Muʿammar Abū Minyar ʿAbd al-Salām al-Qadhdhāfī (Sirte, 7 giugno 1942 – Sirte, 20 ottobre 2011) per quarantadue anni è stato la massima autorità del proprio paese, fino alla sua deposizione da parte del Consiglio nazionale di transizione (CNT) durante la Guerra civile libica del 2011, senza ricoprire stabilmente alcuna carica ufficiale ma fregiandosi soltanto del titolo onorifico di Guida e Comandante della Rivoluzione della Grande Jamāhīriyya Araba Libica Popolare.
Nel 1969 il ventisettenne Gheddafi incontra nello stesso anno del colpo di Stato libico il cinquantunenne Raʾīs egiziano Gamal Abd al-Nasser, suo modello ideologico, cui rimarrà sempre devoto.
Insoddisfatto del governo guidato dal re Idris I, giudicato da Gheddafi e da altri ufficiali troppo servile nei confronti di Stati Uniti e Francia, il 26 agosto del 1969 si pone alla guida del colpo di Stato organizzato contro il sovrano, che porta, il 1º settembre dello stesso anno, alla proclamazione della Repubblica guidata da un Consiglio del Comando della Rivoluzione composto da 12 militari di tendenze panarabe filo-nasseriane. Gheddafi, che nel frattempo si è autopromosso al grado di colonnello e si è messo a capo di tale Consiglio, instaura in Libia un regime che si trasforma in una vera e propria dittatura.
Una volta al potere, Gheddafi fa approvare dal Consiglio una nuova costituzione e abolisce le elezioni e tutti i partiti politici. La Libia non si può infatti considerare una democrazia, non essendovi concesse molte libertà politiche (tra cui, per esempio, il multipartitismo). La politica della prima parte del governo Gheddafi viene definita dai suoi sostenitori una "terza via" rispetto al comunismo e al capitalismo, nella quale cerca di coniugare i principi del panarabismo con quelli della socialdemocrazia. Gheddafi decide di esporre le proprie visioni politiche e filosofiche nel suo Libro verde (esplicito ammiccamento al Libretto rosso di Mao Tse-tung), che pubblica nel 1976.
In nome del Nazionalismo arabo, decide di nazionalizzare la maggior parte delle proprietà petrolifere straniere, di chiudere le basi militari statunitensi e britanniche, in special modo la base "Wheelus", ridenominata "ʿOqba bin Nāfiʿ" (dal nome del primo conquistatore arabo-musulmano delle regioni nordafricane) e di espropriare tutti i beni delle comunità italiana ed ebraica, espellendole dal paese.
Infatti, proprio fra le primissime iniziative del regime di Gheddafi, c'è l'adozione di misure sempre più restrittive nei confronti della popolazione italiana che era rimasta a vivere in quella che era stata la ex-colonia, limitazioni che culminano con il decreto di confisca del 21 luglio 1970 emanato per "restituire al popolo libico le ricchezze dei suoi figli e dei suoi avi usurpate dagli oppressori". Gli italiani vengono pertanto privati di ogni loro bene, compresi i contributi assistenziali versati all'INPS e da questo trasferiti, in base ad un accordo, all'istituto libico corrispondente, e sono sottoposti a progressive restrizioni che culminano con la costrizione a lasciare il Paese entro il 15 ottobre del 1970. Dal 1970, ogni 7 ottobre in Libia si celebra il “Giorno della vendetta”, in ricordo del sequestro di tutti i beni e dell'espulsione di 20.000 italiani.
Politica estera
Gheedafi e Fidel Castro |
Nel 1977, grazie ai maggiori introiti derivanti dal petrolio, il regime decide di effettuare alcune opere a favore della propria nazione, come la costruzione di strade, ospedali, acquedotti ed industrie. Proprio sull'onda della popolarità di tale politica, nel 1979, Gheddafi rinuncia a ogni carica ufficiale, pur rimanendo l'unico vero leader del paese, serbandosi solo l'appellativo onorifico di "Guida della Rivoluzione".
Negli anni ottanta avviene un'ulteriore radicalizzazione nelle scelte di politica internazionale. La sua ideologia anti-israeliana e anti-americana lo porta a sostenere gruppi terroristi, quali ad esempio l'IRA irlandese e il Settembre Nero palestinese. Viene anche accusato dall'Intelligence statunitense di essere l'organizzatore degli attentati in Sicilia, Scozia e Francia, anche se per questi atti si è sempre proclamato estraneo. Si rende, altresì, sicuramente responsabile del lancio di due missili SS-1 Scud contro il territorio italiano di Lampedusa, come rappresaglia per il bombardamento della Libia da parte degli Stati Uniti nell'operazione El Dorado Canyon. I missili fortunatamente non provocano danni, cadendo in acqua a 2 km dalle coste siciliane.
Il suo regime, pertanto, diviene il nemico numero uno degli Stati Uniti d'America ed è progressivamente emarginato dalla NATO. Questa tensione prelude, il 15 aprile 1986, al blitz militare sulla Libia per volere del presidente statunitense Ronald Reagan: un massiccio bombardamento ferisce mortalmente la figlia adottiva di Gheddafi, ma lascia indenne il colonnello, che poi si scoprirà essere stato preventivamente avvertito delle intenzioni statunitensi da Bettino Craxi, allora Presidente del Consiglio italiano. Quando Gheddafi scopre che l'Inghilterra ha fornito le basi agli aerei americani per il blitz, decide di aumentare gli aiuti all'IRA.
Lockerbee |
Strage di Ustica
Venerdì 27 giugno 1980 un aereo di linea Douglas DC-9, codice I-TIGI, appartenente alla compagnia aerea italiana Itavia, in volo da Bologna a Palermo si squarciò all'improvviso e scomparve in mare nei pressi dell'isola di Ustica. Persero la vita 81 persone e non ci furono superstiti. Inizialmente le cause maggiormente accreditate furono il "cedimento strutturale" e la "bomba". A distanza di molti anni in cui si sono susseguiti innumerevoli depistaggi, falsi indizi e morti sospette, sembrerebbe invece affermarsi la tesi più plausibile ma altrettanto scomoda, quella cioè dell'abbattimento. Un missile aria/aria sarebbe stato lanciato da un velivolo militare francese all'indirizzo di un caccia libico MiG-23 che, in sorvolo non autorizzato nei cieli italiani, avrebbe tentato di nascondersi nella traccia radar del DC-9. Il missile però anziché colpire il MiG, avrebbe raggiunto ed abbattuto l'aereo passeggeri italiano. Un secondo missile avrebbe invece centrato l'aereo libico che si sarebbe poi schiantato in Calabria, più precisamente nel territorio del comune di Castelsilano (KR), con il conseguente decesso del pilota. All'origine dell'intervento francese vi sarebbe stata la convinzione da parte dei servizi di intelligence transalpini che sul velivolo libico si trovasse il colonnello Gheddafi, personaggio particolarmente inviso alla Francia che perciò avrebbe tentato con questa operazione militare di realizzarne l'eliminazione fisica.
