La Rosa dei venti fu un'organizzazione segreta italiana di stampo neofascista legata al tentativo di colpo di Stato denominato "Golpe Borghese", ha annoverato nelle sue file esponenti di primo piano come Junio Valerio Borghese, Stefano Delle Chiaie e altri membri e simpatizzanti della destra eversiva italiana, oltre ad alti membri delle forze armate e dei servizi segreti.
L'esistenza dell'organizzazione fu portata alla luce da un'inchiesta incominciata nell'Ottobre 1974 della magistratura di Padova, nel nome del giovane magistrato Giovanni Tamburino.
Nello stesso mese Tamburino ordinò l'arresto di Vito Miceli, capo del Servizio Informazioni Difesa (ex SIFAR), ma la Corte di Cassazione renderà vano il lavoro del magistrato portando al trasferimento del dibattimento dalla città veneta a Roma.
Come sostiene il noto storico Paul Ginsborg, la scelta non sembra casuale dato che la magistratura romana si dimostra «meno tenace di Tamburino nel proseguire le indagini».
In un secondo momento inoltre, il pubblico ministero Claudio Vitalone invocherà il segreto di stato e sulla questione cadrà il silenzio.
Arnaldo Forlani a La Spezia (Novembre 1972) disse pubblicamente che vi erano prove che la vicenda fosse «il tentativo forse più pericoloso che la destra reazionaria abbia tentato e portato avanti dalla Liberazione ad oggi».
“Ricevetti un ordine di un mio superiore militare appartenente all’organizzazione di sicurezza delle forze armate, che non ha finalità eversive ma si propone di proteggere le istituzioni contro il marxismo. Questo organismo non si identifica con il SID. Mi risulta che non ne facciano parte solo militari ma anche civili, industriali e politici. soltanto un vertice conosce tutto e ai vari livelli si rinvengono dei vertici parziali. Tale organizzazione è militare, ma ce n’è una parallela di civili. Al vertice dell’organizzazione militare stanno senz’altro dei militari; non posso dire che si tratti della vecchia struttura di De Lorenzo: io posso conoscere un superiore e un inferiore a me, niente di più. (…) L’organizzazione serviva a garantire il rispetto del potere vigente e dei patti NATO sottoscritti riservatamente, nonché del regime sociale ed economico indotto da tali strutture. La filosofia ispiratrice è quella dell’appartenenza dell’Italia al blocco occidentale inteso come immutabile, mobilitato permanentemente contro il comunismo e finalizzato ad impedire l’ascesa alla direzione del paese da parte delle sinistre” (Amos Spiazzi, verbale 4 e 12 maggio 1974 )
Amos Spiazzi |
Analisi storico-politica
Si afferma oggi con sicurezza e senza perifrasi che la Rosa dei Venti sia stata un'organizzazione paragonabile a Gladio, una sorta di filiale locale di un servizio di intelligence NATO operante parallelamente —e su un piano superiore— rispetto ai servizi ufficialmente riconosciuti. Di questa realtà iniziatica si vuole vedere un riflesso nel provvedimento con cui nel 1978 la Corte di Cassazione tolse a Giovanni Tamburino la titolarità dell'indagine che minacciava di violare il mistero dell'apparato in esame. La vicenda investigativa nasce fortuitamente cinque anni prima.
