Giovanni De Lorenzo
Figlio di un ufficiale di carriera dell'Arma di artiglieria, seguì ancora bambino il padre dalla natia Sicilia a Genova, dove si laureò in ingegneria navale. Successivamente divenne ufficiale di artiglieria. Durante la seconda guerra mondiale, col grado di tenente colonnello partì per la Russia con l'ARMIR, come vice-capo dell'ufficio operazioni.
Dopo l'8 settembre 1943 divenne partigiano, operando dapprima sul fronte alpino, poi nella Roma occupata, quale comandante del Centro R del Servizio Informazioni Militare; come tale, entrò in rapporti diretti e riservati con i vertici del CLN e del CLNAI, dai quali vennero poi molti importanti esponenti della politica repubblicana.
L'incarico al SIFAR (1955-1962)
Nel 1955 assunse il comando del SIFAR. Nel Servizio portò a compimento un annoso processo di trasformazioni strutturali e di indirizzo che dalle ceneri del precedente, esiguo e disordinato Servizio Informazioni Militari (SIM) generarono un organismo corposo, ordinato ed in parte finalmente anche efficiente. I rapporti tra De Lorenzo e Gronchi, presidente della Repubblica, furono stretti e frequenti (i loro mandati furono peraltro quasi contemporanei). Forse oltre le previsioni istituzionali.
Secondo il giornalista Renzo Trionfera, Enrico Mattei, favorevole ad un secondo mandato per il Presidente uscente (con cui aveva intessuto amicizia quando era ministro dell'industria ed egli lottava per non chiudere l'Agip), avrebbe offerto un miliardo di lire a Gronchi per corrompere alcuni elettori al fine di rieleggerlo. De Lorenzo, sempre secondo questa tesi, sarebbe stato colui che si sarebbe materialmente occupato della distribuzione delle bustarelle. Ma la vicenda era molto più complessa: il presidente uscente Gronchi, sponsor storico dell'ascesa di Mattei, competeva per il Quirinale con Segni e, con minori chances e solo come eventuale outsider, con Fanfani, allora presidente del Consiglio. Il 28 marzo del 1962 il Sifar di De Lorenzo annotava che Giuseppe Saragat aveva promesso all'Internazionale Socialista che Mattei sarebbe stato ridimensionato, anzi defenestrato, e che la non rielezione di Gronchi sarebbe stata condizione opposta dal leader socialdemocratico a Fanfani, "non proprio sfavorevole" ad un ricambio al vertice dell'Eni (Fanfani aveva ripetutamente sfoggiato notevoli virtuosismi dialettici per "spiegare" agli americani il cosiddetto "neoatlantismo" matteiano).
Un deputato vicino a Segni, Vincenzo Russo, fece pressione su Mattei affinché questi non favorisse la rielezione di Gronchi: Mattei sparì da Roma per alcuni giorni.Gronchi, come si sa, non fu rieletto, ma si è supposto che abbia continuato ad avere rapporti privilegiati con De Lorenzo, visto che il 22 luglio dello stesso anno inviò il suo segretario Emo Sparisci ad avvisare Mattei che l'OAS aveva ricevuto incarico di "convincere" il condottiero dell'Eni a desistere dalla lotta contro le "sette sorelle", informazione che solo dal Sifar poteva provenire al politico.
Tecnicamente ed operativamente, il Sifar funzionava molto bene sotto questo comando. Ricevuti ausilii tecnologici e istruttori da Servizi di paesi alleati, De Lorenzo siglò con questi accordi riservati come il Piano Demagnetize, nei quali il Sifar assumeva un ruolo, vista la portata, in precedenza riservato alle sole autorità politiche governative.
Iniziava per il generale italiano una fase in cui avrebbe assunto in proprio una sorta di "delega" alla sicurezza nazionale, scavalcando il governo, in genere poco interessato, e manlevando il Quirinale (altro polo istituzionale costituzionalmente interessato) dall'occuparsi dei dettagli.
Come l'ENI di Mattei in campo economico, così il Sifar di De Lorenzo in campo militare e strategico: entrambi sopperivano alla scarsa dedizione dei politici eletti per la gestione di materie vitali con l'accentramento di poteri in capo a due condottieri in molte cose simili.
Iniziava per il generale italiano una fase in cui avrebbe assunto in proprio una sorta di "delega" alla sicurezza nazionale, scavalcando il governo, in genere poco interessato, e manlevando il Quirinale (altro polo istituzionale costituzionalmente interessato) dall'occuparsi dei dettagli.
Come l'ENI di Mattei in campo economico, così il Sifar di De Lorenzo in campo militare e strategico: entrambi sopperivano alla scarsa dedizione dei politici eletti per la gestione di materie vitali con l'accentramento di poteri in capo a due condottieri in molte cose simili.