Ad avvalorare questa versione dei fatti vi è una dichiarazione pubblicata nel febbraio 2007 da Francesco Cossiga, presidente del Consiglio all'epoca della strage: ad abbattere il DC-9 sarebbe stato un missile «a risonanza e non a impatto», lanciato da un velivolo dell'Aéronavale decollato dalla portaerei Clemenceau. Sempre secondo quanto dichiarato da Cossiga, furono i servizi segreti italiani ad informare lui e l'allora ministro dell'Interno Giuliano Amato dell'accaduto. Infine aggiunse: «i francesi sapevano che sarebbe passato l'aereo di Gheddafi, che si salvò perché il Sismi lo informò quando lui era appena decollato e decise di tornare indietro».
Dal 1990 al 2010
A partire dai primi anni novanta, Gheddafi decide un ulteriore cambiamento del ruolo del suo regime all'interno dello scacchiere internazionale; condanna l'invasione dell'Iraq ai danni del Kuwait nel 1990 e successivamente sostiene le trattative di pace tra Etiopia ed Eritrea. Quando anche Nelson Mandela fa appello alla "Comunità Internazionale", a fronte della disponibilità libica di lasciar sottoporre a giudizio gli imputati libici della strage di Lockerbie e al conseguente pagamento dei danni provocati alle vittime, l'ONU decide di ritirare l'embargo alla Libia (primavera del 1999).
Nei primi anni duemila, proprio questi ultimi sviluppi della politica libica, portano Gheddafi ad un riavvicinamento agli USA e alle democrazie europee, con un conseguente allontanamento dall'integralismo islamico. Grazie a questi passi il presidente statunitense George W. Bush decide di togliere la Libia dalla lista degli Stati Canaglia (di cui fanno parte Iran, Siria e Corea del Nord) portando al ristabilimento di pieni rapporti diplomatici tra Libia e Stati Uniti.
Nel 2004, il Mossad, la CIA e il Sismi individuano una nave che trasporta la prova che il regime libico sia in possesso di un arsenale di armi di distruzione di massa. Invece di rendere pubblica la scoperta e sollevare uno scandalo, Stati Uniti e Italia pongono a Gheddafi un ultimatum che viene accettato.
Gli anni 2000 vedono Gheddafi protagonista del riavvicinamento tra Italia e Libia, sancito da diverse visite ufficiali del capo libico in Italia e della controparte italiana in Libia
Guerra civile del 2011, la cattura e la morte
Nel 2011, il procuratore del Tribunale Penale Internazionale, Luis Moreno Ocampo, chiede alla corte penale l'incriminazione di Gheddafi per crimini contro l'umanità, insieme al figlio Sayf al-Islam Gheddafi e al capo dei servizi segreti libici Abd Allah al-Sanussi. La richiesta di incriminazione nasce dalle prove raccolte sui comportamenti messi in atto per la repressione della rivolta libica del 2011.
Il 20 ottobre 2011 risultando vana ogni ulteriore resistenza nella difesa della città di Sirte, nella quale si era asserragliato dopo la caduta di Tripoli, Muʿammar Gheddafi tenta di guadagnare il deserto per continuare la lotta, ma il convoglio in cui viaggia viene attaccato da parte di aerei militari francesi. Raggiunto da elementi del CNT, Gheddafi viene catturato vivo, ferito alle gambe, ma subito linciato. Gli ultimi momenti di vita del Raʾīs libico, che secondo il medico legale è stato ucciso da un colpo di pistola alla testa, vengono impressi in numerosi video dei presenti all'avvenimento. Successivamente il suo cadavere viene trasportato a Misurata, esposto al pubblico e, quindi, sepolto in una località segreta nel deserto libico. La sua eredità politica e la guida della Jamāhīriyya vengono raccolte dall'altro figlio Sayf al-Islām al-Qadhdhāfī, il quale, il 23 ottobre 2011, per mezzo della Tv siriana al-Rāʾī (L'opinione), ha dichiarato in un breve messaggio audio di voler vendicare la morte del padre e di continuare la resistenza contro il CNT, le forze della NATO e l'esercito francese sino alla fine: "Io vi dico, andate all'inferno, voi e la NATO dietro di voi. Questo è il nostro Paese, noi ci viviamo, ci moriamo e stiamo continuando a combattere". Il CNT ha poi deciso di aprire un'inchiesta sulla morte di Mu'ammar Gheddafi.
Il 20 ottobre 2011 risultando vana ogni ulteriore resistenza nella difesa della città di Sirte, nella quale si era asserragliato dopo la caduta di Tripoli, Muʿammar Gheddafi tenta di guadagnare il deserto per continuare la lotta, ma il convoglio in cui viaggia viene attaccato da parte di aerei militari francesi. Raggiunto da elementi del CNT, Gheddafi viene catturato vivo, ferito alle gambe, ma subito linciato. Gli ultimi momenti di vita del Raʾīs libico, che secondo il medico legale è stato ucciso da un colpo di pistola alla testa, vengono impressi in numerosi video dei presenti all'avvenimento. Successivamente il suo cadavere viene trasportato a Misurata, esposto al pubblico e, quindi, sepolto in una località segreta nel deserto libico. La sua eredità politica e la guida della Jamāhīriyya vengono raccolte dall'altro figlio Sayf al-Islām al-Qadhdhāfī, il quale, il 23 ottobre 2011, per mezzo della Tv siriana al-Rāʾī (L'opinione), ha dichiarato in un breve messaggio audio di voler vendicare la morte del padre e di continuare la resistenza contro il CNT, le forze della NATO e l'esercito francese sino alla fine: "Io vi dico, andate all'inferno, voi e la NATO dietro di voi. Questo è il nostro Paese, noi ci viviamo, ci moriamo e stiamo continuando a combattere". Il CNT ha poi deciso di aprire un'inchiesta sulla morte di Mu'ammar Gheddafi.