Giampaolo Porta Casucci, un medico di La Spezia,[ un personaggio eccentrico che ostenta un folclore neonazista venuto inspiegabilmente a conoscenza di numerose informazioni sulla Rosa dei Venti, ne aveva dettagliatamente riferito alla questura della sua città , depositando una sorta di versione aggiornata del Piano Solo. L'approfondimento portò dapprima alla ribalta tre nomi di un certo spessore militare: generale Francesco Nardella, già comandante dell'Ufficio guerra psicologica di FTASE Verona; il suo successore in tale incarico tenente colonnello Angelo Dominioni; tenente colonnello Amos Spiazzi, vicecomandante del secondo gruppo artiglieria da campagna e comandante del relativo «Ufficio I». Sul piano giudiziario, si cominciò ad aprire uno squarcio di luce nel marzo del 1974, quando l'inquisito Roberto Cavallaro iniziò a collaborare con i giudici di Padova. Cavallaro nel 1972, dopo un breve idillio con l'MSI, era passato a posizioni più radicali, fondando (con altri) un'organizzazione di picchiatori della "Milano bene", che aveva un certo seguito soprattutto alla "Cattolica", il Gruppo Alfa. In quel momento usurpò la qualifica di magistrato militare, probabilmente con l'appoggio del SID. A suo dire, posto che la sua finta carriera si svolgeva a Verona, ovvero in una media città di provincia dove in teoria tutti si conoscono, ciò rappresentava la dimostrazione che le protezioni di cui beneficiava erano realmente valide. Fino al momento dell'arresto (novembre 1973) Cavallaro avrebbe partecipato a quello che lui chiamava colpo dello stato, agli ordini di un'imprecisata "organizzazione" che tirava le fila della Rosa dei Venti e di tanti altri gruppi eversivi di ogni colore, utilizzati prima di tutto come leve di provocazione (il disordine crea la necessità di riportare ordine). L'"organizzazione" —che non sappiamo se si potesse identificare con quello che tempo dopo la stampa battezzò "Supersid"o "Sid parallelo" — sarebbe nata contestualmente all'aborto del Piano Solo, ed avrebbe avuto una sorta di battesimo del fuoco nella controguerriglia in Alto Adige.
Forte di queste rivelazioni, Tamburino iniziò a torchiare Spiazzi, sino ad indurlo ad invocare un abboccamento riservato con Miceli, che però Tamburino avrebbe voluto trasformare in un confronto diretto tra i due ufficiali, reso tuttavia impossibile dal rifiuto di Miceli. Forse perché si era visto "scaricare" dai vertici dei servizi, Spiazzi uscì dall'ostinato riserbo mantenuto sino al momento, e rilasciò una serie di dichiarazioni che in gran parte concordavano con quelle di Cavallaro. In particolare confermò che l'"organizzazione" era «parallela alla struttura "I" ufficiale [ed era] sempre stata un'organizzazione in funzione anticomunista.»
Nella tarda primavera del 1973 Spiazzi —attraverso canali ufficiali della gerarchia militare e con il ricorso a comunicazioni in codice secondo standard NATO— avrebbe ricevuto l'ordine di mettersi dapprima in contatto con due imprenditori liguri, e poi di recarsi a prendere ordini successivi presso la cosiddetta Piccola Caprera, un luogo sul lago di Garda considerato un sacrario fascista. La telefonata in questione, proveniente da una caserma dei carabinieri di Vittorio Veneto, era stata inviata dal maggiore Mauro Venturi.
L'inchiesta giudiziaria fu lasciata arenare, poiché —si motivò— non era possibile raggiungere la prova che la famosa telefonata fosse davvero ascrivibile a Venturi. Di conseguenza, non fu approfondito l'aspetto di questo oscuro "organismo di sicurezza" (definizione di Spiazzi) che sarebbe stato sovrapponibile con i vertici degli Uffici "I" delle nostre forze armate, in sovranazionale coordinamento con gli analoghi comandi degli alleati NATO. I membri del comitato dovevano godere di un nulla osta sicurezza (NOS) di livello superiore al COSMIC, ufficialmente il livello N.O.S. di rango più elevato. Questa selettività ultra-istituzionale determinava strane situazioni, poiché talora personalità di massimo spicco istituzionale non erano considerate abbastanza affidabili, e di conseguenza il super-comitato poteva anche decidere di agire per provocare il "siluramento" politico del soggetto indesiderato.
La collaborazione di Spiazzi ebbe comunque termine, quando il generale Alemanno, capo Ufficio Sicurezza SID, gli ingiunse di "non coinvolgere altri". Questa chiusura fu accompagnata, di fatto, dalla messa in stato d'accusa formale dello stesso Miceli. Arrestato clamorosamente il 31 ottobre 1974 presso il Tribunale di Roma (dove aveva reso un interrogatorio avanti diversi magistrati per altra inchiesta), Miceli —che aveva accusato un malore mentre stava per essere rapidamente "tradotto" a Padova— riuscì ad evitare l'effettiva incarcerazione, mutandola in ricovero presso l'Ospedale Militare del Celio. La Cassazione intervenne il 30 dicembre 1974, ordinando il trasferimento dell'inchiesta alla Procura di Roma. Da lì a poco la vicenda giudiziaria si sarebbe presto arenata, disperdendosi in modo del tutto inconcludente. Una delle poche acquisizioni valide sul piano storico è l'asseverazione dell'azione dispiegata dalla Rosa dei Venti in Alto Adige. Insurrezionalisti come Norbert Burger e Peter Kienesberger vrebbero cooperato strettamente con il SIFAR.