E, se a differenza del settore economico-petrolifero l'indirizzo di gestione strategica non era così nitidamente distinto da interessi potenziali di paesi terzi, come l'ENI, invece, anche il Sifar agiva con piena efficienza.
Non solo il Servizio disponeva di ottime informazioni dall'esterno, che a volte poteva addirittura scambiare con servizi omologhi di paesi alleati (fatto con pochi ed episodici precedenti nella storia delle varie organizzazioni di intelligence italiane), ma aveva informazioni estremamente particolareggiate su tutto quanto riguardava l'interno.
Non solo il Servizio disponeva di ottime informazioni dall'esterno, che a volte poteva addirittura scambiare con servizi omologhi di paesi alleati (fatto con pochi ed episodici precedenti nella storia delle varie organizzazioni di intelligence italiane), ma aveva informazioni estremamente particolareggiate su tutto quanto riguardava l'interno.
A posteriori si seppe infatti che durante il suo lungo comando (sette anni), De Lorenzo aveva iniziato una gigantesca opera di schedatura degli esponenti più in vista di tutte le istituzioni e di tutti i gruppi sociali (ma sarebbe più opportuno dire che aveva "ripreso" e abbondantemente superato una tradizione delle polizie nazionali che con l'OVRA di Arturo Bocchini e con l'archivio segreto di Benito Mussolini aveva già operato schedature di vasta portata).
Vi erano stati tentativi di ripristino di questa attività con Mario Scelba, ma nulla a paragone di quanto sarebbe successo con De Lorenzo.
Vi erano stati tentativi di ripristino di questa attività con Mario Scelba, ma nulla a paragone di quanto sarebbe successo con De Lorenzo.
Dopo il suo passaggio al Servizio, fu detto umoristicamente da Andreotti, in Italia di ignoto era rimasto solo il Milite: politici, sindacalisti, imprenditori, uomini d'affari, intellettuali, religiosi (Papa compreso, in tutto circa 4.500) e naturalmente militari (tutti gli ufficiali superiori, nessuno escluso), furono indagati, così come tutti gli stranieri, e su ciascuno si raccolsero notizie circa frequentazioni, preferenze religiose e politiche, abitudini pubbliche e private.
Avrebbe fatto non poco rumore, in seguito, la scoperta che di Saragat si fossero minuziosamente catalogate addirittura le marche e le quantità (non esigue) di alcoolici usualmente ingeriti. L'indagine, che veniva estesa anche alle amicizie dei soggetti osservati (secondo alcune stime, già 157.000 erano i "titolari" di fascicoli individuali), avrebbe quindi raccolto dati, direttamente o indirettamente su una quota davvero ingente della popolazione.
Avrebbe fatto non poco rumore, in seguito, la scoperta che di Saragat si fossero minuziosamente catalogate addirittura le marche e le quantità (non esigue) di alcoolici usualmente ingeriti. L'indagine, che veniva estesa anche alle amicizie dei soggetti osservati (secondo alcune stime, già 157.000 erano i "titolari" di fascicoli individuali), avrebbe quindi raccolto dati, direttamente o indirettamente su una quota davvero ingente della popolazione.
Dai circa duemila fascicoli stilati poco dopo la sua nomina, si passò ai circa 17.000 del 1960, finché nel 1962 il numero dei fascicoli ammontava a 117.000, stimati in 157.000 dalla commissione Beolchini; il giudizio (politico) della commissione sulla qualità delle schedature sarebbe stato in realtà poco lusinghiero, avendole definite forzosamente enfatizzate su difetti e chiacchiericci e sottintendendone quindi finalità ricattatorie. I fascicoli furono fatti distruggere da Andreotti nel 1974, al suo ritorno al ministero della Difesa. Divenuto generale di divisione, restò a capo del Servizio per effetto di un'intervenuta legge (che Montanelli definì ad personam) grazie alla quale il comando del Servizio veniva equiparato a comando di grande unità, consentendogli di conservarne la guida e di ricavarne vantaggi di carriera, come la possibilità di accedere a comandi prestigiosi.
Comandante dei Carabinieri (1962-1965)
Il 15 ottobre 1962 fu nominato Comandante generale dei Carabinieri, in un frangente internazionale di massima allerta (nell'imminenza della crisi di Cuba) e, per quanto riguarda l'Italia, solo pochi giorni dopo l'apertura del Concilio Vaticano II (che registra una certa freddezza fra Santa Sede e USA) e pochi giorni prima della morte di Mattei, che aveva da poco ottenuto un indiretto appoggio dall'Osservatore Romano.