Morte sospetta
Circa un anno dopo la morte di Gheddafi delle dichiarazioni di Mahmoud Jibril hanno alimentato forti sospetti secondo i quali il vero esecutore del rais non sarebbero stato un ribelle del CNT ma un agente dei servizi segreti francesi infiltrato. L'uccisione di Gheddafi sarebbe nata per evitare la divulgazione delle notizie degli stretti rapporti che legavano l'ex leader libico a Nicolas Sarkozy, allora presidente della Francia, in particolar modo dei diversi milioni di dollari versati dal rais per le campagne elettorali. In base a delle rivelazioni di Rami El Obeidi, ex responsabile per i rapporti con le agenzie di informazioni straniere per conto del Consiglio nazionale di transizione, i servizi segreti francesi avrebbero individuato Gheddafi mediante il suo satellitare; in quel periodo il rais cercava di mettersi in contatto con alcuni suoi fedelissimi fuggiti in Siria.
Dopo la morte
Nel marzo 2012 la Guardia di Finanza ha sequestrato beni in Italia della famiglia Gheddafi per oltre un miliardo di euro. Tra questi l’1,256% di Unicredit (pari ad un valore di 611 milioni di euro), il 2% di Finmeccanica, l’1,5% della Juventus, lo 0,58% di Eni, pari a 410 milioni, lo 0,33% di alcune società del gruppo Fiat, come Fiat Spa e Fiat Industrial. Diversi anche i conti correnti posti sotto sequestro: il deposito più consistente, 650 000 euro in titoli, è quello presso la filiale di Roma della Ubae Bank, una joint venture italo-libica.
Oltre a ciò, in numerosi altri paesi sono stati sequestrati beni di vario tipo e conti bancari, per un totale di duecento miliardi di dollari. Ciò farebbe di Gheddafi l'ottava persona più ricca della storia.
«Berlusconi chiese la morte di Gheddafi»
Corriere.it
La denuncia del Fatto Quotidiano: la richiesta venne avanzata ai servizi segreti
Nella sua ultima conferenza stampa di fine anno da premier in carica, il 23 dicembre del 2010, Silvio Berlusconi non ebbe problemi a dichiararsi apertamente «amico» di Gheddafi, Mubarak e Ben Ali. Pochi mesi dopo sarebbero però esplose le diverse primavere arabe e l'Italia si sarebbe schierata al fianco della Nato nell'intervento militare in Libia. In quell'occasione, denuncia il Fatto Quotidiano nella sua prima pagina di oggi, il Cavaliere avrebbe avanzato ai servizi segreti italiani allora guidati da Gianni De Gennaro la richiesta di «far fuori» Gheddafi. Una rivelazione che il giornale di Padellaro e Travaglio attribuisce «una fonte diplomatica autorevole vicina agli ambienti della sicurezza». Ma che subito dagli ambienti del Pdl viene bollata come un'«infamia» non credibile. Gheddafi fu giustiziato sommariamente nell'ottobre 2011 dopo essere stato scovato nel nascondiglio nei pressi di Sirte dove si rifugiava. Non è la prima volta che si parla di un coinvolgimento dell'Occidente nella morte del Rais e in particolare era stata avanzata una pista francese secondo cui a sparare il colpo di grazia sarebbe stato proprio uno 007 di Parigi. Mai si era però parlato di un ruolo di Palazzo Chigi.
AMICIZIA IMBARAZZANTE - Ma perché Berlusconi avrebbe voluto la morte del suo «amico», di cui fu più volte ospite in Libia e che a sua volta ospitò in pompa magna a Roma concedendogli pure di insediare un vero e proprio accampamento con tenda berbera nel parco di Villa Pamphili? Secondo il quotidiano l'obiettivo del leader del pdl, in una fase in cui vacillava la sua autorevolezza sul piano internazionale, era sganciarsi in ogni modo netto dall'amicizia con il Colonnello. E il modo più drastico poteva essere appunto l'eliminazione del Rais. Per avvalorare la tesi vengono citate alcune inchieste giornalistiche - tra cui pezzi di Le Monde, del Giornale e del Corriere - che ipotizzavano un ruolo dell'intelligence dei Paesi della coalizione occidentale nella scelta di uccidere Gheddafi appena catturato, anziché consegnarlo alla giustizia internazionale e sottoporlo a processo. Si parla anche di un ruolo dell'allora presidente francese Nicolas Sarkozy, a sua volta definito come desideroso di recidere i legami con il leader libico.
LA SMENTITA DI BONAIUTI - «La pretesa ricostruzione del Fatto Quotidiano è totalmente falsa, incredibile, assurda, inaccettabile - tuona il portavoce di Berlusconi, Paolo Bonaiuti -. Ma come si può sostenere che il Presidente Berlusconi abbia soltanto pensato a un'infamia del genere?».
Documenti segreti libici svelano la tragedia di Ustica e come Gheddafi si salvò riparando a Malta
Noel Grima Al-Fatah69
Secondo i resoconti dei media italiani, i documenti riservati trovati negli archivi del servizio segreto libico, dopo la caduta di Tripoli, che sono ora nelle mani di Human Rights Watch, dimostrano ciò che ha provocato l’abbattimento del Dc-9 Itavia sul Mediterraneo, presso l’isola di Ustica, il 27 giugno 1980. Ottantuno persone a bordo del volo, sulla rotta da Bologna a Palermo, sono morte.
Come si è a lungo sospettato, i documenti confermano che un missile aveva colpito l’aereo, dopo che era stato scambiato per un aereo che trasportava il leader libico Muammar Gheddafi.
Secondo i documenti, due jet francesi all’inizio attaccarono l’aereo, e poi s’impegnarono in un duello con un solitario caccia MiG, che portava le insegne della Jamahiriya, e che si pensava scortasse il colonnello Gheddafi, fino a quando non impattò nella regione montuosa della Sila, nel sud d’Italia. Il colonnello Gheddafi, informato in tempo dell’attacco, riparò a Malta, dove atterrò col suo Tupolev, secondo i documenti.
Sembrerebbe, dalle carte dei servizi segreti trovate, che Gheddafi sia stato informato dai servizi segreti italiani (SISMI), che stava per essere attaccato, e aveva cercato rifugio a Malta.
Le autorità italiane hanno isolato l’area in cui il MiG cadde, e un giornalista e un fotografo, che cercavano di scoprirne la vicenda, al momento, furono arrestati e trattenuti per ore dalla polizia, fino a che non svelarono ciò che avevano documentato. Più tardi, le autorità libiche affermarono che il pilota del MiG era in volo di addestramento, quando avrebbe perso la rotta. Il suo cadavere, che era già stato sepolto, fu riesumato; l’autopsia venne effettuata e il cadavere fu poi rimpatriato in Libia. Pochi giorni dopo, il 7 luglio 1980, una bomba distrusse gli uffici della Libyan Arab Airlines, a Freedom Square, a La Valletta, e ci fu anche un tentativo di incendio doloso dell’Istituto libico di Cultura, a Palace Square, in quel periodo.