Contestualmente, sarebbero stati attivi in Alto Adige numerosi funzionari dei servizi. Significativamente, gravitavano al contempo nella medesima area neofascisti vari, tra cui il già nominato Franco Freda, Carlo Fumagalli,esponente del Movimento di Azione Rivoluzionaria, l'ordinovista Elio Massagrande e Sandro Rampazzo. Anni dopo, rendendo un interrogatorio, Spiazzi avrebbe avuto a compiacersi dell'opera svolta in Alto Adige —che definì "pacificato" e preservato dai "germi distruttori" (contestazione, tensioni sociali...)— rammaricandosi un po' che tale azione —disturbata da interferenze dell'apparato garantista, per così dire— non avesse potuto dispiegare i suoi virtuosi effetti sull'intero territorio nazionale.
Ritornando all'indagato Miceli, questi riuscì a trascorrere poco tempo in carcere, giocando proficuamente la carta del silenzio, cui lo costringeva, a suo dire, il segreto politico-militare a riguardo di un "Super SID" che egli del resto non ebbe mai a smentire.
Solo nel 1983, il colonnello Spiazzi, ritenendosi esonerato dal segreto —invocato da Miceli— in relazione a situazioni che egli stesso non giudicava (o non giudicava più) pienamente legittime, svelò qualche maggior dettaglio sull'"organismo di sicurezza".
Apprendiamo così dell'esistenza di due livelli organizzativi: quello inferiore dei "nuclei sicuri", alimentati da persone che risultavano politicamente affidabili in forza di specifiche relazioni dei carabinieri ("modelli D"), sostanzialmente rappresentava una schiera di riserva, da allarmare eventualmente al bisogno; quello superiore, di alta segretezza, costituente una vera forza d'intervento per situazioni di grave perturbamento politico-sociale, con lo scopo dichiarato "per non restare alla finestra, ma per intervenire, per sedare la situazione, bloccarla e poi eventualmente decidere in merito".
Apprendiamo così dell'esistenza di due livelli organizzativi: quello inferiore dei "nuclei sicuri", alimentati da persone che risultavano politicamente affidabili in forza di specifiche relazioni dei carabinieri ("modelli D"), sostanzialmente rappresentava una schiera di riserva, da allarmare eventualmente al bisogno; quello superiore, di alta segretezza, costituente una vera forza d'intervento per situazioni di grave perturbamento politico-sociale, con lo scopo dichiarato "per non restare alla finestra, ma per intervenire, per sedare la situazione, bloccarla e poi eventualmente decidere in merito".
La selezione dei partecipanti, secondo Spiazzi, era curata dai carabinieri, dagli ufficiali "I" e dai centri di mobilitazione, e —sul piano della pura attitudine operativa— mirava a cooptare elementi paramilitari, ovvero persone congedate dalle forze armate oppure anche solo "gente che ha ricevuto un addestramento di tipo particolare". Spiazzi proseguì spiegando come, in occasione del Golpe Borghese (Esigenza Triangolo), aveva fatto parte del contingente che stava per occupare Sesto San Giovanni, quando un repentino contrordine aveva trasformato l'atto insurrezionale in una semplice esercitazione. Ma la parte più esplosiva delle tardive rivelazioni Spiazzi riguarda ancora una volta l'Alto Adige. Precisò che gli era stato spiegato da un superiore che gli attentati erano utili ad "interessi di carattere globale", riferì di aver catturato personalmente "due carabinieri del SIFAR" mentre preparavano un attentato (i due soggetti gli erano poi stati sottratti da altri carabinieri ed agenti di polizia, e questo episodio aveva segnato la fine della sua avventura altoatesina). L'attentato a Georg Klotz ed Alois (o Luis) Amplatz sarebbe pure risultato dalla collaborazione di servizi italiani, nostre forze di polizia e autorità politiche.
DOCUMENTI
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