Ottenuta quasi a fil di lama, strappata al generale Aloja per il decisivo parere del PCI, la nomina di De Lorenzo pareva incontrare il gradimento generale: delle sinistre, dei moderati e dei conservatori. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, Fanfani inviò subito in missione riservatissima ed urgente il fidato Ettore Bernabei, presidente della RAI, a conferire con Arthur Schlesinger, ufficialmente per trattare dei rapporti Stati Uniti-Vaticano.
Suo vice sarebbe stato quel Giorgio Manes con cui presto sarebbe entrato in urto e che poi avrebbe redatto una nota relazione accusatoria sui fatti dell'estate del 1964. Al comando generale di viale Romania, De Lorenzo si insediò con piglio e decisione, determinato a mettere ordine in una gigantesca struttura disorganizzata. Il suo comando è certamente quello più noto della storia dell'Arma ed è forse anche quello più ricco di significato, avendo apportato alla Benemerita innovazioni di primaria importanza fra le quali la reimpostazione in chiave militare dell'apparato.
Dal suo nuovo incarico riuscì a mantenere sempre un ruolo di primo piano nella vita della Repubblica, continuando ad avere contatti continui con il SIFAR ed il Quirinale. Ne sono testimonianza gli eventi svoltisi nel luglio 1964 in seguito alla crisi del Governo Moro I. Il giorno 15 De Lorenzo venne infatti ricevuto dal Presidente della Repubblica Antonio Segni nell'ambito delle consultazioni per la formazione del nuovo Governo. Segni lo ricevette (in realtà insieme ad altri militari a lui superiori) per sapere se a suo giudizio delle eventuali elezioni anticipate avrebbero potuto turbare l'ordine pubblico. De Lorenzo rispose che "la situazione è controllata e controllabile senza fare nulla, senza fare piani". Di piani, nello specifico di piani di contingenza, De Lorenzo si intendeva bene, essendo considerato il massimo artefice della programmazione e dello sviluppo del Piano Solo.
Capo di Stato Maggiore dell'Esercito (1965-1967)
Nel dicembre 1965 fu promosso Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Italiano, ancora una volta con il gradimento delle sinistre. La sua nomina fu infatti vista con favore oltre che da Aldo Moro, anche da esponenti della sinistra moderata come Pietro Nenni e Giuseppe Saragat (i quali si fidavano di un ex partigiano come De Lorenzo), ma fu invisa a qualche generale (come Paolo Gaspari, comandante della regione militare meridionale, che si dimise stilando una lettera estremamente polemica e che ebbe una moderata circolazione negli ambienti militari superiori).
Scontro Aloja - De Lorenzo
Passato (22 dicembre 1965) Giuseppe Aloja dal ruolo di comandante di Stato Maggiore-Esercito a quello (più importante) di capo di Stato Maggiore-Difesa (mentre allo S.M. Esercito gli subentrava De Lorenzo), ne approfittò per allargare a tutte e tre le forze armate l'esperienza dei corsi di ardimento, da lui stesso patrocinati inizialmente nel solo esercito, con accese reazioni da parte della stampa di sinistra.
Questo avvenimento scatenò peraltro un aspro conflitto tra i due generali, che avrebbe determinato il definitivo declino militare di De Lorenzo.
Un prodromo di tali ostilità fu rappresentato dal cosiddetto scandalo delle "mine d'oro": un curioso "pellegrinaggio" di mine da un capo all'altro del suolo nazionale, messo in atto per avvantaggiare talune imprese preposte allo sminamento.
Emerse il nome del generale Aldo Senatore, uomo assai vicino ad Aloja, e l'indiscrezione, come sarà dimostrato più tardi, scaturiva dal ricco "fondo documentale SIFAR" (dove regnava Allavena, alleato di De Lorenzo). In aprile 1966, De Lorenzo osò sconfessare la linea Aloja —che malgrado le polemiche non desisteva dai "suoi" corsi di ardimento— abolendoli per quanto riguardava l'esercito (di cui De Lorenzo, ricordiamo, era da poco divenuto capo di stato maggiore). Tale "insubordinazione" fu bollata dal furente Rauti come una "bordata neutralista".
Un prodromo di tali ostilità fu rappresentato dal cosiddetto scandalo delle "mine d'oro": un curioso "pellegrinaggio" di mine da un capo all'altro del suolo nazionale, messo in atto per avvantaggiare talune imprese preposte allo sminamento.
Emerse il nome del generale Aldo Senatore, uomo assai vicino ad Aloja, e l'indiscrezione, come sarà dimostrato più tardi, scaturiva dal ricco "fondo documentale SIFAR" (dove regnava Allavena, alleato di De Lorenzo). In aprile 1966, De Lorenzo osò sconfessare la linea Aloja —che malgrado le polemiche non desisteva dai "suoi" corsi di ardimento— abolendoli per quanto riguardava l'esercito (di cui De Lorenzo, ricordiamo, era da poco divenuto capo di stato maggiore). Tale "insubordinazione" fu bollata dal furente Rauti come una "bordata neutralista".