Secondo un libro del giornalista e storico francese, Henri Weill, la bomba e l’incendio doloso furono opera dei servizi segreti francesi, lo SDECE, come anche un attacco a una nave libica, a Genova. Poi, meno di un mese dopo, il 2 agosto 1980, un’enorme bomba distrusse la maggior parte della stazione ferroviaria di Bologna, e 80 persone furono uccise. La responsabilità dell’attacco terroristico non è mai stata stabilita con certezza. Proprio questa settimana, un tribunale italiano ha ordinato al governo di pagare 100 milioni di euro di danni civili ai parenti delle 81 persone uccise nel disastro aereo del 1980, che tuttora rimane ancora uno dei misteri più duraturi dell’Italia, almeno fino a quando i documenti scoperti questa settimana, saranno studiati a fondo.
Il governo italiano ha dichiarato che avrebbe fatto ricorso contro la decisione del tribunale civile di Palermo, che ritiene i ministeri della difesa e dei trasporti responsabili di aver omesso di garantire la sicurezza del volo. Tra le altre teorie sulle cause dell’incidente, vi era quella di una bomba a bordo o che l’aereo fosse stato accidentalmente preso in mezzo a un duello aereo.
L’avvocato Daniele Osnato, che insieme a un manipolo di avvocati rappresentati i parenti delle 81 vittime, ha detto che la giustizia è stata finalmente fatta. Oltre a determinare che i ministeri competenti non erano riusciti a proteggere il volo, ha detto, il tribunale ha anche concluso che erano colpevoli di aver nascosto la verità e di aver distrutto le prove.
Un’altra teoria sul dogfight aereo, aveva avuto credito dal giudice Rosario Priore, il quale aveva inizialmente accusato dei generali di esserne i responsabili. Il giudice Priore aveva teorizzato che un missile, lanciato da un caccia statunitense o da un altro aereo della NARO, avesse accidentalmente colpito il jet di linea interna italiano, durante il tentativo di abbattere un aereo libico.
Funzionari francesi, statunitensi e della NATO, hanno a lungo negato qualsiasi attività militare nei cieli, quella notte.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
Estratto dell’intervista al magistrato Rosario Priore – che della strage di Ustica (27 giugno 1980, 81 morti) si è occupato in una lunga inchiesta – contenuta nel libro Intrigo internazionale, edito da Chiarelettere.
di Giovanni Fasanella*, da Il Fatto Quotidiano del 26 giugno 2010
“C’era un groviglio di verità “indicibili” che nascevano dalla nostra politica mediterranea, in particolare verso la Libia, e dall’irritazione che quella politica provocava nei nostri alleati europei. Se quelle verità fossero venute pubblicamente a galla, non sarebbero rimaste prive di conseguenze”, così risponde Rosario Priore (il giudice che su Ustica ha emesso una sentenza-ordinanza nel 1999: DC-9 abbattuto da un missile) alla madre di tutte le domande: quale verità non si poteva far conoscere all’opinione pubblica.
Dunque ci fu un episodio di guerra aerea: l’obiettivo degli attaccanti non poteva che essere libico, e di un certo rilievo? Ovviamente sì. E quanto più alto fosse stato il rango dell’obiettivo, tanto più sarebbe stato di rilievo il successo dell’operazione. L’attacco militare nel cielo di Ustica era diretto contro un aereo che si sapeva sarebbe passato proprio di lì.
E perché lo si sapeva?
Perché succedeva sistematicamente. E non doveva succedere. Perché il sistema Nadge, la rete radar che proteggeva i paesi europei dell’Alleanza atlantica, dalla Norvegia alla Turchia, nel tratto italiano aveva dei “buchi”. Cioè passaggi o aree non coperti dai radar del Nadge. E quei corridoi erano noti ai libici, che potevano utilizzarli per il passaggio dei loro aerei militari pur non potendolo fare, perché aerei miliari di un paese non Nato. Se fossero stati individuati, il sistema li avrebbe automaticamente definiti nemici da abbattere.
E come facevano, i libici, a conoscere quei “buchi”?
Nel linguaggio dei servizi, si direbbe che c’erano state delle “perdite”. Insomma, qualcuno, in Italia, si era “perso” quei varchi della difesa radar atlantica, i libici li avevano “trovati” ed erano venuti a conoscenza delle vie non protette di penetrazione in Europa. In quel periodo, tra l’altro, molti ex ufficiali dell’Aeronautica italiana erano andati in congedo e avevano messo a disposizione dei libici tutte le loro cognizioni tecniche e tutta la loro esperienza.
Quindi i libici utilizzavano sistematicamente quei corridoi. E a quale scopo?
Sia a scopo civile sia a scopo militare , per arrivare fino al cuore dell’Europa. E succedeva perché i libici avevano un rapporto privilegiato con l’Italia. Sì, i loro aerei si recavano spesso in Jugoslavia per riparazioni, a Banja Luka. Oppure a Venezia, dove noi fornivamo all’Aviazione libica tutta l’assistenza di cui aveva bisogno. Pensi che in quello stesso mese di giugno 1980, poco prima dell’esplosione su Ustica, nelle officine di Venezia Tessera, accanto agli aerei ufficiali del presidente statunitense e di quello francese, lì per un summit internazionale, c’erano anche dei C-130 libici: aerei da trasporto che, in barba a ogni embargo, noi militarizzavamo trasformandoli in mezzi da trasporto per paracadutisti.
È comprensibile che aerei militari libici utilizzassero dei corridoi “discreti”. Ma quelli civili, perché?
Perché a bordo spesso c’erano personaggi di primo piano, a rischio o in missioni segrete. Arafat, per esempio, si diceva che viaggiasse spesso su aerei libici passando per i nostri corridoi. Insomma, si trattava di personaggi che avevano bisogno di viaggiare in sicurezza e ai quali noi in qualche modo garantivamo protezione.
Anche Gheddafi?
Sì, anche Gheddafi. Secondo una fondata ipotesi, emersa già nel corso della nostra inchiesta e rafforzatasi in seguito, sembra che il bersaglio fosse proprio un aereo su cui viaggiava Gheddafi. Nei piani di volo conservati presso la nostra Aeronautica, quella sera era previsto un volo con vip a bordo da Tripoli a Varsavia.
L’aereo che viaggiava sotto la pancia del nostro DC-9 poteva essere quello di Gheddafi?
