilia dal Venezuela per incontrare i boss Gaetano Badalamenti, Giuseppe Di Cristina e Giuseppe Calderone per discutere sull'eliminazione di Francesco Madonia, capo della cosca di Vallelunga Pratameno (provincia di Caltanissetta), il quale era strettamente legato a Totò Riina; "Cicchiteddu" però consigliò di rimandare ogni decisione a data successiva ma, ripartito per Caracas, vi morì prematuramente per cirrosi epatica, il 7 marzo 1978.


domenica 24 novembre 2013

MICHELE CAVATAIO "Il Cobra"



Michele Cavataio,


(Palermo, 1929 – Palermo, 10 dicembre 1969), è stato un criminale italiano, legato a Cosa Nostra.
Durante l'adolescenza, Michele Cavataio iniziò una serie di attività illegali nel mercato nero, come il furto di generi alimentari e benzina, diffuse durante il ventennio fascista, e per questo venne affiliato nella cosca dell'Acquasanta. Nel 1946 Cavataio venne assolto per insufficienza di prove per l'omicidio del costruttore Vincenzo Mercurio e nel 1949 venne condannato a due anni e sei mesi di carcere per furto aggravato; nel 1954 venne nuovamente arrestato per rapina pluriaggravata e assolto per insufficienza di prove.
Nel 1955 Cavataio venne sospettato di essere l'esecutore degli omicidi del suo capo Gaetano Galatolo e del suo sostituto Nicola D'Alessandro, assassinato invece nel 1956 a colpi di lupara, ma venne assolto per insufficienza di prove; Galatolo e D'Alessandro erano stati uccisi per ordine della cosca mafiosa dei Greco di Ciaculli-Croceverde, che erano entrati in contrasto con i due boss in seguito allo spostamento dei mercati generali di Palermo dal quartiere della Zisa all'Acquasanta. In seguito a questi due delitti, Cavataio prese il comando della cosca dell'Acquasanta ma denunziato e arrestato per associazione a delinquere, furto pluriaggravato, detenzione e porto abusivo di armi e munizioni, venendo inviato al soggiorno obbligato ad Anzi, in provincia di Potenza, da dove tentò di fuggire ma venne ripreso. Nel 1961 venne assolto per insufficienza di prove ed ottenne la revoca del soggiorno obbligato.
Inoltre Cavataio si rese responsabile dell'uccisione di Calcedonio Di Pisa, capo della cosca della Noce, sapendo che l'assassinio sarebbe stato attribuito al boss Angelo La Barbera e che il risultato sarebbe stato un conflitto tra questi e Salvatore "Cicchiteddu" Greco, capo della cosca di Ciaculli, che divenne noto come «prima guerra di mafia»; Cavataio approfittò della situazione di conflitto per sbarazzarsi dei suoi avversari e per queste ragioni si associò ai boss Pietro Torretta ed Antonino Matranga: gli omicidi compiuti da Cavataio e dai suoi associati culminarono nella strage di Ciaculli, in cui morirono sette uomini delle forze dell'ordine.
In seguito alla strage di Ciaculli, Cavataio si diede alla latitanza ma venne subito arrestato nel suo nascondiglio nel quale teneva anche una Colt Cobra, la sua arma preferita. Nel dicembre 1968 Cavataio venne condannato a quattro anni di carcere per associazione a delinquere nel processo svoltosi a Catanzaro contro i protagonisti della prima guerra di mafia ma, siccome aveva aspettato il processo in stato di detenzione, venne rilasciato immediatamente per aver già scontato la pena.
Dopo il processo, Cavataio tentò di partecipare alla ricostruzione della "Commissione" ma gli altri boss iniziarono ad avere sentore che Cavataio era il principale responsabile della prima guerra di mafia e quindi si decise di elimiarlo, formando un commando di killer scelti tra varie cosche mafiose: Totò Riina, Bernardo Provenzano e Calogero Bagarella della cosca di Corleone, Emanuele D'Agostino e Gaetano Grado della cosca di Santa Maria di Gesù e Damiano Caruso della cosca di Riesi.
"Michele Cavataio - ha detto Gaetano Grado - era un pericolo pubblico ed era nella nostra lista dei morti non solo perché voleva esercitare l'egemonia su Palermo centro ma perché uccideva gente tanto per fare: carabinieri e poliziotti, per esempio. Cosa nostra - ha aggiunto - non ammetteva che si uccidessero carabinieri e poliziotti: c'erano altri modi che adesso non posso dirvi a rendere inoffensive le istituzioni". Il 10 dicembre 1969 gli uomini del commando, travestiti da agenti di polizia, giunsero in un ufficio di un'impresa edile in viale Lazio, dove si trovava Cavataio insieme ai suoi uomini; armati di pistole, lupara e Beretta MAB 38, i killer aprirono il fuoco, uccidendo tre dei presenti e ferendone altri due mentre Cavataio tentò di reagire al fuoco con la sua Colt Cobra, riuscendo così a ferire Provenzano e Caruso e uccidendo Bagarella. Infine Cavataio rimase a terra ferito e Provenzano gli spaccò il cranio con il calcio della sua Beretta MAB 38, finendolo a colpi di pistola. Il massacro di Cavataio e dei suoi uomini venne soprannominato «strage di viale Lazio».

strage di viale lazio


«Appena lui gli spara (Provenzano a Domè, ndr) noi ci buttiamo dentro l' ufficio, io - Grado - col fucile riesco a tirargli le prime due fucilate a Michele Cavataio, era dietro la vetrata, riesco a pigliarlo in una spalla, però lui spara a me e io vengo ferito, che praticamente ancora c' ho del vetro nel nervo ottico dell' occhio destro... Io riesco a uscire fuori e gli grido a Damiano Caruso e a Calogero Bagarella (altri due del commando, ndr): "entrate che io non ci vedo più". Questi entrano e cominciano a sparare, al Bino Provenzano Michele Cavataio gli spara... è stato ferito. Il Cavataio spara pure a Bagarella e l' ha ammazzato... Caruso viene ferito». Anche Cavataio fu colpito a morte, e nessuno sa dire se Provenzano abbia recuperato dal suo cadavere il documento che cercava, l' organigramma mafioso disegnato dalla vittima; un pezzo di carta strappato con qualche nome di «uomini d' onore» fu trovato nel cestino dell' ufficio. Dal racconto del pentito e di altri collaboratori emerge invece la «tragedia» montata dallo stesso Provenzano dopo l' agguato; e cioè l' attribuzione dell' errore di aver sparato subito, scatenando il fuoco avversario, non a se stesso ma a Damiano Caruso, che di lì a poco sarà eliminato a Milano. Ne venne fuori la «vulgata» mafiosa di Provenzano che riparò all' errore altrui, riferita pure dal catanese Calderone che attribuisce a quell' episodio il soprannome ' u tratturi per il boss, il trattore che «traturau tutta a terra», ha fatto tutto. Poi ' u tratturi divenne ' u ragioniere, e infine il padrino pacificatore.

DOCUMENTI