Al di là degli antagonismi personali, Aloja appariva l'araldo di una concezione —emersa dal Parco dei Principi,— che teorizzava la necessità di un più avanzato (anche psicologicamente) approntamento delle forze che avrebbero difeso l'Occidente in uno scontro di cui si presentiva l'imminenza, laddove De Lorenzo, pur essendo un indubbio "falco atlantico", non riteneva che le misure di sicurezza già esistenti richiedessero una speciale intensificazione. Nel maggio 1966 trapelò la notizia dell'improvvido acquisto dagli USA di carri M60A1, un tank inadatto al trasporto ferroviario per la sua mole incompatibile con le nostre gallerie.
Poiché tale fornitura militare era stata approvata da Andreotti ed Aloja, si trattava di un altro "siluro" del SIFAR, ma a cadere sarà la testa di Allavena: solo figuratamente, perché il generale destituito venne contemporaneamente riassegnato al Consiglio di Stato, dopo un infruttuoso tentativo di riciclarlo nella Corte dei conti. Ad ogni modo, la permanenza di Allavena al Consiglio di Stato terminerà nel 1967, per aver egli asportato numerosi fascicoli del servizio, prima di passare il testimone al suo successore, ammiraglio Eugenio Henke.
Il nuovo assetto del servizio segreto, nel frattempo ridenominato Servizio Informazioni Difesa (SID), non consentiva più di mantenere il coperchio sulle attività di dossieraggio care a De Lorenzo, che abbiamo ampiamente descritto. In particolare, gli risultò fatale il fatto di aver sistematicamente spiato e schedato lo stesso Capo dello Stato. Il 15 aprile 1967, dopo che aveva rifiutato un'uscita di scena più discreta ed onorevole,De Lorenzo fu destituito dall'incarico di capo dello Stato Maggiore dell'esercito.
Il nuovo assetto del servizio segreto, nel frattempo ridenominato Servizio Informazioni Difesa (SID), non consentiva più di mantenere il coperchio sulle attività di dossieraggio care a De Lorenzo, che abbiamo ampiamente descritto. In particolare, gli risultò fatale il fatto di aver sistematicamente spiato e schedato lo stesso Capo dello Stato. Il 15 aprile 1967, dopo che aveva rifiutato un'uscita di scena più discreta ed onorevole,De Lorenzo fu destituito dall'incarico di capo dello Stato Maggiore dell'esercito.
Nello stesso momento —essendo divenute parzialmente conoscibili le conclusioni della commissione Beolchini — suscitò notevole scalpore la rivista L'espresso titolando a caratteri cubitali, in copertina:
«14 luglio 1964: complotto al Quirinale. Segni e De Lorenzo preparavano il colpo di Stato.»
De Lorenzo poté comunque re-inventarsi un ruolo pubblico come parlamentare del partito monarchico, mentre —come abbiamo anticipato circa il "suicidio" del colonnello Rocca— la commissione parlamentare d'inchiesta, lungamente osteggiata dai democristiani, fu punteggiata da svariate morti singolari di testimoni (il 27 aprile 1969, quella del generale Ciglieri in uno strano incidente stradale; il 25 giugno dello stesso anno, il generale Manes colto da malore prima di aprir bocca in commissione).
Com'era anche prevedibile, la commissione parlamentare non approdò a risultati concreti,
e tese a ridimensionare la gravità delle anomalie riscontrate. Tra l'altro, in quella sede veniva disposta la distruzione dei trentaquattromila fascicoli illegali, ma evidentemente alle parole non seguirono i fatti fino al 1974, quando Andreotti ordinò di bruciarli davvero, e non si sa se in ogni caso ne siano circolate delle copie abusive anche molto tempo dopo.
Com'era anche prevedibile, la commissione parlamentare non approdò a risultati concreti,
e tese a ridimensionare la gravità delle anomalie riscontrate. Tra l'altro, in quella sede veniva disposta la distruzione dei trentaquattromila fascicoli illegali, ma evidentemente alle parole non seguirono i fatti fino al 1974, quando Andreotti ordinò di bruciarli davvero, e non si sa se in ogni caso ne siano circolate delle copie abusive anche molto tempo dopo.
I più stretti collaboratori di De Lorenzo, anche quelli di cui era emerso il coinvolgimento in azioni poco ortodosse, furono invece tutti promossi ad importanti ruoli di comando nell'Arma dei carabinieri.
Alle elezioni politiche del 19 maggio 1968 De Lorenzo fu eletto alla Camera dei deputati tra le file del Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica. Nel 1971 aderì al gruppo del Movimento Sociale Italiano, fino al 1972.
Nessun commento:
Posta un commento