Secondo ragionevoli ipotesi, potevano essere uno o più caccia militari libici che tornavano dalla Jugoslavia utilizzando un corridoio senza la copertura del Nadge. Secondo ipotesi più recenti, quei caccia dovevano prelevare il leader libico sul Tirreno e scortarlo in un viaggio nell’Europa dell’Est. Ma, avvertito da qualcuno dell’imminente pericolo, all’altezza di Malta l’aereo avrebbe improvvisamente cambiato rotta per tornare in Libia.
Dunque i caccia libici provenienti da nord volavano sotto la protezione del DC-9 per andare a prelevare Gheddafi che stava arrivando da sud?
Questa è la situazione più probabile. Ed è del tutto evidente che chi avesse voluto attaccare Gheddafi avrebbe dovuto prima abbattere le sue scorte.
In definitiva i caccia libici vennero abbattuti, mentre Gheddafi si salvò perché avvertito del pericolo. Chi lo avvisò? Gli italiani?
È del tutto verosimile, visti i rapporti privilegiati tra l’Italia e la Libia. Il capo dei servizi segreti libici era di casa a Roma e nel Sismi (il nostro servizio segreto militare dell’epoca). C’era una forte cordata filoaraba e una filolibica, omologhe a quelle che esistevano all’interno dei governi della Repubblica e, più in generale, nella classe politica italiana. Chi voleva uccidere Gheddafi? Di recente, a inchiesta giudiziaria ormai conclusa, dopo che le sentenze di assoluzione dei generali erano ormai divenute definitive, l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che all’epoca era presidente del Consiglio, ha detto qualcosa in proposito. Riferendo informazioni provenienti dall’interno dei nostri servizi, ha parlato esplicitamente di una responsabilità francese. La ritiene un’ipotesi attendibile? Sì, la ritengo attendibile. Però procederei per gradi, seguendo l’evoluzione dell’inchiesta. In primo luogo perché, da un punto di vista tecnico, a quel tempo e nel Mediterraneo, solo due paesi erano in grado di compiere un’operazione militare di quel tipo: gli Stati Uniti e la Francia. Perché occorreva un sistema di guida dei caccia capace di indirizzarli verso l’obiettivo in qualsiasi condizione. Insomma un “guida caccia” estremamente sofisticato. E poi era necessario avere basi a terra o su portaerei a una giusta distanza dal punto d’attacco. La Francia aveva portaerei nel Tirreno e basi a terra in Corsica. Gli Stati Uniti avevano la Sesta flotta dotata di portaerei, oltre alle basi in territorio italiano. Entrambi i paesi, dunque, avevano anche propri sistemi radar.
Quindi chi attaccò: Francia, Stati Uniti o entrambi?
Tenderei a escludere responsabilità dell’Amministrazione americana dell’epoca. Primo, perché c’era Jimmy Carter, che manteneva rapporti con la Libia; addirittura la riforniva di armi. Secondo, perché gli americani ci aiutarono nell’inchiesta più degli italiani.
“Strage di Bologna opera di Gheddafi” parla “il faccendiere”
30 gennaio
«Che fine ha fatto?» mi chiedo guardando la foto su un catalogo che sto per buttare. Il suo nome era comparso sui giornali nel 1982 con la qualifica di “faccendiere”. Le ultime tracce le trovo su internet: uscito dal carcere di Livorno, sta scontando gli ultimi mesi di pena presso la Pubblica Assistenza di Lerici.
Milena Gabanelli da “La Repubblica”
Francesco Pazienza ha scontato 10 anni per depistaggio alle indagini sulla strage di Bologna, altri 3 per il crac Ambrosiano e associazione a delinquere. Amico di Noriega, frequentatore dei servizi segreti francesi, americani e sudamericani, nel 1980 è a capo del Super Sismi. Braccio destro di Licio Gelli, il suo ambiente è il sottobosco di confine fra l´alta finanza e l´alta criminalità, l´alta politica e il Vaticano. Protagonista delle vicende più tragiche della storia italiana degli anni ‘80, è depositario di informazioni mai rivelate, altre raccontate a modo suo. Laureato in medicina a Taranto, non ha mai indossato un camice. Negli anni ‘70 vive a Parigi e fa intermediazioni d´affari per il miliardario greco Ghertsos. Poi l´incontro con il capo del Sismi, Santovito. Grandi alberghi, yacht, belle donne, sigari rigorosamente cubani e tagliasigari d´oro. Un´altra epoca. Adesso ha 62 anni e fuma le Capri, mentre cammina da uomo libero sul lungomare di Lerici.
Cominciamo dall´inizio: come avviene l´incontro con Santovito? «Me lo presentò l´ingegner Berarducci, oggi segretario generale dell´Eurispes. Santovito era suo zio, e mi chiese di fare il suo consulente internazionale». E perché Santovito le dà questo incarico senza conoscerlo prima? «Sa, io parlavo diverse lingue e avevo un sacco di relazioni in giro per il mondo. Normalmente non avviene così, ma all´epoca era quasi tutto improntato all´improvvisazione».
E in cambio cosa riceveva? «Rimborso spese. Siccome non avevo bisogno di soldi, era quello che volevo: se volevo andare a New York in Concorde, andavo in Concorde. Mi sembrava tutto molto avventuroso».
Si dice che lei sia stato determinante nella sconfitta di Carter contro Reagan. «La storia comincia con Mike Ledeen a Washington, che mi aveva presentato Santovito; lui dirigeva il Washington Quarterly e faceva capo ad una lobby legata ai repubblicani (e alla Cia-ndr). Così gli dico: “Guarda che quando c´è stata la festa per l´anniversario della rivoluzione libica, il fratello di Carter ha fraternizzato con George Habbash”, che era il capo del Flp. E a quel punto disse: “Se tu mi dai le prove, noi possiamo fare l´ira di Dio”».
Gheddafi E le prove come se le era procurate? «Attraverso un giornalista siciliano, Giuseppe Settineri, che io mandai con un microfono addosso ad intervistare l´avvocato Papa, che faceva il lobbista e aveva partecipato alla festa di Gheddafi. Lui raccontò per filo e per segno tutto quello che era successo. Le foto dei festini me le avevano fornite Michele Papa e Federico Umberto D´Amato, la testa degli affari riservati del Viminale». Il Viminale ha dunque interferito nelle elezioni di un paese alleato? «Sissignore, però la débacle ci sarebbe stata ugualmente, ma non in misura così massiccia».
Lei, che non è un militare, diventa capo del Super Sismi. Cos´era? «Il Super Sismi ero io con un gruppo di persone che gestivo in prima persona».
A gennaio 1981 sul treno Taranto-Milano viene piazzata una valigia con esplosivo della stessa composizione di quello usato nella stazione di Bologna… Ci sono dei documenti intestati a un francese e un tedesco, indicati dai servizi come autori di stragi avvenute a Monaco e Parigi. Si scoprirà poi che si trattava di depistaggio. «Il depistaggio è stato fatto dal Sismi per non fare emergere la vera verità della bomba di Bologna. Secondo l´allora procuratore Domenico Sica c´era di mezzo la Libia, e coinvolgerla in quel momento avrebbe voluto dire tragedia per la Fiat e per l´Eni. Vada negli archivi delle sedute parlamentari: il 4 agosto 1980, Spadolini in persona presentò un´interrogazione parlamentare in cui attribuiva la bomba di Bologna a origini straniere mediorientali».
Ma qual era l’interesse mediorientale? «L´Italia non poteva sottrarsi agli obblighi Nato, e quindi doveva fare un accordo con Malta, per proteggerla in caso di attacchi del colonnello Gheddafi. L´accordo fu firmato, e Gheddafi fece la ritorsione. Ustica porta la stessa firma. Me lo ha raccontato Domenico Sica. Quando tolgono il segreto di Stato la verità salterà fuori».
«Berlusconi chiese la morte di Gheddafi»
Corriere.it
La denuncia del Fatto Quotidiano: la richiesta venne avanzata ai servizi segreti
Nella sua ultima conferenza stampa di fine anno da premier in carica, il 23 dicembre del 2010, Silvio Berlusconi non ebbe problemi a dichiararsi apertamente «amico» di Gheddafi, Mubarak e Ben Ali. Pochi mesi dopo sarebbero però esplose le diverse primavere arabe e l'Italia si sarebbe schierata al fianco della Nato nell'intervento militare in Libia. In quell'occasione, denuncia il Fatto Quotidiano nella sua prima pagina di oggi, il Cavaliere avrebbe avanzato ai servizi segreti italiani allora guidati da Gianni De Gennaro la richiesta di «far fuori» Gheddafi. Una rivelazione che il giornale di Padellaro e Travaglio attribuisce «una fonte diplomatica autorevole vicina agli ambienti della sicurezza». Ma che subito dagli ambienti del Pdl viene bollata come un'«infamia» non credibile. Gheddafi fu giustiziato sommariamente nell'ottobre 2011 dopo essere stato scovato nel nascondiglio nei pressi di Sirte dove si rifugiava. Non è la prima volta che si parla di un coinvolgimento dell'Occidente nella morte del Rais e in particolare era stata avanzata una pista francese secondo cui a sparare il colpo di grazia sarebbe stato proprio uno 007 di Parigi. Mai si era però parlato di un ruolo di Palazzo Chigi.
AMICIZIA IMBARAZZANTE - Ma perché Berlusconi avrebbe voluto la morte del suo «amico», di cui fu più volte ospite in Libia e che a sua volta ospitò in pompa magna a Roma concedendogli pure di insediare un vero e proprio accampamento con tenda berbera nel parco di Villa Pamphili? Secondo il quotidiano l'obiettivo del leader del pdl, in una fase in cui vacillava la sua autorevolezza sul piano internazionale, era sganciarsi in ogni modo netto dall'amicizia con il Colonnello. E il modo più drastico poteva essere appunto l'eliminazione del Rais. Per avvalorare la tesi vengono citate alcune inchieste giornalistiche - tra cui pezzi di Le Monde, del Giornale e del Corriere - che ipotizzavano un ruolo dell'intelligence dei Paesi della coalizione occidentale nella scelta di uccidere Gheddafi appena catturato, anziché consegnarlo alla giustizia internazionale e sottoporlo a processo. Si parla anche di un ruolo dell'allora presidente francese Nicolas Sarkozy, a sua volta definito come desideroso di recidere i legami con il leader libico.
LA SMENTITA DI BONAIUTI - «La pretesa ricostruzione del Fatto Quotidiano è totalmente falsa, incredibile, assurda, inaccettabile - tuona il portavoce di Berlusconi, Paolo Bonaiuti -. Ma come si può sostenere che il Presidente Berlusconi abbia soltanto pensato a un'infamia del genere?».
Documenti segreti libici svelano la tragedia di Ustica e come Gheddafi si salvò riparando a Malta
Noel Grima Al-Fatah69
Secondo i resoconti dei media italiani, i documenti riservati trovati negli archivi del servizio segreto libico, dopo la caduta di Tripoli, che sono ora nelle mani di Human Rights Watch, dimostrano ciò che ha provocato l’abbattimento del Dc-9 Itavia sul Mediterraneo, presso l’isola di Ustica, il 27 giugno 1980. Ottantuno persone a bordo del volo, sulla rotta da Bologna a Palermo, sono morte.
Come si è a lungo sospettato, i documenti confermano che un missile aveva colpito l’aereo, dopo che era stato scambiato per un aereo che trasportava il leader libico Muammar Gheddafi.
Secondo i documenti, due jet francesi all’inizio attaccarono l’aereo, e poi s’impegnarono in un duello con un solitario caccia MiG, che portava le insegne della Jamahiriya, e che si pensava scortasse il colonnello Gheddafi, fino a quando non impattò nella regione montuosa della Sila, nel sud d’Italia. Il colonnello Gheddafi, informato in tempo dell’attacco, riparò a Malta, dove atterrò col suo Tupolev, secondo i documenti.
Sembrerebbe, dalle carte dei servizi segreti trovate, che Gheddafi sia stato informato dai servizi segreti italiani (SISMI), che stava per essere attaccato, e aveva cercato rifugio a Malta.
Le autorità italiane hanno isolato l’area in cui il MiG cadde, e un giornalista e un fotografo, che cercavano di scoprirne la vicenda, al momento, furono arrestati e trattenuti per ore dalla polizia, fino a che non svelarono ciò che avevano documentato. Più tardi, le autorità libiche affermarono che il pilota del MiG era in volo di addestramento, quando avrebbe perso la rotta. Il suo cadavere, che era già stato sepolto, fu riesumato; l’autopsia venne effettuata e il cadavere fu poi rimpatriato in Libia. Pochi giorni dopo, il 7 luglio 1980, una bomba distrusse gli uffici della Libyan Arab Airlines, a Freedom Square, a La Valletta, e ci fu anche un tentativo di incendio doloso dell’Istituto libico di Cultura, a Palace Square, in quel periodo.
Secondo un libro del giornalista e storico francese, Henri Weill, la bomba e l’incendio doloso furono opera dei servizi segreti francesi, lo SDECE, come anche un attacco a una nave libica, a Genova. Poi, meno di un mese dopo, il 2 agosto 1980, un’enorme bomba distrusse la maggior parte della stazione ferroviaria di Bologna, e 80 persone furono uccise. La responsabilità dell’attacco terroristico non è mai stata stabilita con certezza. Proprio questa settimana, un tribunale italiano ha ordinato al governo di pagare 100 milioni di euro di danni civili ai parenti delle 81 persone uccise nel disastro aereo del 1980, che tuttora rimane ancora uno dei misteri più duraturi dell’Italia, almeno fino a quando i documenti scoperti questa settimana, saranno studiati a fondo.
Il governo italiano ha dichiarato che avrebbe fatto ricorso contro la decisione del tribunale civile di Palermo, che ritiene i ministeri della difesa e dei trasporti responsabili di aver omesso di garantire la sicurezza del volo. Tra le altre teorie sulle cause dell’incidente, vi era quella di una bomba a bordo o che l’aereo fosse stato accidentalmente preso in mezzo a un duello aereo.
L’avvocato Daniele Osnato, che insieme a un manipolo di avvocati rappresentati i parenti delle 81 vittime, ha detto che la giustizia è stata finalmente fatta. Oltre a determinare che i ministeri competenti non erano riusciti a proteggere il volo, ha detto, il tribunale ha anche concluso che erano colpevoli di aver nascosto la verità e di aver distrutto le prove.
Un’altra teoria sul dogfight aereo, aveva avuto credito dal giudice Rosario Priore, il quale aveva inizialmente accusato dei generali di esserne i responsabili. Il giudice Priore aveva teorizzato che un missile, lanciato da un caccia statunitense o da un altro aereo della NARO, avesse accidentalmente colpito il jet di linea interna italiano, durante il tentativo di abbattere un aereo libico.
Funzionari francesi, statunitensi e della NATO, hanno a lungo negato qualsiasi attività militare nei cieli, quella notte.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
Estratto dell’intervista al magistrato Rosario Priore – che della strage di Ustica (27 giugno 1980, 81 morti) si è occupato in una lunga inchiesta – contenuta nel libro Intrigo internazionale, edito da Chiarelettere.
di Giovanni Fasanella*, da Il Fatto Quotidiano del 26 giugno 2010
“C’era un groviglio di verità “indicibili” che nascevano dalla nostra politica mediterranea, in particolare verso la Libia, e dall’irritazione che quella politica provocava nei nostri alleati europei. Se quelle verità fossero venute pubblicamente a galla, non sarebbero rimaste prive di conseguenze”, così risponde Rosario Priore (il giudice che su Ustica ha emesso una sentenza-ordinanza nel 1999: DC-9 abbattuto da un missile) alla madre di tutte le domande: quale verità non si poteva far conoscere all’opinione pubblica.
Dunque ci fu un episodio di guerra aerea: l’obiettivo degli attaccanti non poteva che essere libico, e di un certo rilievo? Ovviamente sì. E quanto più alto fosse stato il rango dell’obiettivo, tanto più sarebbe stato di rilievo il successo dell’operazione. L’attacco militare nel cielo di Ustica era diretto contro un aereo che si sapeva sarebbe passato proprio di lì.
E perché lo si sapeva?
Perché succedeva sistematicamente. E non doveva succedere. Perché il sistema Nadge, la rete radar che proteggeva i paesi europei dell’Alleanza atlantica, dalla Norvegia alla Turchia, nel tratto italiano aveva dei “buchi”. Cioè passaggi o aree non coperti dai radar del Nadge. E quei corridoi erano noti ai libici, che potevano utilizzarli per il passaggio dei loro aerei militari pur non potendolo fare, perché aerei miliari di un paese non Nato. Se fossero stati individuati, il sistema li avrebbe automaticamente definiti nemici da abbattere.
E come facevano, i libici, a conoscere quei “buchi”?
Nel linguaggio dei servizi, si direbbe che c’erano state delle “perdite”. Insomma, qualcuno, in Italia, si era “perso” quei varchi della difesa radar atlantica, i libici li avevano “trovati” ed erano venuti a conoscenza delle vie non protette di penetrazione in Europa. In quel periodo, tra l’altro, molti ex ufficiali dell’Aeronautica italiana erano andati in congedo e avevano messo a disposizione dei libici tutte le loro cognizioni tecniche e tutta la loro esperienza.
Quindi i libici utilizzavano sistematicamente quei corridoi. E a quale scopo?
Sia a scopo civile sia a scopo militare , per arrivare fino al cuore dell’Europa. E succedeva perché i libici avevano un rapporto privilegiato con l’Italia. Sì, i loro aerei si recavano spesso in Jugoslavia per riparazioni, a Banja Luka. Oppure a Venezia, dove noi fornivamo all’Aviazione libica tutta l’assistenza di cui aveva bisogno. Pensi che in quello stesso mese di giugno 1980, poco prima dell’esplosione su Ustica, nelle officine di Venezia Tessera, accanto agli aerei ufficiali del presidente statunitense e di quello francese, lì per un summit internazionale, c’erano anche dei C-130 libici: aerei da trasporto che, in barba a ogni embargo, noi militarizzavamo trasformandoli in mezzi da trasporto per paracadutisti.
È comprensibile che aerei militari libici utilizzassero dei corridoi “discreti”. Ma quelli civili, perché?
Perché a bordo spesso c’erano personaggi di primo piano, a rischio o in missioni segrete. Arafat, per esempio, si diceva che viaggiasse spesso su aerei libici passando per i nostri corridoi. Insomma, si trattava di personaggi che avevano bisogno di viaggiare in sicurezza e ai quali noi in qualche modo garantivamo protezione.
Anche Gheddafi?
Sì, anche Gheddafi. Secondo una fondata ipotesi, emersa già nel corso della nostra inchiesta e rafforzatasi in seguito, sembra che il bersaglio fosse proprio un aereo su cui viaggiava Gheddafi. Nei piani di volo conservati presso la nostra Aeronautica, quella sera era previsto un volo con vip a bordo da Tripoli a Varsavia.
L’aereo che viaggiava sotto la pancia del nostro DC-9 poteva essere quello di Gheddafi?
Secondo ragionevoli ipotesi, potevano essere uno o più caccia militari libici che tornavano dalla Jugoslavia utilizzando un corridoio senza la copertura del Nadge. Secondo ipotesi più recenti, quei caccia dovevano prelevare il leader libico sul Tirreno e scortarlo in un viaggio nell’Europa dell’Est. Ma, avvertito da qualcuno dell’imminente pericolo, all’altezza di Malta l’aereo avrebbe improvvisamente cambiato rotta per tornare in Libia.
Dunque i caccia libici provenienti da nord volavano sotto la protezione del DC-9 per andare a prelevare Gheddafi che stava arrivando da sud?
Questa è la situazione più probabile. Ed è del tutto evidente che chi avesse voluto attaccare Gheddafi avrebbe dovuto prima abbattere le sue scorte.
In definitiva i caccia libici vennero abbattuti, mentre Gheddafi si salvò perché avvertito del pericolo. Chi lo avvisò? Gli italiani?
È del tutto verosimile, visti i rapporti privilegiati tra l’Italia e la Libia. Il capo dei servizi segreti libici era di casa a Roma e nel Sismi (il nostro servizio segreto militare dell’epoca). C’era una forte cordata filoaraba e una filolibica, omologhe a quelle che esistevano all’interno dei governi della Repubblica e, più in generale, nella classe politica italiana. Chi voleva uccidere Gheddafi? Di recente, a inchiesta giudiziaria ormai conclusa, dopo che le sentenze di assoluzione dei generali erano ormai divenute definitive, l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che all’epoca era presidente del Consiglio, ha detto qualcosa in proposito. Riferendo informazioni provenienti dall’interno dei nostri servizi, ha parlato esplicitamente di una responsabilità francese. La ritiene un’ipotesi attendibile? Sì, la ritengo attendibile. Però procederei per gradi, seguendo l’evoluzione dell’inchiesta. In primo luogo perché, da un punto di vista tecnico, a quel tempo e nel Mediterraneo, solo due paesi erano in grado di compiere un’operazione militare di quel tipo: gli Stati Uniti e la Francia. Perché occorreva un sistema di guida dei caccia capace di indirizzarli verso l’obiettivo in qualsiasi condizione. Insomma un “guida caccia” estremamente sofisticato. E poi era necessario avere basi a terra o su portaerei a una giusta distanza dal punto d’attacco. La Francia aveva portaerei nel Tirreno e basi a terra in Corsica. Gli Stati Uniti avevano la Sesta flotta dotata di portaerei, oltre alle basi in territorio italiano. Entrambi i paesi, dunque, avevano anche propri sistemi radar.
Quindi chi attaccò: Francia, Stati Uniti o entrambi?
Tenderei a escludere responsabilità dell’Amministrazione americana dell’epoca. Primo, perché c’era Jimmy Carter, che manteneva rapporti con la Libia; addirittura la riforniva di armi. Secondo, perché gli americani ci aiutarono nell’inchiesta più degli italiani.
“Strage di Bologna opera di Gheddafi” parla “il faccendiere”
30 gennaio
«Che fine ha fatto?» mi chiedo guardando la foto su un catalogo che sto per buttare. Il suo nome era comparso sui giornali nel 1982 con la qualifica di “faccendiere”. Le ultime tracce le trovo su internet: uscito dal carcere di Livorno, sta scontando gli ultimi mesi di pena presso la Pubblica Assistenza di Lerici.
Milena Gabanelli da “La Repubblica”
Francesco Pazienza |
Cominciamo dall´inizio: come avviene l´incontro con Santovito? «Me lo presentò l´ingegner Berarducci, oggi segretario generale dell´Eurispes. Santovito era suo zio, e mi chiese di fare il suo consulente internazionale». E perché Santovito le dà questo incarico senza conoscerlo prima? «Sa, io parlavo diverse lingue e avevo un sacco di relazioni in giro per il mondo. Normalmente non avviene così, ma all´epoca era quasi tutto improntato all´improvvisazione».
E in cambio cosa riceveva? «Rimborso spese. Siccome non avevo bisogno di soldi, era quello che volevo: se volevo andare a New York in Concorde, andavo in Concorde. Mi sembrava tutto molto avventuroso».
Si dice che lei sia stato determinante nella sconfitta di Carter contro Reagan. «La storia comincia con Mike Ledeen a Washington, che mi aveva presentato Santovito; lui dirigeva il Washington Quarterly e faceva capo ad una lobby legata ai repubblicani (e alla Cia-ndr). Così gli dico: “Guarda che quando c´è stata la festa per l´anniversario della rivoluzione libica, il fratello di Carter ha fraternizzato con George Habbash”, che era il capo del Flp. E a quel punto disse: “Se tu mi dai le prove, noi possiamo fare l´ira di Dio”».
Gheddafi E le prove come se le era procurate? «Attraverso un giornalista siciliano, Giuseppe Settineri, che io mandai con un microfono addosso ad intervistare l´avvocato Papa, che faceva il lobbista e aveva partecipato alla festa di Gheddafi. Lui raccontò per filo e per segno tutto quello che era successo. Le foto dei festini me le avevano fornite Michele Papa e Federico Umberto D´Amato, la testa degli affari riservati del Viminale». Il Viminale ha dunque interferito nelle elezioni di un paese alleato? «Sissignore, però la débacle ci sarebbe stata ugualmente, ma non in misura così massiccia».
Lei, che non è un militare, diventa capo del Super Sismi. Cos´era? «Il Super Sismi ero io con un gruppo di persone che gestivo in prima persona».
A gennaio 1981 sul treno Taranto-Milano viene piazzata una valigia con esplosivo della stessa composizione di quello usato nella stazione di Bologna… Ci sono dei documenti intestati a un francese e un tedesco, indicati dai servizi come autori di stragi avvenute a Monaco e Parigi. Si scoprirà poi che si trattava di depistaggio. «Il depistaggio è stato fatto dal Sismi per non fare emergere la vera verità della bomba di Bologna. Secondo l´allora procuratore Domenico Sica c´era di mezzo la Libia, e coinvolgerla in quel momento avrebbe voluto dire tragedia per la Fiat e per l´Eni. Vada negli archivi delle sedute parlamentari: il 4 agosto 1980, Spadolini in persona presentò un´interrogazione parlamentare in cui attribuiva la bomba di Bologna a origini straniere mediorientali».
Ma qual era l’interesse mediorientale? «L´Italia non poteva sottrarsi agli obblighi Nato, e quindi doveva fare un accordo con Malta, per proteggerla in caso di attacchi del colonnello Gheddafi. L´accordo fu firmato, e Gheddafi fece la ritorsione. Ustica porta la stessa firma. Me lo ha raccontato Domenico Sica. Quando tolgono il segreto di Stato la verità salterà fuori».
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